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Come fronteggiare le fake news

Fake News

L’innovazione nell’informazione pone questioni sempre nuove come il tema delle fake news. L’intervento di Oreste Pollicino, professore ordinario di diritto costituzionale e di diritto dei media presso l’Università Bocconi per Start Magazine

“Internet è il nuovo mercato libero delle idee”. Questa è la metafora preferita di chi sostiene, nel dibattito pubblico e accademico, che il tema delle fake news non debba essere discusso (e affrontato) dalle autorità pubbliche (e dal diritto pubblico). L’idea principale alla base di questa tesi è che se nel mondo degli atomi, come scrisse Justice Holmes nel 1919, “la migliore prova di verità è la capacità del pensiero di farsi accettare nella competizione del mercato”, ciò è ancora più vero nel mondo dei bit, in quanto Internet è in grado di amplificare il libero scambio e il confronto di idee e opinioni. Di conseguenza, secondo il paradigma del mercato delle idee, se è vero che “secondo il primo emendamento (della Costituzione statunitense, ndt) non esiste un’idea falsa” nel mondo materiale, ciò è ancora più vero grazie alla possibilità amplificata di esprimere pensieri nel digitale. In altre parole, le autorità pubbliche non dovrebbero avere alcun ruolo nei confronti della crescente diffusione delle fake news in Internet, perché gli utenti web dovrebbero (ottimisticamente) avere tutti gli strumenti per poter selezionare le idee più convincenti e le notizie vere, tralasciando le notizie false o non convincenti. Ciò presuppone una totale fiducia nella capacità di autocorrezione del mercato dell’informazione.

LA REGOLAMENTAZIONE DI INTERNET

Ma esiste una lettura alternativa della possibile relazione tra le autorità pubbliche, la regolamentazione e le verità in Internet? Oppure il diritto pubblico dovrebbe rinunciare a svolgere un ruolo in quest’ambito? Per provare a rispondere a queste domande è necessario fare un passo indietro e domandarsi cosa si nasconde sotto l’espressione “fake news”.
Secondo una prima possibile risposta, le fake news potrebbero essere definite come tutte quelle informazioni o notizie che contengono un certo grado di falsità. Potrebbero essere quindi informazioni totalmente inventate o solo parzialmente false. Ovviamente, come dimostrano la saga del diritto dell’oblio e molte altre questioni che stanno tornando in auge con il digitale, l’età del dibattito sulle notizie false non corrisponde all’età di Internet. Si tratta quindi “solo” del diverso grado di rilevanza e invadenza della stessa questione. È evidente che la natura globale della “nuova” tecnologia, ovvero il fatto che ogni utente di Internet possa fondamentalmente diventare un editore di notizie, possa diffonderle e (soprattutto) condividerle (anche se false) e il relativo aumento del potenziale impatto delle falsità diffuse in Internet, sta aumentando la necessità e l’urgenza di verificare le fonti di informazione nell’era digitale della post-verità. La vera sfida è come dovrebbe avvenire questo processo di verifica.

IL LIBERO MERCATO DELLE IDEE

Secondo i sostenitori della metafora del libero mercato delle idee, la scarsità di risorse rappresenta, per definizione, un limite dell’analogico e non del digitale, e di conseguenza non è necessario proteggere il pluralismo dell’informazione su Internet. Alla luce di ciò, le stesse norme giuridiche (e in particolare il diritto pubblico) dovrebbero fare un passo indietro in nome della presunta capacità di auto-correzione del mercato dell’informazione. Così come nel mercato economico non esiste un test di “validità” del prodotto, sebbene la domanda sia in grado di stimolare l’offerta basandosi sulla capacità del mercato di distinguere tra prodotti validi e scadenti, allo stesso modo la migliore soluzione per affrontare il fenomeno delle notizie false nel mercato dell’informazione è quello di garantire la più ampia diffusione possibile di ogni notizia, ovvero anche di quelle provenienti da fonti contraddittorie e non affidabili.

A mio avviso, questa tesi non è convincente. Prima di tutto, se è vero che il problema tecnico della scarsità di risorse non interessa Internet, è pur vero che l’attenzione e il tempo a disposizione continuano a essere un “prodotto” scarso. Infatti mentre aumenta la quantità di informazioni disponibili, le 24 ore che abbiamo a disposizione durante il giorno non possono aumentare. Inoltre, in un contesto simile in cui si è sovraccaricati dalle informazioni, la tentazione dell’utente sarà quella di andare alla ricerca di notizie, informazioni e idee che valorizzino e confermino il proprio pensiero e le proprie preferenze, portando il gruppo verso quel processo di polarizzazione così ben descritto da Cass Sunstein. In altre parole, nel mondo dei bit, molto più che nel mondo degli atomi, le decisioni tendono a spostare i gruppi e gli individui che li compongono verso un punto estremo della direzione indicata dal giudizio predeliberato. Ne risulta che, in termini abbastanza paradossali, in Internet, nonostante l’illimitata quantità di informazioni (o meglio, forse proprio a causa di ciò), lo scambio di opinioni diverse è meno pluralistico rispetto ai media tradizionali dove esiste ancora il problema della scarsità delle fonti.

LA TUTELA DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN EUROPEA E NEGLI USA

In secondo luogo, è ragionevole chiedersi se la metafora del mercato delle idee sia adeguata all’ambito di applicazione (e ai limiti) delle norme sulla protezione della libertà di espressione secondo il paradigma del costituzionalismo europeo. Innanzitutto, come è noto, in Europa la tutela della libertà di espressione è più limitata rispetto agli Stati Uniti. È infatti sufficiente confrontare il testo del primo emendamento della Costituzione statunitense con il testo dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani. Non si tratta tuttavia solo di una questione di ampiezza diversa del campo di applicazione, bensì di un focus diverso. Se da un lato, infatti, il primo emendamento si concentra principalmente sulla dimensione attiva relativa al diritto di esprimere liberamente i propri pensieri, dall’altro l’articolo 10 della Convenzione europea (ma anche l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) sottolinea la dimensione passiva legata al diritto all’informazione pluralistica. Alla luce di ciò, sarebbe possibile sostenere che le fake news non sono costituzionalmente considerate dalla visione europea della libertà di espressione. O per lo meno, il principio della Corte suprema degli Stati Uniti secondo cui, come in parte già accennato, “in base al primo emendamento non esistono idee false” potrebbe essere difficilmente accettata dai tribunali europei. Per quanto un’opinione possa sembrare perniciosa, per correggerla non possiamo fare ricorso alla coscienza di giudici e giurie, ma dal confronto con altre idee”.

Estratto di un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista cartacea Start Magazine; per informazioni e abbonamenti: info@startmag.it

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