Una delle ipotesi allo studio dalla maggioranza per la nuova legge elettorale potrebbe finire per favorire anche chi oggi siede all’opposizione. Per ora dal Pd arriva un“no” senza spiragli, ma le simulazioni degli uffici parlamentari parlano chiaro: con le regole attuali, le prossime elezioni potrebbero consegnare un sostanziale pareggio fra schieramenti, con il rischio di paralisi istituzionale
Cambiare le regole del gioco, ovvero la legge elettorale, potrebbe essere la carta vincente per uscire dall’impasse che l’attuale sistema sembra prefigurare per le politiche del 2027: un Parlamento senza una maggioranza chiara, larghe intese di necessità o, peggio ancora, l’ingovernabilità e il ritorno di un governo tecnico. Paradossalmente, se i sondaggi che vedono Pd e campo largo in rimonta fossero confermati, proprio Elly Schlein potrebbe trovarsi prigioniera di una vittoria aritmetica ma non politica. Oggi la segretaria, in linea con il suo partito, respinge l’ipotesi di una riforma, denunciando il tentativo della destra di proporre una legge di convenienza. Eppure quel cambiamento, se calibrato, potrebbe rivelarsi decisivo anche per la sua leadership nel campo largo.
IL ROSATELLUM E IL RISCHIO DI PAREGGIO
Oggi il sistema elettorale in vigore, il Rosatellum, è misto: una quota dei seggi viene assegnata in collegi uninominali con sistema maggioritario, il resto con metodo proporzionale. Questo assetto rende la conversione dei voti in seggi molto sensibile alla distribuzione territoriale: un partito che raccoglie consensi sul piano nazionale ma non abbastanza nei collegi, rischia di essere sottorappresentato rispetto al proprio peso elettorale. La questione è tornata d’attualità dopo le recenti elezioni regionali, che hanno riacceso il dibattito sulle regole del gioco in vista delle politiche del 2027. Ma questa debolezza viene messa in evidenza anche nell’ultimo dossier degli uffici parlamentari: mantenere il Rosatellum e’ un’opzione insidiosa perché “la distribuzione regionale dei seggi potrebbe generare un sostanziale pareggio” tra le principali coalizioni. In uno scenario del genere formare una maggioranza stabile diventerebbe un’incognita, spalancando la strada a negoziati post-voto, alleanze trasversali e una generale instabilità governativa.
IL DILEMMA DEL PD: RESTARE ALLA FINESTRA O ENTRARE NEL GIOCO?
Nel dibattito politico circolano più di un’ipotesi. Il dossier degli uffici parlamentari delinea tre scenari: la conferma dell’attuale sistema; una versione “nazionale” del vecchio modello tipo “Tatarellum”, con abolizione dei collegi uninominali, un listino di coalizione e (in alcuni disegni) l’indicazione del candidato premier sulla scheda; oppure, l’opzione attualmente favorita dal centrodestra, un proporzionale corretto da un premio di maggioranza per chi supera una certa soglia di voti, con soglie di sbarramento per l’accesso ai seggi.
A sinistra molti guardano a queste ipotesi con scetticismo. Elly Schlein ha bollato la riforma elettorale come “un’operazione di convenienza” finalizzata a rafforzare la logica maggioritaria del governo. Ed è comprensibile che in un clima politico già teso per il referendum sulla giustizia, nel Pd nessuno voglia offrire sponde alla maggioranza su un tema cosi sensibile. La linea condivisa, per ora, e’ alzare un muro contro i tentativi di cambiare le regole a partita in corso.
Eppure la contraddizione, come osserva Stefano Menichini, è che questa chiusura non sembra sostenibile sul lungo termine: “il paradosso di Elly Schlein è che, se avesse davvero ragione lei – se cioè il Partito democratico valesse in realtà già più del ventiquattro per cento, e quindi il centrosinistra allargato fosse non competitivo ma addirittura favorito in vista delle elezioni politiche del 2027 – (..) questa eventuale vittoria elettorale di misura potrebbe segnare la fine della sua avventura politica”, perché con l’attuale sistema “lo scenario di stallo parlamentare (..) porterebbe quasi inevitabilmente a lunghe trattative, soluzioni trasversali, magari larghe maggioranze, non sia mai addirittura un altro dei famigerati governi tecnici. È ragionevole immaginare che la segretaria del Pd (..) non si infilerebbe neanche in un tunnel del genere. Non farebbe mai il bis di Bersani-Letta del 2013. Lascerebbe ad altri, prima di tradire sé stessa fino a questo punto.” Ecco perché, se il campo largo riuscisse a presentarsi coeso come nelle recenti regionali, la riforma oggi osteggiata potrebbe trasformarsi in un’opportunità. E soprattutto eviterebbe sia compromessi difficili da sostenere che il paradosso di vincere senza avere i numeri per governare.
GOVERNABILITÀ SENZA PERDERE RAPPRESENTANZA
Resta però il nodo del pluralismo. Un sistema proporzionale con premio di maggioranza e soglie di sbarramento tende fisiologicamente a favorire le grandi coalizioni, riducendo lo spazio di rappresentanza per i partiti più piccoli o non coalizzati. Anche chi supera una soglia minima di consenso rischia di non ottenere seggi, con un effetto di compressione del pluralismo politico. La riforma finirebbe cosi per accentuare il bipolarismo di coalizione, lasciando poco respiro a liste civiche, movimenti emergenti e soggetti minoritari. È il prezzo di un modello che promette stabilità ma che, se non calibrato, rischia di riprodurre vecchi squilibri: maggioranze troppo blindate e minoranze poco rappresentate. Proprio per questo, se davvero si vuole conciliare governabilità e rappresentanza, l’opposizione non potrà limitarsi a dire no. Dovrà contribuire alla definizione delle nuove regole e impedire che la pluralità politica finisca sacrificata sull’altare della sola stabilità. È qui che si gioca, forse più ancora che nei sondaggi, il destino politico di Elly Schlein e del campo largo.

