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Come parlano (male) i media della bomba atomica

Come si parla della bomba atomica? I nomi asettici delle bombe aiutano a tenere sotto controllo la paura alla quale una “pace armata” costringe

C’è una leggenda, riportata da alcuni storici, secondo cui Kyoto venne risparmiata dalla bomba atomica grazie a un viaggio di nozze. Il segretario alla Guerra statunitense Henry Stimson, uno degli uomini chiave nella pianificazione dell’attacco nucleare, aveva visitato la città giapponese con la moglie anni prima. Ne era rimasto incantato. Fu proprio lei a convincerlo a rimuoverla dalla lista degli obiettivi. E così Kyoto fu salva. Altre due città, invece, no. Hiroshima e Nagasaki furono polverizzate dalla bomba atomica: un orrore indicibile di cui parliamo con parole sobrie, educate, quasi anestetizzate: “ricorrenza”, “monito”, “deterrente”. Perché?

ANESTETIZZARE L’APOCALISSE: W76 PER DIRE BOMBA ATOMICA

Il vocabolario delle armi nucleari – e, in misura simile, quello della guerra – è una lingua grigia: tecnica, disincarnata, distante. Si legge di “equilibrio del terrore”, “arsenale strategico”, “proiezione di forza”, “teatro operativo”, “first strike” e “second strike” come se non si stesse descrivendo la fine del mondo. Anche le bombe hanno nomi asettici, che potrebbero benissimo identificare frigoriferi o climatizzatori: W76, B61, Minuteman III, Hwasong‑18. Nessuna si chiama “Morte certa” o “Strage totale”. Le parole non sono solo etichette, sono spazi cognitivi ed emotivi. Se mancano, rischiamo di non sentire. In quest’ottica, il lessico tecnico dell’atomica non si limita a descrivere ciò che è accaduto: condiziona il modo in cui immaginiamo ciò che potrebbe accadere.

 

DETERRENZA: IL LINGUAGGIO DELLA PACE NASCONDE UN EQUILIBRIO SUICIDA 

La bomba atomica serve a spaventare ma non deve essere usata. Questo è il succo del concetto di deterrenza. Nel suo significato più tecnico è l’azione o la strategia volta a scoraggiare un comportamento nemico attraverso la minaccia di una rappresaglia così terribile da far desistere chiunque dal colpire per primo. In altre parole, è il patto implicito: “Se tu colpisci, io rispondo, e moriamo entrambi.” È un’idea di sicurezza fondata sull’insicurezza, una contraddizione logica che funziona solo finché resta astratta. Infatti, al di là della retorica diplomatica, la deterrenza è uno stallo: una pace basata sulla minaccia, non sulla fiducia. Basta che un solo attore – uno solo – agisca in modo irrazionale per far crollare l’intero castello.

QUANDO IL MONDO È ANDATO VICINO AL DISASTRO NUCLEARE 

Nella storia della Guerra fredda più volte il mondo è andato vicino al disastro nucleare. L’occasione più eclatante è stata il 16 ottobre del 1962 quando Cuba consente a Mosca di schierare una batteria di missili nucleari puntati contro la Florida. L’allora presidente Kennedy schierò la flotta ma alla fine le due super potenze riuscirono a trovare un accordo e a ritirare le armi. Pochi anni dopo furono due falsi allarmi a far rischiare al mondo di andare in fumo. Il primo il 9 novembre 1979 quando i computer del Norad (il Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America) lanciarono l’allarme per un imminente attacco nucleare sovietico con oltre 2mila missili scagliati contro gli USA. Dopo 6 minuti il Norad comunicò che si è trattato di un falso allarme. Lo stesso, a parti invertite, accadde il 26 settembre 1983 quando un satellite sovietico segnalò il lancio di un missile intercontinentale nucleare. La guerra nucleare fu sventata dalla logica del tenente colonnello Petrov che riuscì a convincere i suoi superiori del fatto che un attacco americano con un solo missile non fosse un’ipotesi plausibile. La deterrenza, sinora, ha funzionato ma l’inciampo è sempre dietro l’angolo e non sempre prevedibile.

IL FUTURO SOSPESO DELLA BOMBA ATOMICA

Il linguaggio, dunque, che si usa per raccontare la bomba riflette l’incapacità ad affrontare la realtà. Non è un’astrazione geopolitica ma una scelta politica che, se imboccata, può portare alla nostra autodistruzione. In uno scenario multipolare, in cui si affacciano nuove potenze, l’architettura del controllo nucleare appare più labile. Nonostante ciò la “modernizzazione degli arsenali” prosegue a ritmi più serrati che in passato confermando la strategia che vede la pace reggersi su una minaccia perenne e non sull’assenza di paura.

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