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Perché è caduto il governo in Bulgaria

A poche settimane dall’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona — previsto per il 1° gennaio 2026, quando il Paese adotterà l’euro— il governo bulgaro è capitolato, travolto da un’ondata di proteste anticorruzione contro l’esecutivo guidato da Rossen Zhelyazkov. Si volta pagina dopo neanche un anno dalla formazione della compagine di minoranza: ecco cosa ha provocato il collasso politico in un momento così cruciale


Lo scorso giovedì il primo ministro bulgaro ha annunciato le dimissioni del suo esecutivo con la solennità di chi prova a trasformare un naufragio in un gesto civico: “Abbiamo ascoltato la voce della società”.

Una voce che da giorni riecheggiava nelle piazze di Sofia in segno di protesta. Il premier Rossen Zhelyazkov, accusato di corruzione e di legami con ambienti mafiosi, cede ora il passo al presidente Rumen Radev, cui toccherà il compito di invitare i partiti a formare un nuovo governo. In caso di fallimento, all’orizzonte si profilerebbe un nuovo (l’ennesimo) esecutivo ad interim chiamato a traghettare il paese verso nuove elezioni.

IL GOVERNO ZHELYAZKOV E UNA CRISI CHE VIENE DA LONTANO

Da anni la Bulgaria è nel mezzo di una crisi di governabilità. Negli ultimi quattro anni ha dovuto convocare sette elezioni nazionali per l’incapacità di formare maggioranze stabili. La debolezza dei partiti tradizionali, lo scetticismo verso le istituzioni e la corruzione endemica sono solo alcuni dei fattori che alimentano la sfiducia verso la classe politica bulgara. Per questo l’attuale crisi appare più l’ennesima tappa di una fragilità sistemica che un episodio isolato.

Il governo guidato da Rossen Zhelyazkov, esponente del partito di centro destra Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria (GERB) era nato un anno con queste premesse. Il parlamento uscito dalle urne era talmente frammentato da costringere i partiti a un’alleanza costruita più per necessità aritmetica che per compatibilità di programmi. Lo ha riconosciuto anche il leader del GERB, Boyko Borissov, spiegando che quell’esecutivo era stato formato “solo per portare la Bulgaria nell’eurozona”, rinviando ogni altra questione politica al 2026.

Ne era scaturito un mosaico che univa GERB, i socialisti del BSP, i populisti di C’è un popolo come questo (ITN) con il sostegno del Movimento per diritti e libertà – Nuovo inizio (DPS-NN), uno dei due partiti della minoranza turca in parlamento. Proprio tra le fila di quest’ultimo spicca la figura di Delian Peeevski, politico e oligarca bulgaro sanzionato da Stati Uniti e Regno Unito, la cui presenza ha contributo alla fragilità dell’esecutivo. Il suo nome, tra i più scanditi dalle piazze nelle ultime settimane, incarna per molti manifestanti il simbolo di una politica corrotta e ostaggio di interessi oligarchici.

LA MICCIA DELLA PROTESTA: LA LEGGE DI BILANCIO

Le dimissioni del governo sono state annunciate pochi istanti prima del voto parlamentare su una una mozione di sfiducia per cattiva gestione economica, sostenuta da un’opinione pubblica trainata soprattutto dagli studenti. A peggiorare le cose, l’inflazione e il rincaro insostenibile dei beni alimentari che, ad un passo dal passaggio all’euro, hanno alzato il livello della preoccupazione insieme a quello della mobilitazione. Secondo le stime basate sulle immagini dei droni, oltre 100.000 persone sono scese in piazza.

Le accuse di corruzione circolavano da mesi, ma la vera miccia è stata la discussione della legge di bilancio, che prevedeva un aumento della spesa pubblica interpretato da molti come l’ennesima mossa volta a rafforzare la classe dirigente. Da protesta economica quindi, quella fiumana si è trasformata in un appello nazionale alla trasparenza, alla responsabilità civica e ad una leadership capace di tutelare davvero la res publica bulgara.

L’INGRESSO NELL’EURO RESTA, MA LE INCOGNITE SONO MOLTE

La crisi politica esplode a pochissime settimane da un traguardo storico: l’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona. Un tempismo delicato, che trova il paese su un terreno politico instabile proprio nel momento più simbolico del suo percorso europeo. Anche perché l’adozione dell’euro, seppur auspicata dal governo e sostenuta dalle istituzioni europee, non è affatto percepita in modo unanime dall’opinione pubblica bulgara.

Le piazze di Sofia sembrano divise tra aspettative di crescita e timori concreti. L’aumento dei prezzi a causa dell’inflazione, la perdita di sovranità monetaria e lo scetticismo verso una transizione sentita come imposta dall’alto e non accompagnata con le dovute cautele, sono solo alcuni dei punti espressi dai manifestanti. Molti, soprattutto tra i giovani, ritengono che anni di appartenenza all’Ue non abbiano migliorato ciò che davvero conta: lo stato di diritto e la qualità della vita democratica. Le proteste di queste settimane non sono quindi solo la risposta a una legge di bilancio, ma l’espressione di una frustrazione più profonda, che chiede riforme reali e, ad un passo dall’euro, urgenti più che mai.

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