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Ue, perché il pacchetto Omnibus apre la strada all’estrema destra. Parla il prof. Zucca (Bocconi)

Bruxelles rivede al ribasso gli standard di sostenibilità con il pacchetto Omnibus. Il PPE vota con la destra radicale, restringendo o cancellando diversi obblighi di trasparenza e sostenibilità. L’intervista al prof Zucca (Bocconi)

Il pacchetto Omnibus dell’Ue smonta un altro pezzo del Green Deal riducendo gli obblighi di trasparenza delle aziende sull’impatto ambientale. Con un tratto di penna, Bruxelles ha “snaturato la Corporate Sustainability Reporting Directive e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive”, secondo il professor Fabrizio Zucca, Academic Fellow presso la Bocconi Business School, Membro del Comitato Scientifico di Eurispes e Fondatore della Strategia & Sviluppo Consultants, nell’intervista rilasciata a Policy Maker. Il pacchetto di misure Omnibus introduce “un meccanismo che distorce completamente il sistema che è stato pensato inizialmente”, secondo il professore, sottolineando che per la prima volta il PPE ha infranto il tabù politico europeo, trovando un accordo con la destra estrema. Un’intesa che potrebbe ripetersi in un futuro, toccando “una serie di settori su cui i partiti estremisti fanno campagna elettorale per acquisire voti”. Scelte che spesso rispondono a “un impianto ideologico sposato da uno schieramento politico”, secondo Zucca.

OMNIBUS, IL PPE SPALANCA LE PORTE ALLA DESTRA ESTREMA?

L’Ue vuole riscrivere le norme sulla rendicontazione sostenibile e il greenwashing. Il pacchetto Omnibus pronto nel cassetto di Bruxelles restringe la Corporate Sustainability Reporting Directive alle sole imprese con oltre 1.000 dipendenti e 450 milioni di fatturato, cancellando anche l’obbligo di dotarsi di un piano di transizione climatica. E non va meglio sul fronte della Due Diligence (CSDDD), dove gli obblighi di trasparenza sopravvivono solo per i colossi da 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di ricavi. Al tempo stesso, sparisce anche il quadro giuridico europeo che avrebbe consentito ai cittadini di chiedere conto alle imprese degli impatti lungo la supply chain, svanendo anche la promessa di uniformità normativa.

L’accordo raggiunto a Bruxelles ha alterato gli equilibri di potere in Parlamento, poiché per approvare i tagli alle norme ambientali il PPE ha infranto la regola non scritta che vieta collaborazioni con l’estrema destra. Questo crea un precedente per la futura legislazione nell’UE, quali conseguenze potrebbe avere secondo lei?

“Si crea un precedente perché è chiaro che i partiti conservatori stanno facendo l’occhiolino a chi di fatto gli sta portando via voti. L’obiettivo di questi partiti è evitare che ci sia un’emorragia. Non credo che questo accordo rimanga in una situazione di isolamento. Lo vedremo anche nelle migrazioni e in tutti quei settori in cui i partiti estremisti fanno campagna elettorale per acquisire voti. Penso che si tratterà di un caso non frequente, ma neanche isolato. Il paradosso è che, nel frattempo, la Cina ha approvato l’equivalente della sua CSRD, i CSDS (Corporate Sustainability Disclosure Standards), un quadro normativo per la rendicontazione di sostenibilità obbligatoria nelle catene di fornitura. Rischiamo di operare su una normativa cinese ancora più restrittiva della nostra”.

Anche la spinta di Trump favorirà altri passi indietro sul Green Deal, immagino

“In Europa ci ostiniamo a pensare e a fare cose che non siano in conflitto con quello che dice Trump. Su certi aspetti sempre meno. La realtà è che finchè sarà presidente ci sarà un cambio radicale di interessi e modalità con cui verranno perseguiti dagli Stati Uniti. Usa che percepiscono l’Europa come un competitor, non certo un amico”.

Il tentativo di Bruxelles di rivedere il Green Deal attraverso pacchetti definiti “omnibus”, che comprendono misure trasversali, è una scelta saggia secondo lei?

“Il Green Deal è stato costruito in più di dieci anni. Arrivare a un taglio orizzontale dovuto ad esigenze politiche dopo uno sforzo notevole dal punto di vista tecnico è un meccanismo un po’ grossolano che porterà più problemi che benefici. Quando parliamo di sostenibilità si parla sempre della catena del valore, non solo di un singolo anello. Il tema della bassa crescita in Europa esiste da almeno 20 anni, che si accusi il Green Deal di generare questo problema è pretestuoso. È un posizionamento ideologico legato a uno spostamento dello spettro politico. La transizione energetica può favorire l’innovazione e la maggiore efficienza del sistema. L’innovazione distrugge segmenti e crea altri, bisogna accompagnarla con azioni di riqualificazione delle persone. Far credere che sia la transizione la causa della perdita di competitività è falso e genera un’aspettativa non realistica e fa sì che le imprese poco abituate a guardare al futuro pensino che si può vivere di rendita”.

Mi lascia perplesso il fatto che con il pacchetto Omnibus sia stato eliminato anche il quadro giuridico europeo che permetteva ai cittadini di chiedere conto alle imprese degli impatti delle loro catene di fornitura su diritti umani ed ecosistemi locali. Cosa ne pensa a proposito?

“Anche questo è un aspetto che in qualche modo riduce la forza della normativa e non elimina le problematiche di contenzioso. Bisogna ricordare che le norme europee vengono poi applicate in un insieme di normative differenti. La possibilità di contenzioso rimane, ma la responsabilità civile poteva portare verso un’omologazione delle norme prodotte in Europa. Va considerato un altro aspetto. In diverse giurisdizioni europee una serie di violazioni di diritti umani e legati al lavoro possono costituire fattispecie di reato e sono perseguibili. Basti pensare a quanto sta succedendo per tante aziende di moda commissariate per il lavoro forzato. Con il pacchetto omnibus si crea ancora maggiore incertezza, invece di offrire standard per tutti gli Stati Ue”.

Lo stesso retromarcia potremmo vederlo anche nelle quattro ruote

“Il ricambio tecnologico rientra nell’ottica dell’efficientamento. Continuando a guardare indietro si fa un favore a chi vuole mantenere posizioni di rendita, da un lato, e dall’altro aiuta l’industria dei carburanti fossili. La mia sensazione è che dietro tutto questa volontà di revisione ci sia un impianto ideologico sposato da uno schieramento politico, che avvantaggia il sistema dei carburanti fossili”.

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