Le email appena desecretate dalla commissione di controllo della Camera statunitense mostrano un Epstein intento a costruirsi un ruolo da “interprete” di Trump per gli interlocutori internazionali (e non) che cercavano di decifrarne mosse e umori. Tra diplomazia informale e crepe narrative, la Casa Bianca nega e punta a spingere tutto sotto il tappeto. Ma l’epistolario digitale di Epstein continua a ripresentarsi, settimana dopo settimana, come una serie senza un vero finale e sempre nuovi personaggi in scena
All’inizio di novembre è emerso un nuovo “dump” di email inviate e ricevute da Jeffrey Epstein, pubblicato dalla House Oversight Committee. Il materiale — più di 20.000 pagine — offre uno spaccato sulle relazioni internazionali coltivate da Epstein negli anni successivi alla sua condanna del 2008. I riferimenti al presidente Donald Trump, spesso menzionato negli scambi, riaprono un capitolo che molti credevano (e in parte nell’area repubblicana preferivano) restasse chiuso. Ma cosa emerge davvero da queste email, quale portata possono avere e quanto margine d’ombra resta ancora da esplorare?
EPSTEIN, “L’INTERPRETE” DI TRUMP
Dai nuovi scambi è chiaro che Epstein osservava da vicino l’evoluzione politica di Donald Trump (una volta amico) e, come ricostruisce Politico, tentava di ritagliarsi il ruolo di suo “interprete” per chi voleva approcciarlo. Alla vigilia del summit di Helsinki del 2018 tra Trump e Vladimir Putin, Epstein scrive a Thorbjørn Jagland, ex primo ministro norvegese, suggerendo che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov dovrebbe “mettersi in contatto con me” se desidera “capire Trump”. Secondo il Guardian, nelle stesse settimane Epstein monitorava i voli della Air Force One e riceveva bollettini sull’agenda presidenziale. Non si trattava di informazioni riservate ma di un flusso prezioso di dati pubblici che gli permetteva di presentarsi come qualcuno “in grado di leggere Trump in tempo reale” agli occhi dei suoi contatti.
La scrittura di Epstein fluttua tra il riportare fatti e il gonfiare le vele del proprio ruolo. Un’alternanza che rende difficile distinguere quanto ci fosse di realtà e quanto di messa in scena. Molte frasi sono criptiche, i destinatari e i contesti non sono sempre chiari e, ad oggi, non emergono prove dirette di un coinvolgimento penale o illecito di Trump. Insomma, non siamo nel territorio delle accuse ma in quello delle crepe: incrinature narrative che, se amplificate, possono far scattare più di un allarme a Washington.
LA CASA BIANCA PROVA A LIQUIDARE IL CASO
La Casa Bianca ha respinto qualsiasi interpretazione compromettente, con la portavoce Karoline Leavitt che ha definito la pubblicazione “una mossa orchestrata dai Democratici”. Trump al suo solito “nega, rovescia il tavolo e rilancia”. disponendo indagini su élite e istituzioni apparentemente scollegate: una tattica di controffensiva che alza il volume politico ma non risolve il dossier Epstein. Per lui il rischio più immediato non è giudiziario (ancora tutto da valutare), bensì reputazionale. Ogni nuovo frammento che emerge rischia di allargare l’ombra alle spalle del presidente statunitense, erodendo consenso e credibilità.
GLI AMICI DI PENNA DI EPSTEIN
Secondo un’ampia ricostruzione del Guardian, le email mostrano che Epstein era molto attivo nel mantenere contatti con figure dell’élite internazionale. Tra gli ultimi corrispondenti resi noti compaiono Michael Wolff, giornalista e scrittore, coinvolto in scambi dedicati alla comunicazione politica: Epstein gli chiede consigli per “costruire” alcune risposte pubbliche per Trump, lasciando intravedere il tentativo di proporsi come “consigliere ombra”.
Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro statunitense e tra i grandi architetti dell’economia americana, appare in corrispondenze regolari: Epstein gli inoltra articoli, riflessioni politiche, note personali e perfino commenti di tono intellettuale, segnale di un rapporto confidenziale più che istituzionale.
Stephen Bannon, ex stratega della Casa Bianca. In una serie di scambi del 2018, Epstein si propone come consulente dietro le quinte per iniziative mediatiche vicine alla galassia trumpiana. Secondo il Guardian non ci sono prove di un suo ruolo operativo, ma gli scambi mostrano la sua volontà di offrire “chiavi di lettura” utili a interpretare Trump.
Peter Thiel, venture-capitalist e cofondatore di PayPal, riceve da Epstein un’email nel 2018: “I liked your Trump exaggerations not lies”. Una frase ambigua, con cui Epstein sembra voler compiacere Thiel lodandone il modo di raccontare Trump — “esagerazioni, non bugie” — e segnalando così di sapersi muovere dentro quel tipo di narrativa. Il tentativo, però, resta a senso unico: Thiel non risponde. La rete include anche figure straniere, come il businessman degli Emirati Arabi Uniti Sultan Ahmed bin Sulayem, coinvolto in conversazioni su relazioni internazionali e iniziative ad alto profilo.
UNA RETE D’INFLUENZA PIÙ CHE UN ALBUM DI AMICIZIE
Nel complesso, la frequenza e la varietà di questi scambi suggeriscono che Epstein mirasse a molto più che riempire un album di amicizie altisonanti, cercava di presentarsi come uno snodo laterale, non ufficiale ma potenzialmente funzionale, tra la Casa Bianca e il mondo esterno. Un anello di congiunzione tra finanza, diplomazia e politica nel comune interesse di plasmare percezioni e potere. Resta da vedere se da questa mole di documenti emergeranno elementi in grado di mettere davvero in difficoltà Trump, o se tutto finirà, come spesso accade, in molto rumore (politico-mediatico) per nulla.

