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31 anni dopo il golpe, l’ex presidente del Sudan al-Bashir viene processato

Al-Bashir

Omar Hassan al-Bashir è stato condotto questa settimana davanti al tribunale di Khartum per i crimini di guerra commessi dopo il colpo di stato di 31 anni fa. Rischia la pena di morte

È iniziato il processo all’ex presidente del Sudan Omar al-Bashir per il colpo di Stato che nel 1989 rovesciò il governo democraticamente eletto dell’allora primo ministro Sadek al-Mahdi e per i successivi crimini di guerra compiuti. Insieme ad al-Bashir sono a processo altri 16 imputati, fra cui gli ex vicepresidenti Ali Osman Taha e Bakri Hassan Saleh, i quali – come riporta Agenzia Nova – “hanno rifiutato di collaborare durante le indagini preliminari che hanno condotto al processo”. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 11 agosto per consentire agli avvocati e ai familiari degli imputati di partecipare. Il processo è “storico”, dal momento che è la prima volta nella storia moderna del mondo arabo che il protagonista di un colpo di Stato viene processato.

IL COLPO DI STATO DEL 1989

Tre decenni fa, un ufficiale dell’esercito – all’epoca poco conosciuto – prese il potere in Sudan, inaugurando un lungo periodo di violenze e crimini che avrebbe spinto il Paese in una serie di guerre destabilizzanti, paralizzando l’economia e isolandolo dal resto del mondo: il suo nome era Omar Hassan al-Bashir. Adesso, all’età di 76 anni, il dittatore è chiamato a rendere conto delle sue azioni. Al-Bashir e gli altri imputati, dieci militari e sei civili, sono accusati di aver pianificato il colpo di stato del 30 giugno 1989, quando l’esercito arrestò i leader politici del Sudan, sospese il parlamento e altri organi statali, chiuse l’aeroporto e annunciò il golpe alla radio. Una volta al potere, al-Bashir mise al bando ogni partito politico, censurò la stampa, assunse il ruolo di presidente del Consiglio del comando rivoluzionario per la salvezza nazionale (un organo appena creato con poteri sia legislativi sia esecutivi) e si autonominò capo di Stato, primo ministro, capo di Stato maggiore e ministro della Difesa. Destituito l’anno scorso, dopo quattro mesi di massicce proteste popolari che ne invocavano la rimozione dal potere, adesso al-Bashir è stato condotto davanti al tribunale di Khartum per essere giudicato in merito al suo ruolo nel colpo di stato. L’ex presidente, già condannato l’anno scorso a due anni di carcere per corruzione, rischia ora la pena di morte in caso fosse riconosciuto colpevole. Poliziotti armati di manganelli e lacrimogeni facevano la guardia davanti al palazzo di giustizia dove gli accusati sono stati portati con delle gabbie.

UN PROCESSO PARTICOLARE

Il suo è un processo particolare dato che raramente un dittatore viene costretto a rispondere davanti a un giudice del proprio operato. Nel suo caso, poi, un complice chiave è già sfuggito alla giustizia. Il religioso islamico Hassan al-Turabi, istruito alla Sorbona e fautore di una rinascita islamica panaraba, considerato da molti come il vero artefice del colpo di stato del 1989, è morto nel 2016 senza essere giudicato. Durante il processo dell’anno scorso, al-Bashir ha ammesso di aver ricevuto tangenti da 90 milioni di dollari da dirigenti sudanesi, ma le accuse più gravi non sono ancora state portate in tribunale. Da più di 10 anni, la Corte penale internazionale dell’Aia dà la caccia ad al-Bashir per il suo ruolo avuto nel conflitto divampato nella regione ovest del Darfur, dove le truppe sudanesi e le milizie alleate hanno ucciso, stuprato e saccheggiato causando centinaia di migliaia di morti. Dieci anni fa il tribunale dell’Aia lo aveva già accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Tra gli altri implicati risulta anche l’ex ministro della Difesa, Abdel-Rahim Muhammad Hussein, comparso al processo al fianco di al-Bashir. Sebbene l’attuale governo di transizione del Sudan, diretto sia da capi civili che militari, abbia comunicato di essere pronto a consegnare l’imputato all’Aia, al momento ci sono pochi segnali che lo confermano. La nuova amministrazione sembra esitare a organizzare un processo in Darfur, forse perché i suoi stessi dirigenti potrebbero essere ugualmente accusati. È il caso di Mohamed Hamdan, vicepresidente del Consiglio Sovrano del Sudan, che dirige le forze paramilitari (Rapid Support Forces), un gruppo collegato ad alcune delle peggiori accuse di atrocità in Darfur.

LE COLPE DELLA DITTATURA

Quando al-Bashir ha preso il potere nel 1989 è iniziato il declino del Paese. Ha punito i potenziali rivali, imposto la legge islamica e introdotto norme severe che riducevano considerevolmente le libertà del popolo, in particolare delle donne. La volontà ideologica del colpo di stato veniva da un piccolo gruppo islamico guidato da al-Turabi. L’ex presidente aveva la reputazione di essere un personaggio malleabile e meno eccentrico, almeno per chi come Alex de Waal, professore presso la Fletcher School of Law and Diplomacy dell’Università americana Tufts ed esperto di Sudan, afferma che: “al-Bashir era il capo, ma gli islamisti erano più potenti e lo hanno manipolato”. Nei 30 anni in cui rimase al potere, al-Bashir impose gradualmente uno Stato fondamentalista islamico nel nord del paese (la Sharia entrò in vigore nel 1991). Alleato di al-Turabi, leader del Fronte islamico nazionale e come detto vero ideologo del golpe, al- Bashir venne rieletto presidente in occasione delle elezioni presidenziali del 1996, del 2000, del 2010 e del 2015. A partire dalla metà degli anni ’90 ruppe col suo “mentore” soprattutto a causa dei legami di quest’ultimo con i gruppi fondamentalisti islamici e il permesso accordato a Osama bin Laden di risiedere in Sudan fra il 1992 e il 1995. Fu proprio quest’ultimo elemento che portò il Sudan ad essere inserito nell’elenco statunitense dei Paesi finanziatori del terrorismo, di cui fa ancora parte insieme a Iran, Siria e Corea del Nord.

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