Un'inchiesta giornalistica internazionale accusa l'Unione europea di finanziare la deportazione di profughi afgani e siriani…
Il tornante della politica turca
Il voto in Turchia continua a far discutere, con riferimento al presente e al futuro di Erdogan. L’analisi di Riccardo Pennisi
La larga vittoria dell’opposizione alle elezioni amministrative in Turchia dice agli osservatori soprattutto due cose. La prima e più importante, che la democrazia turca resta vitale e plurale nonostante i contestati mandati di Recep Tayyp Erdogan: lo scorso anno gli elettori gli hanno concesso il terzo da Presidente, ma considerando anche quelli da Primo ministro, è al potere dal 2003. Nonostante il fallito colpo di stato del 2016, la partecipazione alla guerra in Siria e le nuove violente tensioni alimentate contro la componente curda, e la repressione nei confronti dei centri di potere indipendenti, come media e università.
E nonostante, infine, l’allontanamento politico e strategico dall’Unione Europea (non che quest’ultima della democrazia sia il faro, sia chiaro), in favore di intese indipendenti nei vari teatri in cui la Turchia si proietta, come il Caucaso e il Mar Nero, la Siria e la Palestina, il Mediterraneo orientale e la Libia, e il rifiuto di partecipare alle sanzioni occidentali contro la Russia di Putin.
LA DEMOCRAZIA TURCA RESTA VITALE E PLURALE NONOSTANTE ERDOGAN
Il secondo messaggio sottolinea invece quello che era stato indicato da molti come un grave errore strategico dell’opposizione alle elezioni presidenziali dello scorso maggio, ossia la scelta di un candidato di compromesso, ma niente affatto trascinatore, invece del popolare sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, del Partito repubblicano popolare (CHP). La grave crisi economica, con l’inflazione galoppante, e le polemiche attorno alla gestione dei soccorsi dopo il devastante terremoto di pochi mesi prima avevano fatto ritenere possibile una sconfitta del presidente uscente, ma Kemal Kılıçdaroglu perdeva contro Erdogan, seppure al ballottaggio, 52 contro 48%. Ed Erdogan vinceva comunque nelle zone più povere del Paese, e (stra)vinceva anche nelle regioni colpite dal sisma.
LA RIVINCITA DELLE OPPOSIZIONI
Stavolta, invece, l’opposizione si è presa una rivincita: Imamoglu è stato rieletto per un secondo mandato alla testa della città più popolosa d’Europa (16 milioni di abitanti) con il 51% dei voti, contro il 40 del candidato del partito di Erdogan. Consapevole della popolarità del sindaco uscente, il capo dello Stato aveva moltiplicato gli ostacoli politici e legali per impedirne l’azione amministrativa, cosa che restituisce ancor più significato a questa vittoria. Il valore di Istanbul nella politica turca è enorme, ed Erdogan ne è consapevole proprio perché il municipio della città è stato anche il suo trampolino di lancio: ne è stato sindaco dal 1994 al ’98. Istanbul è una città-mondo; porta all’erario la metà delle entrate fiscali del Paese, e da sola rappresenta un terzo del sistema economico. Governarla significa avere una fonte inesauribile di prebende e clientelismo per gli uffici amministrativi, e un accesso senza paragoni alle risorse pubbliche e private che gravitano sulla Turchia.
PERCHE’ LA VITTORIA DELL’OPPOSIZIONE ALLE AMMINISTRATIVE IN TURCHIA E’ IMPORTANTE
Ma ecco, in 6 punti, perché la vittoria dell’opposizione alle amministrative in Turchia è importante:
1. E’ una conferma che nonostante tutto la democrazia in Turchia è viva e vegeta. Non è poco, visto quello che succede in Europa, Russia e Medio Oriente.
2. E’ una sconfitta personale di Erdogan. Il capo dello Stato, al potere da vent’anni, si è impegnato in prima persona nella campagna elettorale, oscurando i candidati dell’AKP.
3. L’ampiezza del risultato è rilevante: l’opposizione, guidata dal CHP, ha vinto nelle prime 5 città del Paese – Istanbul, Ankara, Smirne, Bursa, Antalya – ma anche in zone dove il consenso di Erdogan sembrava inattaccabile.
4. Il peso di Istanbul. La metropoli di 16 milioni di abitanti ha confermato il sindaco Imamoglu, dell’opposizione, lanciandolo ufficialmente come sfidante di Erdogan a livello nazionale. L’operazione di riconquista lanciata da Erdogan (che fu sindaco negli anni ’90, e conosce l’immenso valore politico della città) è fallita.
5. La crisi economica della Turchia sta ridisegnando la politica del Paese. La pesante cura d’austerità, ormai inevitabile, rinviata per ragioni elettorali fino all’anno scorso, sta minando il consenso di Erdogan.
6. L’opposizione ha tempo fino al 2028 per costruire una proposta credibile. In teoria Erdogan non potrebbe candidarsi per la quarta volta, ma non si sa mai. Nel 2023, sbagliando il candidato, ha già sprecato un’opportunità notevole. E non sarà nemmeno semplice ricostruire un cartello politico vincente, considerate le solite spaccature e divisioni.