Skip to content

difesa comune

Difesa comune Ue: chi ha chiesto (e chi no) la deroga per le spese militari

Dopo la Germania, altri dodici Paesi europei hanno chiesto di attivare la clausola nazionale di salvaguardia, una deroga ai vincoli del Patto di stabilità per aumentare la spesa militare

L’Europa della difesa fa sul serio. Berlino accelera, Roma prende tempo. E dodici capitali battono cassa a Bruxelles: via libera alla clausola di salvaguardia per investire nella sicurezza. Ma cosa significa davvero questa mossa? E chi ha deciso di rompere gli indugi?

UN PATTO FLESSIBILE PER TEMPI ECCEZIONALI

La geopolitica cambia, l’Unione europea si adegua. Tredici Stati membri hanno chiesto ufficialmente alla Commissione Ue di attivare la clausola nazionale di salvaguardia, una deroga ai vincoli del Patto di stabilità per aumentare la spesa militare. Una decisione che permette di escludere temporaneamente dal calcolo del deficit gli investimenti in difesa, considerati straordinari alla luce del conflitto in Ucraina e delle crescenti minacce alla sicurezza europea.

I TREDICI PAESI CHE DICONO ‘SI’ AL ‘RIARMO’

I Paesi che hanno già presentato la richiesta sono: Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. La Commissione europea ha lasciato aperta la porta ad altri Stati interessati, prevedendo ulteriori domande “in una fase successiva”. L’obiettivo è garantire una transizione ordinata verso bilanci per la difesa più consistenti, senza incrinare però la stabilità finanziaria dell’Unione.

BERLINO FA DA APRIPISTA

La Germania è stata la prima a muoversi ufficialmente, avviando un poderoso piano di riarmo nazionale. Il presidente Frank-Walter Steinmeier è stato chiaro: “C’è bisogno di un esercito forte non per fare la guerra, ma per evitarla”. Berlino ha attivato la clausola per sbloccare investimenti militari fino all’1,5% del Pil all’anno per quattro anni, nel rispetto delle regole europee. Una mossa che potrebbe ispirare anche per altri partner.

L’ITALIA ASPETTA IL VERTICE NATO

E Roma? Per ora rimane alla finestra. Il ministro Giorgetti ha fatto sapere che qualsiasi decisione sarà rinviata a dopo il summit Nato di giugno, previsto all’Aja. Una scelta prudente, legata anche all’attesa di capire meglio le future mosse degli alleati, in particolare degli Stati Uniti. Intanto, sul fronte interno, non mancano il dibattito e le polemiche, anche nell’ambito della stessa coalizione di governo. Con il ministro della Difesa Crosetto e lo stesso Giorgetti che hanno avuto anche un vivace battibecco. il Movimento 5 Stelle ha criticato la mancanza di una linea chiara nella maggioranza, accusando Salvini e Tajani di “andare in ordine sparso”.

CHI DICE NO (O FORSE)

Francia, Spagna e Paesi Bassi hanno per ora deciso di non attivare la clausola. Madrid valuterà nei prossimi mesi, mentre Parigi teme che un ulteriore aumento del debito possa essere insostenibile. La Svezia, invece, potrebbe aumentare la spesa militare in deficit, ma senza ricorrere alla deroga ufficiale. Una posizione che riflette le differenze storiche tra Paesi con ampio margine fiscale e quelli più esposti al rischio spread.

REARM, READINESS 2030 E I NUMERI DEL RIARMO

L’intero piano europeo si inserisce nella cornice del progetto ReArm, ora ribattezzato Readiness 2030, che punta a 650 miliardi di euro di investimenti in quattro anni. A questi potrebbero aggiungersi ulteriori 150 miliardi di prestiti dallo strumento Safe. La Commissione punta ad avere una fotografia più precisa dei fondi effettivamente mobilitati nel 2025 solo con i report strutturali di bilancio del 2026.

Bruxelles ha già chiarito che l’uso della clausola sarà strettamente vincolato: solo per spese nella funzione “difesa”, per un massimo dell’1,5% del Pil annuo e per non più di quattro anni. Il messaggio è chiaro: serve flessibilità per rispondere alle sfide del presente, ma senza rinunciare alla disciplina di bilancio.

Leggi anche: Germania, ecco i primi nomi del governo Merz

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su