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Africa, a che punto è il processo di digitalizzazione

Africa

I Paesi dell’Africa rincorrono la digitalizzazione tra ostacoli politico-sociali e nuovi hub tecnologici all’avanguardia. L’articolo di Arianna Colaiuta per ilcaffegeopolitico

A CHE PUNTO SIAMO?

In generale l’Africa è in ritardo nella digitalizzazione, ma non ne è completamente estranea: il tasso di crescita della connettività è circa al 40%, con la maggior parte dei Paesi che ancora presenta meno del 10% di diffusione di Internet (UNCTAD). Ciononostante, Stati come Nigeria, Kenya e Sudafrica stanno recuperando da qualche anno il ritardo con la creazione di innovativi hub tecnologici. Oltre a questi clusters di successo, la fornitura di servizi pubblici attraverso piattaforme tecnologiche è popolare in molti Paesi africani. Ad esempio già il 40% delle nazioni sub-sahariane ha siti di e-government per la condivisione di aggiornamenti circa la rete elettrica. Inoltre, proprio nel mese di ottobre il Presidente Kagame ha annunciato il lancio del primo smartphone made in Africa da parte del Mara Group, che si pone come obiettivo di trarre beneficio dall’African Continental Free Trade Area (AfCTA) per competere a livello regionale nel campo della comunicazione. La trasformazione africana viene trainata dalle tecnologie smartphone, ma se da una parte i telefoni cellulari sono presenti in maniera significativa in tutto il continente, dall’altra la larghezza di banda è scarsa e i costi per Internet costituiscono una percentuale rilevante nel reddito di un utente africano medio. Le infrastrutture e l’accessibilità economica rimangono quindi i nodi principali della questione digitale in Africa. Ulteriormente, il persistente analfabetismo delle popolazioni indigene non permette lo sfruttamento al massimo del potenziale dei sistemi TIC. Secondo l’Unione Africana il problema educativo rappresenta da anni un ostacolo allo sviluppo della regione, in particolar modo nel settore dell’innovazione. Ciononostante le varie iniziative proposte da Smart Africa, iniziativa dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Africana, nel campo della literacy, capacity building e digital entrepreneurship lanciano dei segnali positivi circa gli sviluppi futuri della digitalizzazione del continente.

GLI OSTACOLI POLITICI

Le relazioni di potere asimmetriche tra le parti coinvolte e le politiche nazionali repressive dei Paesi autoritari stanno impattando negativamente lo sviluppo in materia di TIC. Internet si sta trasformando in un’arma a doppio taglio: se da una parte è un potenziale mezzo di democratizzazione, dall’altro è spesso oggetto di una ferma censura che lede i diritti politici e d’espressione dei cittadini. Nell’Africa sub-sahariana la libertà di espressione è ingiustamente limitata e Internet è utilizzato dalle Autorità per censurare e sorvegliare i cittadini, con particolare attenzione a giornalisti, attivisti e leader dell’opposizione. Questo tipo di manipolazione rappresenta una chiara minaccia ai valori democratici, in quanto limita il potenziale di Internet di agire come una piazza pubblica virtuale e impedisce la nascita di un solido patrimonio digitale. I crescenti casi di chiusura di Internet e altre misure restrittive online non solo violano le norme internazionali, ma minacciano anche lo sviluppo economico, frenando la trasformazione dei modelli di produzione e allontanando gli investimenti esteri. Da gennaio 2019 abbiamo già assistito a casi del genere in Benin, Mauritania e Gabon, oltre il ben più noto caso del Sudan.

IMPLICAZIONI PER LO SVILUPPO

Il processo di digitalizzazione in Africa, potenziato dall’uso di Internet, potrebbe avere un impatto sui Paesi africani come quello avuto in precedenza sui BRICS, con potenziali effetti su settori quali i servizi finanziari, l’istruzione, la salute, la vendita al dettaglio, l’agricoltura e la governance. La digitalizzazione dei servizi finanziari consentirà l’inclusione di un’ampia maggioranza della popolazione che non possiede conti bancari e, in ultima analisi, collegherà le persone in aree remote tramite servizi finanziari e home banking. L’impatto positivo si potrebbe ripercuotere anche sull’istruzione con la creazione di piattaforme e-learning. Per quanto riguarda il settore della vendita al dettaglio, esistono già alcune esperienze di successo come quella della piattaforma nigeriana Jumia, che quest’anno ha presentato la documentazione per quotarsi in borsa. Infine, in ambito di governance, esperienze come quella della no-profit keniana Ushahidi (in lingua swahili significa “testimonianza”) incentivano la condivisione di informazioni e migliorano la trasparenza. Ushahidi ha cominciato a operare per testimoniare le violenze perpetuatesi in Kenya nel 2008 ed è cresciuta al punto da lanciare nel 2010 Crowdmap, un software open-source, gratuito, che rappresenta un esperimento riuscito di crowdsourcing e citizen journalism.

 

Articolo pubblicato su ilcaffegeopolitico.org

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