Un’altra notte di fuoco, il mondo trattiene il fiato nel nuovo conflitto tra Nuova Delhi e Islamabad
Il mondo trattiene il fiato mentre India e Pakistan tornano a sfiorare il baratro. Le due potenze nucleari sono di nuovo ai ferri corti: scontri violenti, accuse incrociate e un bilancio di almeno 43 morti. L’India dichiara di aver colpito nove siti terroristici, mentre Islamabad promette una “risposta al momento giusto”. La tensione è altissima. Nella notte, l’artiglieria pakistana ha colpito il villaggio indiano di Poonch, lungo la famigerata “linea di controllo” che divide il Kashmir: 13 civili uccisi e 59 feriti, un bollettino da zona di guerra.
La premessa è d’obbligo: non è un semplice botta e risposta. Entrambi sono armati fino ai denti, con arsenali nucleari pronti all’uso. E se Delhi punta su una dottrina difensiva, Islamabad non esclude l’uso preventivo anche in caso di attacchi convenzionali. Un equilibrio fragile, pericoloso, dove basta una scintilla per far saltare tutto.
KASHMIR, LA TERRA CONTESA
Tutto comincia nel 1947, con la fine del dominio britannico. India e Pakistan nascono come due stati separati, ma il Jammu e Kashmir resta sospeso. Quando milizie pakistane lo invadono, il Maharaja chiede aiuto all’India, cedendo lo stato in cambio della protezione militare. Scoppia la prima guerra indo-pakistana. Le Nazioni Unite impongono un cessate il fuoco, ma il referendum promesso per decidere il destino del Kashmir non si terrà mai. Da allora, la regione è divisa in due e il conflitto non è mai davvero finito.
Nel 1965 nuova guerra: il Pakistan cerca di fomentare una rivolta in Kashmir infiltrando migliaia di soldati. L’India reagisce con forza. Poi, nel 1971, Delhi appoggia il Bangladesh nella guerra di indipendenza, umiliando Islamabad. Dopo un lungo silenzio, nel 1999, esplode il conflitto di Kargil: per la prima volta due potenze nucleari si confrontano direttamente. È il punto più pericoloso mai raggiunto.
TERRORISMO E RAPPRESAGLIE
Negli anni Duemila la tensione continua a salire. Attacchi terroristici – come quello del 2016 alla base di Uri o del 2019 contro un convoglio a Pulwana – riaccendono la miccia. L’India risponde con attacchi “chirurgici” oltreconfine, sostenendo di colpire solo obiettivi mirati. Anche l’azione odierna viene descritta come “misurata e senza volontà di escalation”. Ma la spirale è sempre la stessa: botte, risposta, minacce. E il Kashmir resta lì, terra di nessuno, simbolo di una pace mai arrivata.