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Auto, Brexit, green economy. Tutti i subbugli nei palazzi europei

Brexit
Ecco i principali dossier al vaglio fra Strasburgo e Bruxelles nel taccuino europeo a cura di Andrea Mainardi

EUROPE IN THE WORLD

Si fa sempre meno probabile una fusione tra Bers e Bei. Più agevole e percorribile la strada che porti alla creazione di una collaborazione. Magari con una società partecipata. Cosa bolle in pentola nel mondo degli investimenti e degli aiuti allo sviluppo del vecchio continente? In ballo miliardi. Solo due numeri: Bei concede ogni anno circa 60miliardi di euro di prestiti. Quasi il 30% (16miliardi) è destinato a progetti di contrasto al climate change. Ecco perché – e non solo per questo – la partita è importante.

BERS & BREXIT

La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) è un network in ebollizione. Specie in vista della Brexit. Fondata per aiutare gli ex paesi comunisti a passare dalla pianificazione statale all’economia di mercato, ora copre una serie di mercati nel Mediterraneo dalla Grecia al Marocco. Fa parte dell’architettura di sviluppo europea, ma ha una partecipazione globale, tra cui Cina e India.

L’ABBRACCIO POSSIBILE CON LA BEI. IL REPORT

Da tempo alcuni membri della Commissione europea hanno ripreso l’idea di fondere Bers – sede a Londra, non di proprietà Ue – con la Banca europea per gli investimenti Bei – uffici in Lussemburgo, proprietà Ue. Scopo: rendere i finanziamenti europei allo sviluppo più coerenti ed efficaci. Il gruppo di lavoro incaricato dalla Commissione ha pubblicato il suo report nei giorni scorsi, presentandolo ai ministri delle Finanze europei.

LE IPOTESI SUL TAVOLO

Tre le ipotesi squadernate nel report.

La prima è trasformare la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo o in alternativa la Banca europea per gli investimenti in una banca europea per lo sviluppo. Seconda ipotesi è quella di creare una nuova istituzione di proprietà congiunta Bers e Bei e delle istituzioni nazionali. Terza opzione: lasciare le cose sostanzialmente così come stanno, con qualche importante ritocco. Ovvero: incaricare Bei di creare una filiale per le sue attività al di fuori dell’Ue, alla quale partecipare come azionista di concerto con Stati Ue e banche.

SCETTICISIMO DI ITALIA, SVEZIA E LUSSEMBURGO

Il ministro delle Finanze italiano Roberto Gualtieri ha affermato che la scelta di una nuova istituzione “dovrebbe probabilmente essere esclusa”. Scettica anche il ministro delle finanze svedese Magdalena Andersson: la creazione di una simile istituzione richiederebbe del tempo per diventare operativa. Infine, il lussemburghese Pierre Gramegna ha proposto di spendere di più per lo sviluppo piuttosto che investire in una nuovo organismo.

COSA DICE IL REPORT ALLO SVILUPPO

Nel complesso, il rapporto rileva che le istituzioni europee di finanziamento dello sviluppo hanno “un buon livello di presenza sul campo, tra cui l’Africa sub-sahariana, una copertura settoriale collettivamente ampia e una buona competenza in materia di sviluppo e di rischio”.

CINA PIGLIATUTTO

Eppure, se l’Europa è il principale fornitore di aiuti allo sviluppo, la Cina sta gettando un’ombra in alcune regioni, compresa l’Africa, estendendo prestiti agevolati per progetti infrastrutturali. Come sottolinea Ft: mentre Pechino appende bandiere al di fuori dei suoi progetti Belt and Road in tutto il mondo, il blu e il giallo dell’Unione europea sono meno comunemente visibili.

SVILUPPO E IMMIGRAZIONE

Appunto, la Cina. Lo sviluppo regionale è anche una priorità politica urgente mentre l’Ue cerca di controllare i flussi migratori dall’Africa. Lamenta un funzionario europeo al Financial Times: “Non stiamo facendo abbastanza per stimolare le economie africane”. Mentre la Cina sta superando l’Europa.

LE ANALISI

– La Commissione ha dichiarato a Devex che la sua priorità rimane il nuovo strumento di finanziamento unico per lo sviluppo.

– La banca con sede a Londra Bers ha dichiarato di “accogliere positivamente la conclusione del rapporto riconoscendo l’efficacia del modello della Banca incentrato sullo sviluppo del settore privato”.

– Per il presidente della Bei Werner Hoyer “la creazione di una filiale di sviluppo presso Bei è politicamente e finanziariamente l’opzione più fattibile per colmare le lacune sistemiche nell’architettura europea per il finanziamento dello sviluppo”.

Jeroen Kwakkenbos, responsabile della politica di aiuto e consulente finanziario per lo sviluppo di Oxfam Eu, mette l’accento sul costo della riforma Bers-Beri: “Sarebbe probabilmente troppo elevato, per solo poco più di denaro che andrebbe allo sviluppo”. Soluzione più pratica: invece di costruire una nuova istituzione, i governi dell’Ue dovrebbero piuttosto aumentare gli aiuti per raggiungere finalmente l’obiettivo di spendere lo 0,7% del loro reddito nazionale lordo. L’assistenza collettiva ufficiale allo sviluppo del blocco Ue ha raggiunto lo 0,5% nel 2017, pari a 75,7 miliardi di dollari.

I capi di Stato dei Paesi membri dovrebbero discutere i dettagli del report entro la fine dell’anno.

CHE ALTRO È SUCCESSO

BILANCIO. STRASBURGO BACCHETTA BRUXELLES

C’è un “rischio evidente” che non venga raggiunto entro la fine del 2020 un accordo con il Consiglio sugli investimenti dell’Ue per il prossimo quadro finanziario pluriennale, con la possibile interruzione dei finanziamenti per i programmi Ue nel 2021 a causa dei ritardi. È l’allarme – battuto dall’Ansa – lanciato dal Parlamento europeo, in una risoluzione sul quadro finanziario pluriennale (Mff) 2021-2027 adottata nella mini-plenaria a Bruxelles con 426 voti a favore, 163 contrari e 67 astensioni.

BREXIT

Prepare your shoes not to come back soon

Avverte, minaccia. Randella. Angela Merkel, domenica sera dall’Eliseo parigino, dopo un vertice con il presidente Emmanuel Macron ri-avverte BoJo. Con toni sempre più forti: la Gran Bretagna sarà un potenziale concorrente dell’Unione Europea insieme a Cina e Stati Uniti. Svaniscono sempre più i piani di un lavoro comune post Brexit.

Scozia e Irlanda del Nord

Tra le varie preoccupazioni Oltremanica ci sono le proiezioni a lungo periodo sulle conseguenze dei confini tra Uk e Irlanda del Nord, di rinfocolarsi di Sunday Bloody Sunday. Polveriere di rivolte nazionaliste contro Londra. Che faranno gli irlandesi sudditi di Sua Maestà? Chiederanno l’indipendenza? E la Scozia, che ha massicciamente votato al referendum per il Remain in Europa? Dalle ambizioni di tornare ad una Great Britain, per Downing Street – e la Corona – il passo a rinchiudersi in una “little England” è breve. La richiesta di Edimburgo di tornare alle urne è svanita. Come reagiranno?

Il bye bye delle case automobilistiche

Di certo, c’è un probabile imponente fuggi fuggi delle case automobilistiche. Lo scrive il The Guardian. Una su tre sta tagliando posti di lavoro e una su otto ha ceduto dalle proprie attività nel Regno Unito: “La Brexit sta già causando danni al settore”. Lo certifica un sondaggio della Society of Motor Manufacturers and Traders: quasi il 14% delle aziende del settore, compresi produttori, componenti e società di servizi, si è già trasferito in seguito alla continua incertezza sulla partenza del Regno Unito. Il settore occupa in Uk oltre 800mila persone. Jaguar, Toyota e Bmw hanno annunciato l’interruzione della produzione per una settimana a novembre. Il presidente europeo di Nissan, Gianluca de Ficchy, ha dichiarato che una tariffa del 10% sulle esportazioni verso l’Ue secondo i termini dell’Organizzazione mondiale del commercio metterebbe a repentaglio “l’intero modello commerciale per Nissan Europa”. Il gruppo giapponese impiega 7mila persone nel suo stabilimento di Sunderland, nell’Inghilterra nordorientale.

The Queen manda segnali

All’apertura del Parlamento la regina indossava ieri il suo abito completo e le sue insegne, incluso il mantello, ma non la corona imperiale. Ha optato per il più “modesto” (e leggero) diadema George IV. Perché? Mentre dettava con tono piatto – come etichetta impone – il suo Queen’s Speach (che suo, come noto non è, ma è redatto dal Governo), con parole certe sulla necessità di uscire dall’Europa entro fine mese, sua Maestà ha preferito contenere i significati simbolici dei gioielli. Certo: Elisabetta è in forma, ma il peso della corona imperiale di oltre di oltre due chili, sull’argenteo capo di una 93enne, non è agevole. La corona imperiale era comunque al suo fianco come simbolo della sua autorità. Ma è raro che non la indossi durante l’evento solenne.

Di più fece solo nel 2017. Arrivò a Westmister non in carrozza, ma in auto. Non in abito lungo ma in completo blu. In testa, niente corone né diadema, ma un cappellino con stelle gialle. Tutti lo videro come una sorta di real omaggio alla bandiera europea.

BoJo, la regina e gli altri

Come riassume il Financial Times, “dopo aver buttato fuori dal partito 21 dei suoi stessi parlamentari il mese scorso, il governo di Boris Johnson è a corto di maggioranza… rischia di essere il primo governo da 95 anni a perdere il voto per approvare il discorso della regina”. La previsione? “Un’elezione sembra inevitabile entro poche settimane”. Il discorso scritto per Elisabetta non era un tradizionale programma di governo, ma uno speech elettorale per i conservatori. Una letterina di BoJo a Babbo Natale su cosa desidera per Natale, stando all’analisi di Robert Peston di Itv News.

TAKEAWAY IN ORDINE SPARSO

I conservatori riconquistano la Polonia

Si è rivelata una vittoria più contenuta del previsto, quella del nazionalista Pis alle legislative polacche. Ma una vittoria. Il partito sovranista ed euroscettico ha ottenuto il 43,6% dei voti e 235 seggi su 460. La formazione al governo, che in campagna elettorale ha difeso valori patriottici e cattolici, sperava in una maggioranza di due terzi dei seggi alla Camera, che gli avrebbe permesso di rivedere la costituzione. Potrà comunque continuare nel programma socialmente conservatore avviato quattro anni fa.

Immigrazione. Lamorgese in meno di un mese passa da “Non siamo più soli” a “L’Europa non ci lasci soli”

Da leggere l’intervista del Corriere della Sera di domenica al ministro degli Interni giallorosso Luciana Lamorgese. Dall’entusiastico “Non siamo più soli” dettato dopo il vertice di Malta di fine settembre per un presunto accordo di redistribuzione dei migranti; dopo la doccia fredda in Lussemburgo del 7-8 ottobre – dove gli Stati dell’Ue si sono dimostrati niente affatto solidali verso le questioni migratorie italiane (qui e qui due pezzi di StartMag.it) – al quotidiano milanese l’ex prefetto torna alla preghiera. “L’Europa non ci lasci soli” la sua prece.

La France est la France?
I drammi bonapartisti di Macron

La settimana politica europea ha riservato una claque in testa al liberal inquilino dell’Eliseo. Uno schiaffo al presidente Emmanuel Macron nel rifiuto di dare il via libero alla sua super-commissario Sylvie Goulard. Fatti e ragioni della sconfitta macroniana qui e qui.

E così Ursula von der Leyen traballa ancora

Le ultime ore anziché placare gli animi si fanno concitate. Riassume Agi: “I liberali di Renew Europe (la compagine di Macron in Europa, ndr) potrebbero sfilarsi dalla maggioranza Ursula come rappresaglia dopo la bocciatura della commissaria designata Goulard”. Macron chiede rassicurazioni alla presidente eletta: tenga in ordine il Partito popolare, che ha votato contro Goulard, o la fiducia viene meno. Difficile che Macron, artefice dell’accordo per l’elezione di von der Leyen, la lasci ora. Certo un imporre la linea francese alla nuova commissione. Che partirà instabile.

No ai Balcani

Insomma: Macron continua a coltivare le ambizioni di leadership in Europa. E per fare capire che fa sul serio continua a mettersi di messo di traverso anche all’allargamento alla Macedonia del Nord e all’Albania. Amelie de Montchalin, ministro francese per gli Affari europei, ha affermato che occorre una “profonda riforma”. delle regole di adesione all’Ue”. L’impasse crea una resa dei conti tra Macron e il resto del blocco. (Qui dettagli, dichiarazioni e analisi della Thomson Reuters Foundation).

L’unico frutto dell’amor. Quale futuro per la banana europea?

Per chiudere, un pensoso convegno organizzato il 9 ottobre sul – testuale – futuro della banana europeo. Non è una battuta. E la questione è parecchio seria. L’Europa produce e vende circa 700.000 tonnellate di banane in conformità con le normative europee, che sono tra le più rigorose al mondo. La produzione europea crea circa 40.000 posti di lavoro (diretti e indiretti) e oltre 500 milioni di euro di Pil netto. Il mercato europeo, che importa 6,5 ​​milioni di tonnellate di banane ogni anno, è il maggiore importatore di banane al mondo. Il 75% di queste banane viene importato dai paesi dell’America Latina. Dopo le normative Ue sulle curvature della banane, ci sarà un cambio di passo per favorire il mercato interno?

 

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