A Vienna, Mattarella ricorda Falcone e Borsellino nel 25° anniversario della Convenzione ONU di Palermo contro le mafie.
“Non è importante quale forza di polizia arresta un latitante o sequestra dei beni e in quale parte del mondo; è importante che questo avvenga“. Giovanni Falcone pronunciò queste parole guardando oltre il suo tempo. Non parlava soltanto di mafia siciliana, ma di un sistema criminale globale, capace di spostare capitali e potere da un continente all’altro.
Otto anni dopo la sua morte, da quella visione nacque la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, firmata il 15 dicembre del 2000 a Palermo, città simbolo del sacrificio e della rinascita civile.
UNA CONFERENZA SULLA COOPERAZIONE CONTRO LE MAFIE
Venticinque anni dopo, l’11 novembre 2025, la comunità internazionale si riunisce a Vienna, nella sede dell’ONU, per celebrare quell’atto storico. Alla cerimonia sarà presente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, assassinato dalla mafia: una presenza che non è solo istituzionale, ma profondamente simbolica. È il richiamo diretto alla storia di un Paese che ha difeso la democrazia pagando con il sangue dei suoi servitori.
Nel 1992 Falcone partecipò a Vienna a una riunione ONU sul crimine transnazionale. In quell’occasione propose una conferenza mondiale sulla cooperazione contro le mafie: per molti, allora, un’utopia. Oggi, quella visione è il fondamento della lotta globale alla criminalità organizzata.
LA VISIONE DI FALCONE: FOLLOW THE MONEY
Falcone aveva capito prima di tutti che le mafie non erano più un fenomeno locale. Erano diventate potenze finanziarie, capaci di influenzare economie e governi, di muoversi nei mercati come attori geopolitici: un capitalismo criminale che sfrutta la modernità per infiltrarsi ovunque.
La sua intuizione si riassumeva in tre parole: follow the money. Non era uno slogan investigativo, ma una nuova cultura della legalità: seguire i flussi economici, colpire i patrimoni, impedire alle mafie di trasformare il denaro in potere e consenso. Falcone sapeva che il denaro della criminalità non ha confini né patria. Per fermarlo serviva uno strumento altrettanto globale.
DALL’IDEA AL TRATTATO
Quel progetto prese forma a Napoli nel 1994, durante la Conferenza mondiale sul crimine organizzato, e proseguì attraverso un complesso percorso diplomatico, da Varsavia, a Buenos Aires, da Dakar a Manila, guidato dall’Italia, con il giurista Luigi Lauriola alla presidenza del comitato negoziale intergovernativo.
Nel dicembre 2000, a Palermo, 120 Stati firmarono la Convenzione, insieme a tre protocolli aggiuntivi: contro la tratta di persone, il traffico di migranti e il traffico illecito di armi da fuoco.
LA SCELTA DI PALERMO
La scelta di Palermo non fu casuale: fu una scelta morale. Era la città dei martiri della legalità: Falcone, Borsellino, Chinnici, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, Giuliano, padre Puglisi, una città che aveva conosciuto il terrore, ma aveva saputo trasformare il lutto in partecipazione civile e identità collettiva.
Alla cerimonia inaugurale, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ricordò quei nomi. Il Segretario generale dell’ONU Kofi Annan la definì la conferenza “il summit per programmare una civiltà senza violenza”.
L’ENTRATA IN VIGORE
Il 29 settembre 2003, la Convenzione entrò in vigore. Oggi è ratificata da 190 Paesi, quasi l’intera comunità internazionale. Pochi trattati, forse solo quelli di Ginevra, hanno raggiunto un consenso simile. È la prova che il contrasto al crimine organizzato non è più una battaglia nazionale, ma una causa globale.
La Convenzione ha costruito un linguaggio comune della giustizia penale, uniformando norme e procedure, rendendo possibile la cooperazione tra Stati che prima non disponevano di strumenti compatibili. Ha dimostrato che la cooperazione non è un gesto diplomatico, ma un dovere per la sopravvivenza della legalità.
LA CONVENZIONE OGGI E LA CERIMONIA A VIENNA
Oggi, grazie a quel quadro giuridico, le Nazioni Unite affrontano nuove minacce: cybercrime, traffici ambientali, riciclaggio digitale e corruzione sistemica. L’eredità della Convenzione di Palermo è viva e in continua evoluzione.
Il 25° anniversario di Vienna non è solo un modo per ricordare solennemente, ma un messaggio politico. Richiama il valore geopolitico della legalità e la necessità di un’alleanza globale contro il crimine.
LA PRESENZA DI MATTARELLA
La presenza del Presidente Mattarella ricuce una traiettoria storica: da Palermo al mondo, da un dolore familiare alla responsabilità istituzionale, da un Paese ferito a una comunità internazionale che riconosce all’Italia il primato morale e giuridico nella lotta alla criminalità organizzata.
IL SACRIFICIO DI CAPACI
Falcone non vide realizzarsi la sua visione. Morì a Capaci il 23 maggio 1992, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta. L’attentato voleva cancellare la speranza. Ma, quella speranza è sopravvissuta: si è fatta trattato, legge, cooperazione, cultura civile, coscienza internazionale.
La sua eredità più grande non è solo un metodo investigativo, ma un’etica pubblica: la legalità come bene comune, un principio che non appartiene a una magistratura o a un Paese, ma all’umanità intera. Oggi, nel tempo delle mafie digitali e delle reti criminali globali, un principio resta intatto: non esiste sicurezza nazionale senza cooperazione internazionale. Nessuno Stato può combattere da solo organizzazioni che non riconoscono confini. Il crimine è globale; la giustizia deve esserlo più di lui.
L’EREDITÀ ETICA DI FALCONE
Falcone trasformò il dolore in diritto, e il diritto in civiltà. Oggi, quella civiltà chiede continuità, rigore, coraggio. Perché la criminalità cambia, ma anche la democrazia sa evolversi. E se il crimine non ha confini, neppure la giustizia deve averne. Palermo lo ha insegnato al mondo. Vienna lo riafferma. Mattarella lo ricorda. La battaglia non è finita, ma non siamo più soli a combatterla. È questo il lascito più potente della Convenzione di Palermo.

