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Ecco come Johnson sta spianando la strada alle future relazioni con Trump

L’analisi di Dario Mazzocchi sulla Special Relationship tra Boris Johnson e Donald Trump

Durante l’ultimo dibattito televisivo con il rivale Jeremy Hunt ospitato da ITV, Boris Johnson ha voluto rimarcare che sarebbe presuntuoso da parte sua pensare di essere già il nuovo primo ministro britannico. La conta dei voti tra gli iscritti al Partito conservatore è in corso, alcuni tra gli esponenti più importanti hanno pubblicato sui propri account social le foto mentre barravano sulla scheda la casella accanto al nome dell’uno o dell’altro, mentre i due percorrono centinaia di chilometri per accaparrarsi più simpatie possibili. Ma a dispetto delle parole, il favorito della contesa sta iniziando a prendere le misure per preparare la strada alle future relazioni con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

TANTI PUNTI IN COMUNE

I due paiono intendersela con messaggi di reciproco sostegno. Li accomuna anche la feroce critica da parte di opposizioni e molti opinionisti, ma se Trump ha dimostrato più volte di non curarsene, Johnson deve farci i conti in queste battute finali di “campagna elettorale”, evitando di ritrovarsi impelagato in polemiche dannose. Da ultima quella scatenata dalla vicenda che ha per protagonista l’ormai ex ambasciatore britannico a Washington, Kim Darroch, finito al centro delle cronache per una serie di considerazioni negative nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca nelle quali lo definiva “inetto” e “disfunzionale”: commenti contenuti in documenti confidenziali pubblicati dal Mail on Sunday. Non è la prima volta tra l’altro che Darroch si ritrova nell’occhio del ciclone perché tre anni fa, all’indomani della vittoria di Trump, in un altro memo oggetto di fughe di notizie e diretto a Downing Street sosteneva che il nuovo presidente potesse essere influenzato dal governo britannico.

Un nuovo incidente diplomatico quindi al quale Trump ha risposto senza mezzi termini annunciando l’interruzione di qualsiasi tipo di rapporto con l’ambasciatore: non occorrerà, visto che lo stesso Darroch ha presentato le dimissioni, interrompendo una prominente carriera diplomatica iniziata nel 1979 – resterà in carica fino alla nomina del sostituto.

IL SOSTEGNO DI MAY ALL’EX AMBASCIATORE BRITANNICO NEGLI USA

Da Westminster Theresa May, primo ministro ancora per pochi giorni, ha trasmesso il suo sostegno a Darroch annunciando un’indagine del governo per capire come si sia giunti alla scottante soffiata. Il capo della Commissione per gli Affari internazionali, il conservaore Tom Tugendhat, ha invece aizzato il fuoco delle polemiche sul fatto che Johnson non abbia reso una chiara posizione a difesa del diplomatico: “I leader si schierano al fianco dei loro uomini. Li incoraggiano e cercano di difenderli quando sbagliano”. Decisamente più personale l’affondo di Sir Alan Duncan, ministro per l’Europa e le Americhe, che si è detto “gravemente deluso” perché il front runner del suo partito non si è voluto schierare al fianco del “nostro ambasciatore, del nostro primo ministro e della nostra nazione”.

La vicenda Darroch ha d’altra parte riaperto alcune recenti ferite che hanno contraddistinto la Special Relationship che lega le due capitali dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e che Johnson vuole sanare anche in chiave di contrattazioni con l’Unione europea. Trump è infatti tornato a criticare il mandato della May e la gestione delle trattative per Brexit, ricordando che da parte sua aveva offerto consigli che non sono stati seguiti. “Mi è difficile non essere d’accordo”, ha quindi risposto Johnson al giornalista della testata Politico che gli sottoponeva i tweet presidenziali sulla disastrosa strategia della May.

L’IMPORTANZA DELL’AMICIZIA CON TRUMP PER JOHNSON

Per Johnson la simpatia di Trump è strategica. Molti Brexiteers non hanno mai celato un certo fastidio per gli ambienti dei civil servants e dei funzionari governativi per via delle posizioni contro l’uscita dell’Ue (nella lista dei pessimisti c’è anche Darroch) che avrebbero compromesso il risultato del referendum 2016, rallentando Brexit il più possibile per disinnescarla definitivamente, mentre il Commander in Chief americano ha sempre apertamente sostenuto l’esito del voto che ha scombussolato lo status quo prima che la sua elezione lo ribaltasse del tutto. D’altra parte le probabilità di un forte accordo commerciale ed economico concluso tra il nuovo governo londinese e l’amministrazione americana potrebbe scaricare la pressione su Bruxelles che a quel punto sarebbe più incline ad accettare un compromesso per chiudere la pratica, magari sul tema tanto ostico del backstop tra Irlanda ed Irlanda del Nord, per non passare da terza incomoda e con lo spettro di un no deal più minaccioso che mai.

“He’s a friend of mine”, era la battuta con cui Trump battezzò Johnson durante il suo ultimo viaggio a Londra. Per convenienza (non sarebbe la prima volta nel mondo della diplomazia) o convinzione, la nuova relazione speciale inizia a prendere forma e avviene con toni meno diplomatici nella forma, ma capaci di rivelarsi decisivi nella sostanza.

 

Articolo pubblicato su atlanticoquotidiano.it

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