Nei Palazzi si sussurra che Cesare Pozzi, presidente di DRI d’Italia, sarebbe in pole per la presidenza di Arera. Un giro di poltrone che potrebbe rallentare la transizione green dell’ex Ilva
Cesare Pozzi, presidente di DRI d’Italia, sarebbe in pole per prendere le redini di Arera. Una scelta che provocherebbe una reazione a catena che investirebbe anche gli asset di Acciaierie d’Italia.
Intanto, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, sta incontrando prima i sindacati e poi gli enti locali coinvolti, dai presidenti delle Regioni Liguria e Puglia ai sindaci di Genova e Taranto. Le tre maggiori associazioni ambientaliste, intanto, hanno presentato le 5 proposte per il rilancio dell’Ilva. La partita entra nel vivo, ma un giocatore chiave potrebbe presto lasciare il campo…
IL NODO DEL DRI PER L’ILVA
Alle 15 si terrà un nuovo vertice fiume sul futuro dell’Ilva. Nel tavolo si parlerà nuovamente del rilancio industriale green del polo siderurgico. Un obiettivo che passa dalla sostituzione degli altoforni con forni elettrici, alimentati da preridotto (iron-DRI) per ridurre l’impatto ambientale, stando alla bozza di intesa firmata il 12 agosto. Il problema è che, ad oggi, non si conoscono ancora sito e tempistiche. Infatti, nel documento iniziale non sono stati fissati né i tempi per la transizione ai forni elettrici né la decisione sulla localizzazione del “polo DRI/preridotto”. Un hub che, per la sua importanza strategica, verrà realizzato e gestito da DRI d’Italia.
La società pubblica controllata al 100% da Invitalia è stata istituita per promuovere la transizione energetica e la decarbonizzazione dell’industria siderurgica in Italia. Ma ora rischia di perdere la sua guida strategica. Infatti, il presidente Cesare Pozzi al momento sarebbe il principale candidato per succedere a Stefano Besseghini nel ruolo di presidente di Arera.
CHE DESTINO ATTENDE IL DRI?
A settembre il Mimit ha dichiarato il porto di Gioia Tauro idoneo ad ospitare un eventuale polo DRI per l’ex Ilva. Tuttavia, la gara da 1 miliardo di euro per realizzare l’impianto di preridotto, bandita da Dri d’Italia e vinta da Paul Wurth Italia/gruppo SMS, è stata annullata a maggio dal Consiglio di Stato, su ricorso della stessa azienda. L’annullamento significa che la procedura va rifatta, con ritardi e incertezze sul cronoprogramma. Prima di tutto, però, servono un investitore e un piano concreto. Si apre quindi una stagione molto delicata per il futuro dell’ex Ilva e la sostituzione del presidente in corsa rischia di complicare ulteriormente il rilancio degli asset di Acciaierie d’Italia.
ANCHE GLI AMBIENTALISTI VOGLIONO IL DRI
Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia hanno lanciato cinque proposte per il rilancio dell’Ilva. Uno dei pilastri è la realizzazione entro il 2030 di nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio e di un impianto per la produzione di ferro preridotto (DRI).
“Serve un piano di decarbonizzazione credibile e con finanziamenti certi che preveda la realizzazione entro il 2030 di nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio, con la contemporanea progressiva dismissione di altoforni e cokerie, e di un impianto per la produzione di ferro preridotto (DRI), escludendo qualsiasi ricorso a impianti di rigassificazione”, scrivono le tre associazioni.

