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Meta

Come le Big Tech sfidano gli Stati: il caso Meta

Il Meta Super Intelligence Lab è costruito intorno a un obiettivo: spostare il baricentro dell’Intelligenza Artificiale dal completamento predittivo al ragionamento. Ecco come nel contributo del giornalista e data strategist Francesco Marino al nuovo numero del quadrimestrale d Start Magazine (anno IX, n.3 novembre 2025-febbraio 2026), che pubblichiamo qui in estratto

È stata un’estate calda nel mondo dell’intelligenza artificiale. Protagonista di un certo scompiglio tra ricercatori e addetti ai lavori è stato Mark Zuckerberg, numero uno di Meta. Che tra giugno e luglio ha iniziato una campagna piuttosto aggressiva di reclutamento di nuovi dipendenti, andando a pescare proprio tra le aziende concorrenti.

La prima a farne le spese è stata OpenAI, la società che ha creato ChatGPT. Quattro dei suoi migliori ricercatori – formalmente ingegneri, ma nel gergo della Silicon Valley il termine accademico fa status – hanno lasciato Sam Altman per unirsi a Meta. Poi è toccato a Thinking Machines Lab – ancora gergo universitario -, una startup fondata da Mira Murati, ex Chief Technology Officer della stessa OpenAI. Qui, Meta ha alzato la posta: circa quindici dipendenti hanno ricevuto da Menlo Park offerte plurimilionarie. Una di queste, secondo le indiscrezioni, avrebbe raggiunto il miliardo di dollari per un contratto pluriennale. La smentita poco convinta dell’azienda non è bastata a placare le voci, confermate da più parti nella Silicon Valley. Del resto, la media delle offerte in questa campagna di acquisizioni si sarebbe aggirata tra i 200 e i 500 milioni di dollari.

IL META SUPER INTELLIGENCE LAB

È una strategia chiara, quella di Zuckerberg: investire una quantità impressionante di denaro per accelerare sull’intelligenza artificiale generativa, per colmare il gap che separa Meta da aziende come OpenAI, Google e Anthropic. L’aveva detto a luglio, quando aveva parlato di investimenti da centinaia di miliardi di dollari per costruire infrastrutture e data center; lo ha confermato a settembre, quando ha detto che non sarebbe un grosso problema perdere qualche centinaia di milioni di dollari per primeggiare nel campo dell’AI generativa. La strada verso questa risalita si chiama Meta Super Intelligence Lab. Dietro questa sigla c’è un laboratorio in grado di avvicinare la soglia della superintelligenza con risorse industriali e metodo ingegneristico, pur conservando la libertà di movimento e la profondità scientifica dei centri di ricerca più avanzati.

SUPERINTELLIGENZA PER POCHI

Il primo tratto che colpisce è la struttura agile. Non ci sono team da centinaia di persone né livelli intermedi di management. Il modello è quello di un gruppo snello, con accesso a tutto ciò che serve – calcolo, dati, infrastrutture – e con un margine di manovra molto ampio. La frase usata da Zuckerberg, che ha parlato di “pochi posti sulla barca”, ha fatto il giro della stampa specializzata, ed è diventata quasi una firma: dentro MSL si lavora a soglie alte, con un’idea precisa di selezione e concentrazione delle risorse.

MSL è costruito intorno a un obiettivo: spostare il baricentro dell’intelligenza artificiale dal completamento predittivo al ragionamento. Lavorare cioè non su modelli che indovinano la parola successiva in una sequenza, ma su modelli che sanno costruire catene logiche, prendere decisioni in contesti incerti, usare strumenti esterni per aggiornare la propria conoscenza. Questo significa affrontare una serie di problemi tecnici ancora aperti: il controllo della memoria, l’affidabilità delle inferenze, la capacità di pianificare, l’uso del contesto in tempo reale.

Per farlo, il laboratorio è pensato come un motore di sviluppo che si innesta in modo molto stretto dentro l’ecosistema di Meta. I progressi nella ricerca sono finalizzati a diventare prodotto: ciò che viene costruito nel laboratorio deve poter alimentare gli assistenti digitali, le interfacce vocali, gli occhiali intelligenti, le piattaforme che milioni di persone usano ogni giorno. È un ciclo integrato: ricerca di base, sviluppo applicato, test su larga scala. MSL si muove in una zona intermedia tra due culture: quella della ricerca accademica, lenta, pubblica, spesso orientata alla comprensione; e quella dell’impresa tecnologica, veloce, riservata, orientata all’efficienza e all’implementazione. Il laboratorio promette di conciliare le due cose. Di avere tempo per pensare, ma anche urgenza di costruire. Di pubblicare, quando serve, ma soprattutto di rilasciare. Di fare avanzare la frontiera tecnica e, allo stesso tempo, trasformarla in uno standard industriale.

LA SFIDA AGLI STATI: MOVE FAST AND BREAK THINGS

L’obiettivo finale è il “moat”, il Sacro Graal della Silicon Valley: un vantaggio competitivo talmente profondo da diventare incolmabile. Oggi nessuno è ancora riuscito a scavare questo fossato, nemmeno OpenAI. I chatbot attuali, per quanto potenti, si assomigliano; l’evoluzione decisiva è ancora da scoprire. E per avanzare serve ritrovare la mentalità che lo stesso Zuckerberg, agli inizi di Facebook, aveva riassunto nella frase Move fast and break things, muoviti veloce e rompi “cose”. L’obiettivo del MSL, più di ogni altra cosa, è agire in velocità, qualunque siano i costi. Per ottenere un vantaggio competitivo, da un lato; per arrivare prima dei Governi e trovarsi a poter negoziare condizioni dall’altro. In questo senso, il laboratorio non è solo un centro di sviluppo: è uno strumento di pressione geopolitica, capace di agire su governi locali e su quadri regolatori ancora incompleti.

ANTICIPARE IL QUADRO NORMATIVO

Un esempio concreto è il nuovo data center da oltre due miliardi di dollari che Meta sta costruendo a Richard Parish, in Louisiana. Il sito, uno dei più grandi mai realizzati negli Stati Uniti per scopi legati all’intelligenza artificiale, ha ricevuto un pacchetto di agevolazioni fiscali e autorizzazioni straordinarie. L’accordo include la costruzione di nuove turbine a gas per sostenere il carico di calcolo necessario ad addestrare i modelli su larga scala. La compagnia ha negoziato direttamente con Entergy, il fornitore energetico locale, per assicurarsi una capacità stabile e continua. In cambio, l’impatto occupazionale previsto è ridotto: circa 30-50 posti di lavoro diretti. I benefici per il territorio, al netto della ricaduta fiscale indiretta, restano difficili da quantificare. Ma ciò che conta per Meta è il vantaggio immediato: l’accesso rapido a un’infrastruttura chiave, in una regione dove il costo dell’energia è relativamente basso e la regolazione ambientale più flessibile rispetto ad altri Stati.

Questo caso non è isolato. È parte di una strategia più ampia in cui le Big Tech, e in particolare Meta, utilizzano la leva dell’innovazione per trattare direttamente con le autorità pubbliche, spesso imponendo tempi e condizioni. Il fine è costruire, consolidare, scalare prima che il quadro normativo si stabilizzi. Il laboratorio diventa così anche un acceleratore politico: un modo per creare uno status quo di fatto, rendendo più difficile un intervento ex post da parte dei regolatori. Non è una novità, ma oggi avviene su un terreno diverso. Quando l’obiettivo dichiarato è costruire “un’intelligenza superiore a quella umana”, le condizioni in cui questa corsa si svolge non sono più solo affari aziendali. Riguardano, in modo diretto, le scelte che le società possono o non possono fare su tecnologia, lavoro, ambiente, controllo dei dati.

IL RUOLO DEGLI STATI

Il ruolo degli Stati, in questo contesto, riguarda soprattutto la regolamentazione e la valutazione ex ante. Negli Stati Uniti, a gennaio 2025 la Casa Bianca ha firmato l’ordine esecutivo Removing Barriers to American Leadership in AI, che revoca il precedente impianto di regole dell’era Biden e riorienta la politica federale sull’AI in chiave di leadership tecnologica e geopolitica. L’orientamento dell’amministrazione Trump è chiaro: garantire margini di manovra più ampi alle aziende americane per accelerare sviluppo e adozione. In Europa il quadro è più strutturato, almeno sul piano normativo. L’AI Act (Regolamento 2024/1689) è entrato in vigore il 1° agosto 2024 e diventerà pienamente applicabile in fasi. Per i sistemi di intelligenza artificiale generali, le disposizioni sono scattate il 2 agosto 2025, con obblighi di trasparenza, watermarking, rispetto del copyright e audit indipendenti. A sostegno, il Codice di Pratica per i GPAI, pubblicato il 10 luglio 2025, offre linee guida volontarie per dimostrare conformità anticipata. Meta ha però annunciato che non lo firmerà, giudicandolo troppo oneroso e incerto dal punto di vista legale.

L’Italia, a settembre 2025, ha fatto un passo ulteriore: ha approvato la prima legge nazionale sull’intelligenza artificiale in Europa, entrata in vigore il 10 ottobre. Il testo introduce limiti precisi per l’uso dei sistemi generativi da parte dei minori di 14 anni (accesso solo con consenso dei genitori), rafforza la tracciabilità dei contenuti, assegna ad AgID e all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale compiti di vigilanza, e prevede la creazione di un fondo fino a un miliardo di euro per sostenere filiere considerate strategiche. È la velocità, il punto nodale della questione. Ma non riguarda solo il divario tra imprese e governi: riguarda anche le differenze tra le aree del mondo.

Negli Stati Uniti la discussione è intrecciata al ritorno di Donald Trump e alla sua idea di usare la tecnologia come leva di potere nazionale. In Europa la priorità è la regolazione, più che la capacità di investimento. In Cina, lo Stato resta il principale attore, e il rapporto con le Big Tech è di dipendenza reciproca. Ne emerge un quadro frammentato, in cui la corsa alla superintelligenza non si gioca soltanto sul piano tecnico, ma anche sul terreno della politica internazionale. Ed è qui che la velocità diventa davvero decisiva: chi riuscirà a fissare per primo regole, standard e infrastrutture avrà la possibilità di condizionare gli altri, costringendoli a muoversi dentro uno spazio già definito.

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