Skip to content

ads
porto Italia

Italia, più mare che terra: il Mediterraneo è la chiave per essere una potenza geopolitica

Perché l’Italia deve puntare sul mare e sui suoi porti per diventare una vera potenza geopolitica del Mediterraneo e dell’Europa. Conversazione con Alessandro Panaro, Head of Marittime & Energy Department del centro ricerche Srm.

La nuova dimensione geopolitica dell’Italia passa dal mare. “Le due guerre in atto in Ucraina e Medio Oriente hanno avuto due impatti differenti sul sistema. Quella che ha influito di più è la seconda, poiché la crisi del grano generata dal conflitto russo-ucraino è stata risolta con una revisione delle supply chain. Il porto di Ravenna ne ha risentito di più”. A dirlo è Alessandro Panaro, Head of Maritime & Energy Department del centro ricerche Srm di Intesa Sanpaolo, che sull’ultimo numero di Start Magazine ha analizzato il ruolo del Mediterraneo nel quadro internazionale prodotto dal 2022 a oggi. Ne pubblichiamo un estratto.

TRAFFICO MARITTIMO: IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE PIÙ DURO PER LA LOGISTICA

Per ricordare, i traffici portuali sono di quattro categorie: manifatturiero (container), materie prime (rinfuse), veicoli (roll-on/roll-off) e i prodotti liquidi (petrolio, prodotti chimici). “Basta guardare le dinamiche di questi traffici per capire l’economia del nostro Paese e non solo”, ricorda Panaro. “Il conflitto israelo-palestinese è stato più duro per noi in termini logistici perché le navi hanno deviato per il Capo di buona speranza, raddoppiando, a volte triplicando i tempi di percorrenza”. Ma per l’analista del centro ricerche Srm le nuove rotte sono ormai alternative strutturali, non più temporanee. “Penso alla minaccia degli Houthi che è ancora presente dopo tanti mesi”.

LA GUERRA DEI DAZI PASSA DAL MARE (ANCHE PER L’ITALIA)

C’è poi la terza guerra più prettamente commerciale, quella dei dazi, scatenata dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Per Alessandro Panaro, “è ancora più complicata, perché investirà i meccanismi relazionali tra gli Stati. Anche se gli Usa lamentano una dipendenza mondiale dalla Cina, che è reale, ma che però hanno determinato per loro strategie perseguite negli anni. Ora vogliono puntare su un’economia locale, nazionale”. Ma le contro-risposte delle altre potenze erano da attendersi. “Mi preoccupa di più la tassa per cui gli Stati Uniti vogliono far pagare di più le navi cinesi o comunque i vettori di produzione cinese”. Cioè, praticamente tutte. “Oggi il dominio dei cantieri cinesi è pressoché totale: solo guardando alle principali compagnie, la quota in Msc è pari al 93%, in Maersk è il 70%, in Cosco è del 100%”. Nel 2024, i dati dicono che i container internazionali in uso siano ammontati a circa 17 milioni, favorendo il trasporto merci tra camion, treni e navi. Rendendo, cioè il commercio globale sempre più flessibile oltre che efficiente e continuo nei traffici.

L’IMPRONTA AMBIENTALE: IN 60 ANNI PERSO TRA 0,83 E 2,42 DELL’OSSIGENO OCEANICO 

Il fenomeno della regionalizzazione delle rotte è un altro tassello su cui si sofferma Panaro: “negli ultimi dieci anni, il Ro-Ro è aumentato del 42%. Recentemente, solo per fare esempi, Grimaldi Lines ha attivato nuove rotte Trieste-Istanbul e Dfds invece la rottaTrieste-Damietta”. Tale tendenza è favorita anzitutto dall’Unione Europea, che spinge su queste categorie di traffico per motivi ecologici. D’altronde, basta guardare al monito dell’Unesco che, nel suo State of the Ocean Report 2024, avverte dei danni ecologici prodotti dalle attività esclusivamente economiche senza enfasi sulla sostenibilità portate avanti negli ultimi sessant’anni, generando una perdita di ossigeno oceanico tra lo 0,83% e il 2,42% con conseguente crisi della biodiversità. Di qui, il concetto di Blue Economy è stato ampliato fino a includere la dimensione rigenerativa. “Un modello – ha scritto Stefania Petruzzelli per l’Ispi –  che va oltre la sostenibilità per estendersi alla rigenerazione attiva degli ecosistemi marini, accetta pratiche di blue carbon, pur sottoposte a criteri rigorosi ancora in fase di definizione, e include settori come la pesca, l’acquacoltura e il turismo, purché conformi ai principi di rigenerazione; esclude tuttavia attività incompatibili con gli obiettivi di decarbonizzazione, come l’estrazione petrolifera e mineraria sottomarina”.

IL MARE DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA PROTAGONISTA CON EOLICO OFFSHORE E FOTOVOLTAICO 

“Anche con il Pnrr – di cui non stiamo spendendo in modo efficiente le risorse, ci spiega Panaro – i porti sono chiamati a rispondere alle esigenze di sostenibilità e digitalizzazione. E’ il modello di sesta generazione dei green ports” che dovranno soddisfare a pieno i criteri di intermodalità e produzione di energia pulita da fonti rinnovabili. “L’Italia punta molto sul Mezzogiorno – che copre quasi la metà del traffico dei porti nazionali – per sviluppare l’eolico offshore e il fotovoltaico”, ricorda Panaro. “Già prima, il Sud era un’area fondamentale per i collegamenti energetici. Anche se i grandi snodi internazionali sono al Nord: Trieste, Genova, Livorno, La Spezia, Venezia, Ravenna”. E, sempre in materia di energia, oggi i porti puntano anche sulle operazioni di bunkeraggio, cioè di rifornimento di carburante alternativo a quelli tradizionali per le navi: dal gnl al metanolo passando per l’ammoniaca, l’idrogeno, le batterie al litio. Per non parlare del cosiddetto cold ironing. Vale a dire, l’aggancio delle navi alla presa elettrica. “Serviranno anche qui scelte strategiche. Ormai i porti saranno dei veri e propri poli che risponderanno ai traffici passeggeri, energetici, industriali e di materie prime circolanti via mare”, dice l’economista a Start Magazine.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su