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Colombia: chi è Gustavo Petro, il primo presidente di sinistra nella storia del Paese

Gustavo Petro

Svolta storica per la nazione: Gustavo Petro con la sua vice Francia Marquez ha racimolato 10.984.247 suffragi (50,57%), mentre lo sfidante Rodolfo Hernàndez si attesta su 10.242.763 voti (47,16%)

Alla fine “il Berlusconi delle Ande”, così come era stato soprannominato da alcuni (ma sono molti i soprannomi che si è guadagnato durante la corsa elettorale, come il Trump e il Bolsonaro colombiano, a seconda delle declinazioni e dell’avversario), non ce l’ha fatta. Sembrava destinato a sparigliare le carte, l’ingegnere 77enne Rodolfo Hernández, re del cemento, forte della sua campagna elettorale sopra le righe, giocata tutta su TikTok (dove ha racimolato in breve oltre un milione di follower), tra battute e gaffe forse fatali (a un certo punto ha espresso persino simpatia per Hitler, salvo poi correggersi: “mi sono confuso”).

 

E allora il Paese sarà governato da Gustavo Petro, anche lui candidato di rottura, che ha martellato l’elettorato chiedendo un voto contro l’establishment, contro il sistema che ha governato la Colombia per 200 anni. Ora sarà il candidato del Pacto Histórico il primo presidente di sinistra in un Paese che ha sempre temuto la svolta verso quella direzione, complici gli spettri del chavismo di Maduro e della Cuba di Fidel.

LA STORIA DI GUSTAVO PETRO

Nato 62 anni fa a Ciénaga de Oro, sulla costa caraibica, Gustavo Petro ha basato la campagna elettorale sulle proprie origini contadine, dicendo di aver sperimentato con mano le difficoltà delle classi più povere ed emarginate. In realtà in campagna c’è rimasto ben poco, avendo subito iniziato a fare politica, aderendo ai movimenti di protesta degli anni 70 del secolo.

UN FIDEL COLOMBIANO?

In quegli anni, Gustavo Pedro milita perfino nel M-19, gruppo armato di sinistra che si fa largo con attentati e sequestri, vivendo per un anno nella giungla. Un passato scomodo, brandito dagli avversari: da parte sua il neo presidente ha spiegato di aver aderito per convinzioni intellettuali e di non avere mai imbracciato un’arma, spostando l’attenzione sul fatto di aver scontato la militanza armata di quegli anni al momento della cattura e delle torture da parte dell’esercito, scampando alle esecuzioni sommarie con una rocambolesca fuga in Belgio.

 


Rientra in Colombia nel 1998 e finisce subito al Congresso. Dodici anni dopo, nel 2010, si candida alla presidenza. Sarà sconfitto. Si ricandida al giro successivo e viene nuovamente battuto. Deve accontentarsi della poltrona del sindaco di Bogotà ma il suo mandato non riesce a rivoluzionare come pure aveva promesso. Le classi povere continuano a essere emarginate nelle immense periferie della città, vivendo in condizioni estreme. Taciturno e schivo, si limiterà a dire di non avere avuto i poteri di fare ciò che sperava. Ora, però, da presidente, avrà l’opportunità di rivoluzionare realmente il Paese. E soprattutto in caso di fallimento non avrà altri alibi.

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