La fabbrica dell’ex Ilva sospesa tra incertezze e promesse, mentre monta il malessere tra i lavoratori
“Stanchi di essere usati come un bancomat”. Così Piero, 46 anni, operaio del reparto Grf dell’ex Ilva, riassume il malessere diffuso tra i lavoratori del siderurgico di Taranto. Tra impianti fermi, cassa integrazione crescente e promesse di rilancio mai concretizzate, la tensione è palpabile. Il timore più grande è che lo stabilimento stia lentamente scivolando verso un destino simile a quello dell’ex area industriale di Bagnoli.
Nelle scorse ore un nuovo allarme: una perdita di gas all’acciaieria 2 ha richiesto un intervento urgente, per fortuna senza conseguenze gravi. Ma il caso ha riacceso i riflettori sulle condizioni degli impianti, già sotto pressione dopo il grave incendio della scorsa settimana all’altoforno 1, ora sotto sequestro. Secondo documenti dell’azienda, lo spegnimento del forno è avvenuto senza un’adeguata preparazione tecnica, rendendo estremamente difficile, se non impossibile, il suo riavvio.
CASSA INTEGRAZIONE OLTRE I LIMITI. TRA MAGISTRATURA, GESTIONE COMMISSARIALE E ACCUSE POLITICHE
Acciaierie d’Italia ha annunciato la cassa integrazione per 4.046 lavoratori, di cui 3.538 solo a Taranto. Numeri che superano di molto gli accordi presi il 4 marzo scorso, che prevedevano 3.062 cassintegrati a rotazione. I sindacati – Fim, Fiom e Uilm – chiedono con forza la convocazione di un tavolo permanente con il governo. In una lettera indirizzata a Giorgia Meloni e ai ministri competenti, i segretari Uliano, De Palma e Palombella sottolineano l’urgenza della situazione.
Il dibattito politico è molto acceso, investendo il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, anche nel corso dell’informativa in Parlamento. C’è chi accusa la magistratura di frenare la ripartenza e chi, come Rosa D’Amato e Gregorio Mariggiò di Europa Verde, denuncia l’inadeguatezza della gestione commissariale. Secondo loro, il progetto Baku Steel non puntava davvero alla siderurgia, ma al rigassificatore. Da qui la proposta di un pacchetto straordinario per Taranto: prepensionamenti, risarcimenti, incentivi all’esodo e un utilizzo immediato dei fondi europei, incluso il Just Transition Fund.
UNA FABBRICA SOSPESA TRA INCERTEZZE E PROMESSE
Urso ha parlato nei giorni scorsi della possibilità di fare di Taranto un polo green dell’acciaio europeo. Ma le parole non bastano più. Francesco, 46 anni, operaio alla Colata Continua, parla apertamente di “psicosi da stabilimento” e di una quotidianità segnata dall’ansia per il futuro. La prossima settimana Urso incontrerà le aziende interessate a investire sul territorio.
Nel frattempo, tra i capannoni dell’ex Ilva, serpeggia lo sconforto. “Il giocattolo si è rotto”, dice ancora Piero. Rimettere insieme i pezzi di un colosso industriale in crisi, tra problemi strutturali e una governance contestata, appare oggi più che mai un’impresa titanica. E intanto, il tempo stringe.