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Brexit, cosa cambierà nel settore energia in caso di no-deal
L’analisi di Margherita Bianchi, Junior Researcher nel programma energia, clima e risorse dell’Istituto Affari Internazionali (IAI)
Il dramma politico chiamato Brexit si avvicina e non sappiamo ancora se il divorzio chiesto dal Regno Unito all’Ue sarà ‘ammorbidito’, ritardato o addirittura annullato. Theresa May intende strappare concessioni dopo la disfatta sulla bozza d’accordo a Westminster, ma Bruxelles sembra non aver alcuna intenzione di assecondarla. In assenza di soluzioni funzionali e tempestive, le due parti dovranno fare i conti con il tanto temuto ‘no-deal‘; il peggior scenario possibile, che non aiuta di certo Londra e non piace per niente nemmeno alla controparte.
GRANDE CONFUSIONE SOTTO IL CIELO LONDINESE
Il costo della separazione comincia a definirsi su alcuni fronti – si pensi al lavoro o ai capitali –, ma il quadro è ancora particolarmente confuso su materie assai sensibili come l’energia e il clima. Entrambi i settori sono progressivamente più integrati a livello europeo e sono rappresentativi dei vantaggi di una maggiore cooperazione regionale.
Se da una parte è verosimile che l’Unione europea potrà in ogni caso completare il suo mercato, garantendo la sicurezza energetica ai suoi Stati membri e raggiungendo gli ambiziosi obiettivi climatici ed energetici che si è posta, potrà farlo solo grazie a un bel numero di aggiustamenti a livello comunitario. Per il Regno Unito, le condizioni del divorzio determineranno l’accesso alle regole Ue del commercio di energia e della protezione ambientale, con effetti tutt’altro che irrilevanti, in particolare per l’Irlanda del Nord.
GRAN BRETAGNA, UN’ISOLA INTERCONNESSA
Nonostante i singoli Stati membri dell’Unione europea siano in ultima istanza responsabili del mix energetico domestico e dell’approvvigionamento di energia per i propri cittadini, i Paesi devono sottostare a regolamenti comuni, sono interconnessi, legati da obiettivi comunitari in materia e dallo scambio di energia.
Legami, questi, necessari per rafforzare la flessibilità e la sicurezza dei sistemi energetici, ma anche per bilanciare la produzione crescente ma purtroppo intermittente di energia rinnovabile, sostenendo così il consumo di energia pulita. Il Regno Unito non fa eccezione. Proprio mentre si discute di come slacciare i rapporti tra l’isola e l’Europa continentale, il Paese inaugura il primo scambio di elettricità con il Belgio tramite un cavo sottomarino di 80 miglia.
Il Regno Unito è membro del mercato interno dell’energia, che consente scambi di gas ed elettricità armonizzati e privi di tariffe, importa elettricità e gas dall’Ue27 e dallo Spazio economico europeo e funge da Paese di transito per gli scambi dell’Europa continentale con l’Irlanda e la Norvegia. Legami che aumenteranno ulteriormente se le interconnessioni al momento pianificate tra il Regno Unito e l’Europa continentale vedranno la luce.
Sia chiaro, anche in caso di ‘no-deal’ non significa che improvvisamente si spezzeranno i ponti energetici col continente: questi continueranno a esistere, ma opereranno in termini inefficienti. Peraltro, con i giapponesi di Hitachi, ultimi in ordine di tempo ad abbandonare il programma per lo sviluppo del nucleare del Regno Unito, il Paese potrebbe avere adesso un buco pari a circa il 15% nella sua futura fornitura di energia elettrica.
QUESTIONE IRLANDESE E POLITICHE SUL CLIMA
Senza un accordo, la legislazione dell’Ue in materia di energia non si applicherà al Regno Unito, che di conseguenza non avrà più voce in capitolo neanche nella struttura che la attua, come nell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer). Analogamente, i finanziamenti europei, tra cui Connecting Europe Facility, non sarebbero più accessibili al Paese.
La doppia questione dell’Irlanda come Stato membro dell’Ue e come vicina di casa dell’uscente Irlanda del Nord è uno degli elementi di più complessa risoluzione. In primis perché il Paese si potrebbe trovare di fronte a un problema di sicurezza energetica – importa circa il 42% del suo fabbisogno di gas dalla Gran Bretagna tramite la Scozia – ma anche di fronte a minori ricavi dalle sue esportazioni di eolico e a prezzi dell’elettricità più volatili.
Una seconda dimensione del problema riguarda poi il funzionamento e il completamento del Single Electricity Market (Sem), istituito oltre un decennio fa con l’Irlanda del Nord per lo scambio di energia senza barriere nell’isola. Una sua messa in discussione potrebbe provocare blackout – la capacità nell’Irlanda del Nord è già ridotta e le vecchie centrali a carbone e a gas sono prossime alla chiusura -, nonché problemi legati ai diversi codici di rete sul lato Ue e Regno Unito.
Per quanto riguarda le politiche climatiche, il governo britannico ha assicurato la propria intenzione di salvaguardare gli standard ambientali europei, indipendentemente dall’esito dei negoziati. Sui tanti strumenti messi in piedi in questi anni, come il sistema di scambio delle quote di emissione (Ets) per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, si dovrà trovare una soluzione.
Il governo sta in ogni caso pensando agli standard post-Brexit, prevedendo anche un’agenzia per monitorare politiche e obiettivi, ma questa potrebbe vedere la luce solo dopo il 2021. L’Ue si sta nel frattempo attrezzando per tenere conto dell’uscita di uno Stato dal blocco di Paesi precedentemente calcolati negli obiettivi comuni, come ha appena fatto sull’efficienza energetica.
MIND THE GAP: SOLUZIONI RAPIDE CERCASI
La cooperazione lungimirante dell’Ue in materia di politiche, standard e infrastrutture per il clima e l’energia ha avuto un ruolo importante nel contenimento dei costi energetici e nel supporto a una transizione a basse emissioni di carbonio. La Brexit potrebbe portare a bollette più elevate, insicurezza energetica e ambizioni al ribasso sul clima. È quindi facile comprendere come sia nell’interesse di entrambe le parti mantenere e continuare a costruire dall’eredità positiva della cooperazione di questi anni.
Ma gli interessi condivisi si scontrano con lo stallo totale di questi giorni e con una vecchia disputa di principio. L’Unione europea non vuole condividere con il Regno Unito solo onori e non oneri. La May, d’altro canto, non sembra proporre alternative concrete all’accordo bocciato, risultato di faticosi negoziati. Le lancette, intanto, scorrono.
Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it