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Europee, com’è andato il dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione Ue

Europa Geopolitica

L’analisi di Serena Rosadini per Affarinternazionali sul dibattito svoltosi lo scorso 29 aprile a Maastrich tra i candidati alla presidenza della Commissione europea

Dopo cinque anni dalla sua prima edizione e a meno di un mese dalle elezioni europee, il 29 aprile si è tenuto a Maastricht, nei Paesi Bassi, il dibattito tra i candidati alla presidenza della  Commissione europea. Lo scopo principale del rarissimo confronto diretto tra gli Spitzenkandidaten – normalmente impegnati in campagne elettorali singole o in mansioni istituzionali – è quello di legittimare il potenziale futuro esercizio dell’autorità che reclamano, di spiegare come intendono utilizzare il potere loro concesso, una volta ottenuto.

I candidati presenti al confronto sono stati cinque: Violeta Tomic (Party of European Left, Gue/Ngl), Frans Timmermans(Party of European Socialists, S&D), Guy Verhofstadt (Alliance of Liberals and Democrats for Europe, Alde), Bas Eickhout(European Green Party, Verdi) e  Jan Zahradil (Alliance for Conservatives and Reformists in Europe, Ecr); ma nell’aria del Theater aan het Vrijthof e durante tutto il dibattito, più che le cinque presenze si è notata l’assenza del candidato dello European People Party (Epp), Manfred Weber, sottolineato a più riprese dai candidati e dai due moderatori, Ryan Heath di Politico Europe e Rianne Letschert dell’Università di Maastricht.

Il dibattito è incentrato su tre temi: Europa digitale, Europa sostenibile e il futuro dell’Europa. Ma i diversi approcci dei candidati si sono notate già ben prima dell’inizio, con il candidato verde arrivato a cavallo della sua bicicletta, mentre quattro macchine scure sfilavano davanti all’ingresso del teatro. Punto a favore.

BATTUTE INIZIALI

Prima di entrare nel vivo del dibattito, ogni candidato ha avuto un minuto a disposizione per una dichiarazione d’apertura che riassumesse le sue posizioni, obiettivi politici e stile. Frans Timmermans ha, da una parte, cavalcato il successo spagnolo registrato dai socialisti di Pedro Sanchez nelle urne del giorno prima e, dall’altra, ha giocato la carta della provenienza personale dal Paese che ospita il dibattito (con pronuncia corretta di “Maastricht”). Il socialista ha fatto riferimento alla città universitaria che ospita l’evento, facendo presente che molti studenti non sarebbero qui, se non fosse per l’Unione europea e Schengen.

Il ceco Jan Zahradil, nazionalista convinto, sottolinea come le differenze sociali e nazionali contino in un’Unione di 27 Paesi e come siano necessarie in questo puzzle di culture e usanze, soluzioni ad-hoc e un’Europa flessibile, adattabile alle singole nazioni. Una linea da cui si dissocia il liberale Guy Verhofstadt, sostenendo che il domani è un mondo di Imperi: Cina e Russia in particolare sono due esempi dei partner internazionali con cui ci troveremo a discutere e collaborare e dobbiamo essere preparati e all’altezza per fare da contrappeso ai giganti globali, e questo può avvenire solo con un’Europa unita, non rifugiandosi in partiti ideologici. Violeta Tomic, unica donna sul palco (ma non unica candidata; anche i verdi ne hanno una, Ska Keller, e i liberaldemocratici addirittura cinque – Emma Bonino, Violeta Bulc, Margrethe Vestager, Katalin Cseh e Nicola Beer) si è presentata invece come “outsider” rispetto all’esperienza precedente che i suoi concorrenti hanno nelle istituzioni europee, e come campione anti-burocrazia. Bas Eickhout ha fatto, da par suo, leva sul tema caldo del cambiamento climatico e sulle sue competenze in materia, da combinare con il bisogno europeo per una maggiore giustizia sociale. Scaldati i motori, si comincia.

I TRE TEMI DEL DIBATTITO

Il primo tema ad essere affrontato, Digital Europe, ha visto già un cambiamento nei modi e nell’atteggiamento dei candidati rispetto all’ultima edizione del dibattito nel 2014. All’epoca, i candidati erano stati criticati per essere troppo accondiscendenti e poco conflittuali, facendo sembrare il tutto uno stranamente educato, poco coinvolgente scambio di opinioni.

Ad oggi, tutti sarebbero a favore di una maggiore regolazione delle nuove tecnologie, ma ognuno puntualizza un particolare dettaglio delle sue modalità a seconda delle proprie idee politiche: per Zahradil ci vuole assistenza della Commissione agli Stati Membri, non un’azione uniforme e armonizzata come invece sottolineato da Verhofstadt, che ha promosso anche la creazione di piattaforme e risorse made in Europe, il che permetterebbe un aumento della competitività globale e una minore dipendenza da altri colossi statunitensi e asiatici.

Tomic ha riportato l’attenzione sulla tanto discussa tassazione delle società informatiche per generare lavoro, educazione e superamento dell’austerità. È stato Timmermans mettere tutti d’accordo (o quasi), difendendo e promuovendo la protezione dei nostri dati e la tassazione delle aziende tecnologiche e coniugandoli con un investimento nel digitale che abbia un forte impatto sociale senza dimenticare però i rischi e le minacce nel mondo cyber.

Il secondo argomento trattato, Sustainable Europe, si è rivelato più controverso e conflittuale, nonostante la logica porterebbe a pensare che si sia tutti d’accordo sul salvare il pianeta e l’ambiente dei quali sfruttiamo risorse non rinnovabili come se lo fossero. Eickhout ha promesso di fare della politica ambientale una competenza esclusiva della Commissione, in modo da poter essere davvero al cuore di ogni iniziativa dell’Unione, tralasciando però che una competenza è trasferita a livello europeo solo con il consenso degli Stati Membri. E se Timmermans ha ricordato che la sostenibilità non è un’esclusiva del partito dei Verdi e che anche gli altri partiti possono e vogliono avere un lato ambientalista nelle loro iniziative (“Green is not exclusivity of the Green Party”), Zahradil non si è trovato d’accordo con i colleghi: alla domanda e risposta per alzata di mano “Chi di voi sostiene lo sciopero del clima?” il suo è l’unico braccio a restare inerme sul leggio. Il commento: “Non tutti i Paesi sono pronti a questa transizione. Non poniamoci nuovi obiettivi se non siamo stati in grado di raggiungere quelli già prefissati.”

Il terzo e ultimo tema, The Future of Europe, inizia con un sorprendente scroscio di applausi quando viene posta la domanda “Chi di voi si impegna a promuovere una Commissione volta alla parità di genere se vincesse le elezioni?” e tutti i candidati guardano le cinque mani alzate l’uno dell’altro. Dopo lo stupore iniziale, le divergenze riaffiorano: Verhofstadt e Timmermans spingono su quello che l’Unione ha già raggiunto in termini di parità di genere e su quello di cui ancora c’è bisogno, come più mobilità e sicurezza sociale, che va armonizzata tra gli Stati membri. È Eickhout a smuovere il confronto, sostenendo che le parole dei due coprono in realtà una mancanza di fatti: solo recentemente, per esempio, la lunga battaglia dei tirocinanti dei parlamentari europei ha visto i giovani ricevere un compenso minimo per il loro lavoro. Finora le istituzioni hanno fatto poco, è ora di accelerare nell’ambito della sicurezza (sociale e non) e implementare un salario minimo europeo. “Il salario minimo è calcolato secondo bisogni e contesti economici locali, che differiscono di Paese in Paese: non si può armonizzare!” controbatte Zahradil.

UN BILANCIO A CALDO

Non si può certo dire che sia stato un dibattito sottotono come accaduto cinque anni fa. Le differenze e frizioni tra i candidati e i partiti europei che rappresentano sono affiorate in maniera distinta e accentuata in diverse occasioni. Nonostante non si sia parlato di Brexit e si sia solo accennato alla necessità si una politica unitaria di asilo e immigrazione, temi caldi e di scontro in questi mesi all’interno delle istituzioni europee, il confronto tra candidati non è stato dei più miti, mantenendosi sempre nel rispetto e nell’educazione che si confanno a un dibattito politico.

Specialmente Eickhout si è dimostrato particolarmente aggressivo nei confronti di Verhofstadt, attaccandolo direttamente due volte con accuse di incoerenza tra parole e azioni in Parlamento. Verhofstadt si è difeso bene in prima istanza, ma è sembrato scivolare e calare con l’avanzare del dibattito. Timmermans ha affrontato bene i temi all’ordine del giorno; è preparato, parla bene e sa quali questioni stanno a cuore ai suoi elettori, ma la sua dialettica a Maastricht è parsa poco concreta – per riprendere le parole di Ryan Heath, “no ‘blah blah’ here”.

A confronto, Eickhout e Verhofstadt sono apparsi più concreti, si sono lasciati andare a qualche promessa e priorità, ma va considerato che – secondo gli ultimi sondaggi – i due rispettivi partiti hanno poche se non nulla probabilità di avere la maggioranza a  Strasburgo e di trovarsi quindi a dover render conto della concretezza promessa. Nell’angolo a destra, Zahradil è apparso totalmente isolato e con argomenti alquanto deboli, nonostante i conservatori si attendano un notevole aumento di voti nelle urne di maggio. Anche Tomic è apparsa debole e in disparte, incapace di inserirsi nel dibattito e di mettere a segno un affondo, restando tristemente sullo sfondo e non riuscendo a sfruttare a suo vantaggio il fatto di essere l’unica figura femminile sul campo. Lo scontro è stato quindi tra Verhofstadt e Eickout e occasionalmente ha incluso anche Timmermans, che però è apparso come l’uomo forte della situazione, in parte anche per l’assenza di Weber, suo rivale ideologico e politico.

La sensazione del pubblico è rispecchiata dal sondaggio informale condotto in chiusura: “Chi pensate abbia vinto’ il dibattito di stasera?”. Timmermans ottiene il 43%, seguito da Eickhout (36%) e con la triplice coda di Verhofstadt (9%), Zahradil (7%) e Tomic (5%). Considerando tutte le limitazioni del caso – e la pesante assenza dello Spitzenkandidat del Ppe -, tra meno di un mese sapremo quanto questi numeri rappresentano la reale percezione e le preferenze dell’elettorato europeo.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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