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Che c’entrano le terre rare con l’attacco di Trump all’Iran?

Il blocco del programma nucleare iraniano potrebbe essere solo un pretesto per mettere le mani sulle terre rare dell’Iran? Un dubbio legittimo se guardiamo al grande potenziale minerario sprecato dell’Iran e alla fame di terre rare di Trump

Le terre rare hanno sempre rappresentato un chiodo fisso di Trump. Dietro il repentino attacco degli Usa ai siti del programma nucleare dell’Iran, potrebbe celarsi l’obiettivo di mettere le mani sui minerali tanto preziosi per la transizione, di cui il sottosuolo iraniano è ricco?

QUANTE TERRE RARE HA L’IRAN?

Il presidente americano Donald Trump non ha mai fatto segreto del suo interesse per questi minerali strategici per la difesa e l’industria. Anzi, le terre rare sono al centro di diverse dichiarazioni pubbliche e accordi commerciali del tycoon. E non si può ignorare il fatto che l’Iran sia il primo Paese del Medio Oriente e il quindicesimo al mondo per ricchezze minerali. Lo Stato detiene il 17% delle riserve minerali mondiali. Tuttavia, la maggior parte di queste risorse è inutilizzata a causa delle limitazioni imposte dalle sanzioni americane, che limitano l’accesso a macchinari, infrastrutture, risorse finanziarie e investimenti esteri. In particolare, il sottosuolo iraniano è ricco di minerali strategici per la transizione digitale ed energetica, oltre che per la difesa.

Le terre rare ammontano, secondo le stime dell’Organizzazione Iraniana per lo Sviluppo e il Rinnovamento delle Miniere e delle Industrie Minerarie (IMIDRO), a 85 milioni di tonnellate. Inoltre, l’Iran è il secondo Paese al mondo per riserve di litio. Un primato raggiunto grazie alla scoperta a febbraio 2023 del giacimento nella provincia di Hamedan, che lo stesso istituto stima contenga riserve di 8,5 milioni di tonnellate di carbonato di litio equivalente. Inoltre, il sottosuolo iraniano vanta anche 11 milioni di tonnellate di riserve di zinco e significativi depositi di piombo, oro, bauxite, molibdeno, antimonio, zolfo e altri minerali strategici.

ECCO PERCHE’ GI USA HANNO BISOGNO DI TANTE TERRE RARE

Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno significativamente aumentato la loro produzione domestica di terre rare, raggiungendo il secondo posto della classifica dei produttori mondiali. L’anno scorso la produzione ha raggiunto 45.000 tonnellate di ossidi di materie prime critiche (REO), secondo i documento dell’U.S. Geological Survey “Mineral Commodity Summaries, January 2025”, con un valore stimato di 260 milioni di dollari. L’11,6% della produzione globale, appena dopo la Cina. La principale fonte di estrazione rimane la miniera di Mountain Pass in California, che produce bastnasite come prodotto primario.

Tuttavia, la produzione interna riesce a coprire appena il 20% del consumo degli Usa. Questo fa sì che oggi gli Stati Uniti sono ancora pesantemente dipendenti dalle importazioni, che nel 2024 hanno rappresentato l’80% del consumo apparente, secondo i dati dell’U.S. Geological Survey. L’anno scorso, infatti, il valore delle importazioni di composti e metalli di terre rare ha raggiunto 170 milioni di dollari (-11% rispetto ai 186 milioni del 2023).

L’ACCORDO CON L’UCRAINA

Le terre rare sono al centro dell’accordo strategico tra Ucraina e Usa per rafforzare la sicurezza delle forniture di minerali strategici. Un patto che dovrebbe essere firmato tra Trump e Zelensky, almeno stando agli annunci dei due leader. Il primo tentativo di accordo, a febbraio 2025, si è rivelato un buco nell’acqua. Infatti, gli Usa hanno chiesto all’Ucraina l’equivalente di 500 miliardi di dollari in terre rare per ripagare il supporto militare offerto dagli americani. Una richiesta considerata spropositata dal presidente ucraino.

L’IMPORTANZA DELLE TERRE RARE CINESI

Oggi gli Usa non possono fare a meno delle terre rare cinesi. Infatti, la dipendenza americana dalla Cina per alcuni elementi specifici supera il 90%. Nel caso dell’ittrio, le importazioni cinesi coprono l’intero fabbisogno americano. A complicare il quadro c’è il predominio di Pechino anche sulla raffinazione delle terre rare, che controlla oltre il 90% della capacità globale.

Il recente blocco delle esportazioni di sette elementi di materie prime critiche (samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio) deciso da Pechino, ha messo in luce quanto questa dipendenza sia il tallone d’Achille di Trump nelle trattative commerciali con Xi Jinping. Dopo giorni di trattative febbrili, a giugno Washington e Pechino hanno raggiunto un accordo per ripristinare l’accesso americano a terre rare e magneti asiatici. La Cina si è impegnata a riprendere le esportazioni di minerali essenziali per l’industria e la difesa Usa. Tuttavia, la guerra commerciale dei dazi non sembra ancora essere giunta alla fine. Trump potrebbe aver colto al volo l’occasione del conflitto tra Israele e Iran per emanciparsi dalle terre rare cinesi?

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