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Come i Palazzi europei si dividono sulla web tax

Pace Fiscale, Flat Tax, Startup. Ecco Il Pacchetto Tributario Della Lega In Vista Della Manovra

Sulla web tax la confusione regna sovrana anche nell’Unione europea. L’ultima novità? Il Consiglio europeo contro la Commissione di Bruxelles.

Strano ma vero: l’ufficio legale del Consiglio l’8 ottobre ha fatto le bucce all’impostazione dettata dal governo europeo sulla digital tax.

Eppure – si nota in ambienti governativi che seguono il dossier – se non si escogita una tassazione europea del mondo digitale, i singoli Stati membri dell’Unione difficilmente resisteranno alla tentazione di far da sé, magari per punire o agevolare i grandi gruppi.

Certo, la concorrenza fiscale può essere utile anche in questo settore, ma su queste materie meglio andare in ordine sparso o con regole comuni?

Ma vediamo che cosa è successo.

COS’È LA DIGITAL TAX

La Commissione di Bruxelles ha proposto l’introduzione di una digital tax, una tassa che vada a colpire i profitti dei colossi del web. In sostanza, si tratta di imporre a Google, Amazon, Apple (ma anche a qualunque azienda che operi online) un balzello sui profitti, nello Stato in cui essi vengono generati. Attualmente non è così, e i colossi dell’IT pagano le tasse soltanto nei Paesi in cui hanno la sede legale. Per esempio, nel caso di Google e Apple, in Irlanda (che pur di accaparrarsi la sede europea di Mountain View ha adottato un regime fiscale decisamente favorevole ai giganti della Silicon Valley).

IL CAOS LEGISLATIVO EUROPEO

Attualmente in Europa regna il caos: ciascuno Stato regolamenta il regime fiscale delle imprese digitali per conto proprio. Dieci hanno già legiferato, altri si apprestano a farlo e Bruxelles pare decisa a introdurre una regola comune per tutti i Ventisette, per non compromettere la concorrenza e per evitare distorsioni, come ad esempio quella irlandese. L’introduzione di una digital tax rischia di scontentare i big del web. L’esecutivo europeo ha proposto un misura per cui le imprese digitali paghino il 3% delle entrate agli Stati in cui si generano gli utili. La palla è passata quindi al Consiglio dell’Unione Europea, e qui la questione pare essersi arenata su una questione giuridica.

IL PARERE DELL’UFFICIO LEGALE DEL CONSIGLIO

L’ufficio legale del Consiglio negli scorsi giorni ha espresso un parere sulle basi giuridiche della proposta della Commissione e sulla legittimità del provvedimento stesso. Il Consiglio (costituito dai rappresentanti dei governi degli Stati membri) non ha sollevato obiezioni rispetto agli intenti della misura, riconoscendo che essa introdurrebbe “un sistema armonizzato” e rimpiazzerebbe “misure divergenti assunte unilateralmente dai singoli stati” che potrebbero compromettere il regime di concorrenza. Tuttavia, il Consiglio non concorda con le Commissione sugli strumenti messi in atto per introdurre la digital tax.

I principali nodi da sciogliere sono due: la configurazione come “imposta indiretta” della digital tax e potenziali contrasti con i trattati internazionali in merito alla doppia tassazione. Ovvero il fatto che le aziende vedrebbero i propri utili tassati due volte: nel paese dove si generano i profitti e nei paesi in cui le compagnie hanno la sede. La Commissione considera la tassa digitale un’imposta indiretta e dunque ne ha inquadrato l’ordinamento sotto l’articolo 113 del Trattato dell’Unione Europea, quello che regola specificamente accise e tasse dirette o indirette.

(per gli approfondimenti tecnici, si può leggere l’articolo di Start Magazine)

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