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L’Europa si deve svegliare prima dell’Orso se non vuole fare la fine della gazzella

Accelerare i processi di delibera politica è oggi più urgente che mai per fronteggiare i giganti autoritari (e aspiranti tali del nostro tempo) che dettano il passo globale e lasciano l’Europa in panchina — una riflessione emersa nell’intervista “La Russia ci attaccherà”, rilasciata dal professor Herfried Münkler a Limes 

Quante possibilità ci sono che la Russia, dopo l’Ucraina, attacchi un altro paese europeo? E come dovrebbero cambiare le democrazie in questo nuovo assetto politico? Nell’intervista rilasciata a Fernando D’aniello di Limes, il professor Herfried Münkler, docente di Filosofia Politica all’Università Humboldt di Berlino, riflette sulle sfide strategiche dell’Europa con lucidità e urgenza.

IL PARADOSSO DELLA LENTEZZA DELL’EUROPA IN UN MONDO CHE ACCELERA

Il cuore del monito di Herfried Münkler è chiaro: se l’Europa vuole mantenere la sua capacità di autodeterminazione, dovrà riformare le sue democrazie per renderle più reattive. Secondo Münkler, infatti, «a differenza delle decisioni autoritarie, la lentezza del processo democratico è certamente uno svantaggio strategico. E poiché le democrazie sono circondate da tre grandi attori autoritari – Cina, Russia e ora anche gli Stati Uniti – non possono più dire “in definitiva, siamo noi a dettare il ritmo.” La sovranità sul ritmo degli eventi è passata ai regimi autoritari. È quindi necessario per le democrazie accelerare alcuni processi. Per esempio, quelli dei tribunali amministrativi, che spesso ritardano le decisioni prese politicamente. Non possiamo più permetterci questo lusso politico, in un mondo dominato dagli autoritari. Siamo entrati in un ritmo temporale diverso e dobbiamo essere in grado di affermarci, almeno su questioni chiave che vanno dalla politica all’economia, all’esercito. In breve, gli stati democratici devono mettersi un po’ in forma nella competizione con i grandi regimi autoritari. Allo stesso tempo, però, devono fare in modo di non lasciarsi smontare (qui mi riferisco all’Unione Europea) da questi ultimi.»

L’ERRORE STRATEGICO DELL’EUROPA 

Questa urgenza di reattività democratica si intreccia con gli errori politici compiuti negli ultimi anni, come dimostra il conflitto tra Russia e Ucraina. Putin aveva concepito questa azione militare come una “guerra lampo” per un rapido cambio di regime a Kiev, ma la resistenza ucraina, sostenuta militarmente e diplomaticamente dall’Europa, ha invece trasformato il conflitto in una guerra di logoramento, posizione e materiali, con tratti che ricordano la Prima Guerra Mondiale.

Dal canto suo, l’Europa, cliente fissa di Mosca in materia di gas e petrolio, ha agito nella tacita convinzione neoliberista che tutti gli attori si comportino come homines oeconomici, guidati da interessi commerciali prima che politici. A posteriori, questa aspettativa si è rivelata infondata: “pacificare una potenza revisionista trasferendo ricchezza – si potrebbe anche dire: esportando decadenza – non ha funzionato.” Al contrario, Mosca ha già nuovi acquirenti, come India e Cina, che ora assorbono le esportazioni energetiche lasciate dall’Europa, spesso a prezzi più vantaggiosi. Col risultato che l’economia russa, nonostante le sanzioni, ha retto, allenata com’è a funzionare come un “rentier state”, basato sulla rendita da risorse naturali.

LA RUSSIA DI PUTIN È UN DELIRIO ZARISTA?

Putin sembra voler ricomporre i confini imperiali che la Russia aveva nel XIX sec. I suoi discorsi richiamano, con tono quasi mitico, la grandezza raggiunta sotto Caterina II o, meglio ancora, sotto Pietro il Grande. In quell’epoca, l’impero si estendeva dal Mar Nero al Mar Baltico: due mari chiavi che oggi potrebbero tornare alla sua attenzione geopolitica. Questo proprio perché, secondo Münkler, Putin è mosso da “una sindrome da arto fantasma post-imperiale”: un bisogno ossessivo di ricostruire ciò che la storia ha amputato. In quest’ottica, proteggere gli stati vicini affacciati su questi due mari – dall’Estonia alla Bulgaria passando per Lettonia, Lituania, Moldavia e Romania  – diventa necessario prima ancora che strategico. Le brame espansionistiche del Cremlino non fanno escludere che possa mettere gli occhi proprio su questi paesi, consapevole che il dominio dei mari interni sarebbe cruciale per la stabilizzazione di un impero vasto e di terra come la Russia.

QUANDO LA DIPLOMAZIA CEDE IL PASSO ALLA DETERRENZA 

Dopo l’ubriacatura neoliberista, si è riscoperto “che i politici non calcolano solo benefici e costi e si orientano di conseguenza”, ma “gestiscono anche il risentimento, cioè il rancore, la rabbia, la collera, i ricordi dei tempi passati e molto altro”, le cose cambiano di gran lunga prospettiva. Ci ricorda che non siamo ancora “la gente del futuro” che ci illudiamo di essere. Così, si torna alla deterrenza, cioè al mantenimento dello status quo attraverso il potenziale della forza. Ma anche la deterrenza deve evolversi, come avverte Münkler, ed imparare a stare al passo con i tempi.

L’Europa, oggi, non è pronta militarmente. La carenza di forze armate professionali, le riduzioni sistematiche degli ultimi decenni, la mancanza di capitale umano ed equipaggiamenti adeguati, la rendono vulnerabile non solo ad un’eventuale minaccia russa, ma anche nel rapporto con gli alleati. Gli Stati Uniti, soprattutto sotto Trump, non offrono più un ombrello di sicurezza garantito. Il suo approccio resta ambiguo: a tratti gioca il ruolo dell’arbitro imparziale ma poi, lesina aiuti con fare da stratega e mercanteggia sugli aiuti militari. È il caso dei missili Patriot, venduti alla Germania, che poi hanno contribuito al rafforzamento della difesa ucraina. Trump, intanto, si vantava dell’affare in patria – perché, in fin dei conti, a pagare sono gli europei – e in Europa si proponeva come deus ex machina della pace.

COME SI DECLINA LA DETERRENZA DEL FUTURO PROSSIMO: IL CASO DELLA GERMANIA

La Germania è oggi uno degli esempi più chiari della volontà europea di rafforzare la propria autonomia difensiva. Dalla caduta del muro, ha scelto di godersi il cosiddetto “dividendo della pace”, riducendo drasticamente la spesa militare. Oggi però, complice l’influenza del popolare ministro della difesa Boris Pistorius, Berlino ha cominciato ad invertire la rotta, spingendo per un riarmo misurato ma deciso. Le parole del cancelliere federale tedesco Merz a questo proposito – “Vogliamo avere l’esercito convenzionale più forte in Europa” – parlano proprio della necessità di avere un esercito competente, compatto e “aggiornato”. Non basta  più la fanteria corazzata: servono forze leggere — alpini e paracadutisti — e, soprattutto, un sistema di contrasto ai droni.

Già da qualche anno, la Germania si muove in direzione di una difesa aerea multilivello ispirata all’esperienza israeliana dell’Iron Dome. Ha aderito all’European Sky Shield Initiative”, un progetto su scala europea per la costruzione di uno scudo protettivo multilivello pensato per contrastare droni, missili da crociera e, progressivamente, anche minacce ipersoniche. Tuttavia, questa scelta rappresenta anche un grande no al nucleare: non solo per l’adesione al Trattato di non proliferazione, ma anche per una netta opposizione all’acquisto di armi nucleari tattiche vendute dagli Stati Uniti, considerate “meno invasive” ma non meno controverse.

L’ultima declinazione di questa nuova deterrenza è il dibattito sulla reintroduzione del servizio militare obbligatorio che, in Germania, ha l’obiettivo dichiarato di creare “riserve profonde”, ovvero una popolazione preparata, pronta ad intervenire in momenti di necessità. Un messaggio chiaro rivolto a Mosca: anche l’Europa sta imparando a parlare il linguaggio della deterrenza.

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