Il regime sotto attacco, Khamenei bersaglio di Israele. Il braccio di ferro interno a Teheran
L’attacco chirurgico sferrato da Israele contro le strutture militari e nucleari iraniane continua a far tremare i vertici della Repubblica Islamica. Al centro del terremoto politico e militare c’è proprio lui: Ali Khamenei, la Guida Suprema, simbolo del potere teocratico iraniano da oltre trent’anni. Mai come adesso la sua autorità vacilla. La decapitazione dell’apparato militare, con l’eliminazione dei vertici dell’esercito, dei Pasdaran e di nove scienziati chiave del programma nucleare, ha messo a nudo la vulnerabilità del regime. E la rabbia popolare – alimentata da anni di repressione, crisi economica e isolamento internazionale – rischia di esplodere.
IL BIVIO DELLA GUIDA KHAMENEI
Khamenei, 84 anni, si trova oggi a un bivio: rafforzare la linea dura e proseguire la sfida a Israele e Stati Uniti oppure allentare la presa, accettare compromessi e rilanciare il negoziato sul nucleare. Il sesto round di colloqui con Washington, previsto in Oman, è stato annullato su decisione iraniana dopo i bombardamenti. Ma anche prima dell’escalation, le trattative si erano arenate: gli Usa chiedono che l’arricchimento dell’uranio venga trasferito all’estero, mentre Teheran insiste sulla natura pacifica del suo programma e non intende rinunciare alla sovranità nucleare.
UNA FIGURA EMBLEMATICA
Nato a Mashhad nel 1939, Khamenei è uno dei volti storici della rivoluzione islamica. Allievo degli ayatollah Borujerdī e Khomeini, ha militato fin dagli anni Sessanta nei movimenti contro lo scià. Dopo l’89, alla morte del suo mentore Khomeini, ne ha raccolto il testimone diventando Guida Suprema. Ha sempre incarnato una linea conservatrice, antioccidentale e antisionista. È lui a nominare i membri religiosi del Consiglio dei Guardiani, controlla la magistratura e ha voce in capitolo su ogni scelta strategica del Paese. Per decenni, la sua influenza è stata assoluta.
Il presente però racconta un’altra storia. i recenti raid israeliani hanno colpito anche l’area di Teheran dove si trova la sua residenza, oltre al palazzo presidenziale del neoeletto Masoud Pezeshkian. Un segnale chiaro, che ha messo in discussione la sua invulnerabilità. Il premier israeliano Netanyahu ha lanciato un appello diretto al popolo iraniano affinché si liberi di un “regime malvagio e oppressivo”. E in un Iran attraversato da profonde tensioni sociali, il messaggio potrebbe trovare terreno fertile.
IL BRACCIO DI FERRO INTERNO
Sul fronte interno Khamenei è costretto a gestire una delicata dialettica tra falchi e colombe. Da un lato ci sono le Guardie della Rivoluzione, pronte a rilanciare l’offensiva per vendicare gli attacchi; dall’altro, la nuova leadership moderata di Pezeshkian cerca di riaprire il dialogo con l’Occidente per allentare la morsa delle sanzioni. Il leader supremo è stretto tra due visioni inconciliabili. E ogni scelta può aprire nuove crepe: cedere sul nucleare potrebbe sembrare un’ammissione di debolezza; proseguire lo scontro potrebbe portare il Paese sull’orlo del collasso.
Negli ultimi anni, si è parlato più volte delle precarie condizioni di salute di Khamenei e di un possibile passaggio di consegne al figlio Mojtaba. Ma oggi lo scenario appare ben più incerto. La sua figura, un tempo intoccabile, ora è al centro di un vortice di eventi che ne minano la legittimità, con il serio rischio di trovarsi di fronte all’ultima grande sfida del suo lungo regno.