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Iran, perché Teheran preferisce restare nella blacklist del Faft

Iran

Per uscire veramente dalla blacklist del Faft quindi, all’Iran – prima delle norme – serve cambiare completamente la sua politica estera aggressiva e violenta. Il commento di Dorian Gray per Atlantico Quotidiano

Il 21 giugno, a conclusione del suo meeting plenario ad Orlando (Usa), il Faft – Financial Action Task Force – ha deciso di reimporre tutte le restrizioni nei confronti dell’Iran, che erano state sospese nell’ottobre del 2016 nella speranza che la Repubblica Islamica si conformasse alle normative internazionali contro il riciclaggio di denaro.

Così non è stato. Ovviamente, aspettatevelo, vi racconteranno che si tratta di una decisione politica, frutto delle pressioni di quel cattivone di Trump. Peccato che la verità, come accade spesso ormai, è ben diversa. A dimostrarlo sono i fatti e non i commenti.

Nel giugno del 2016 Teheran aveva accettato il “piano d’azione del Faft”, per avviare un processo che avrebbe dovuto portare la Repubblica Islamica a conformarsi alla Convenzione di Palermo contro il riciclaggio di denaro a scopi terroristici. Su questi presupposti, nell’ottobre del 2016, il Faft sospendeva il suo giudizio sull’Iran, congelando la presenza di Teheran nella blacklist dell’organizzazione intergovernativa.

MISURE INSUFFICIENTI FINORA

In questi due anni, il regime iraniano non è riuscito a produrre praticamente nulla di concreto. Il Parlamento iraniano, per ben due volte, ha approvato una riforma del sistema bancario che lo stesso Faft ha giudicato insufficiente. La riforma prevista dal Parlamento di Teheran, infatti, prevedeva che non venisse considerato terrorismo il sostegno ad organizzazioni che lottano “contro il colonialismo e il dominio straniero”. In pratica, con questa scorciatoia, il regime iraniano pretendeva di continuare a finanziare liberamente i suoi proxies, senza considerarli gruppi terroristici. Ovviamente, al FATF non ci sono cascati e hanno chiesto subito una modifica della legge.

UN REGIME DIVISO

Non basta: nonostante la legge approvata dal Parlamento iraniano fosse sbagliata, il regime si è diviso al suo interno. Il Consiglio dei Guardiani ha per ben due volte rigettato la legge, ritendendola contro gli interessi nazionali. Lo scontro è arrivato quindi al Consiglio del Discernimento – organo creato per dirimere le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani. Il Consiglio per il Discernimento, in questi mesi, non è stato in grado di prendere alcuna decisione definitiva, ma diversi dei suoi esponenti, hanno espressamente preso le parti del Consiglio dei Guardiani (tra loro i Pasdaran Mohsen Rezaee e Ahmad Vahidi).

LA POLITICA ESTERA DELLA REPUBBLICA ISLAMICA

Cosa dimostra tutto questo? Dimostra quello che era chiaro a tutti: il regime iraniano non può – e non potrà mai – rinunciare al sostegno al terrorismo internazionale. Sostenere organizzazioni come Hezbollah, Hamas, la Jihad Islamica, le milizie sciite in Siria e Iraq, non è un vizio dei chierici iraniani, ma una parte integrante della politica estera della Repubblica Islamica. Lo è sotto il profilo ideologico – perché dovere dei Pasdaran non è solo quello di difendere la Repubblica Islamica, ma anche di esportare la rivoluzione khomeinista – e lo è sotto il profilo militare – perché l’Iran manca totalmente di un esercito nazionale moderno e all’avanguardia.

Una mancanza, anche questa volta, che non è frutto del caso, ma di una precisa strategia dell’establishment iraniano dopo il 1979: indebolire le strutture tradizionali del Paese, a favore di quelle parallele, in questo caso delle Guardie Rivoluzionarie, fedeli non all’Iran in quanto tale, ma alla Repubblica Islamica khomeinista. Per questo motivo, i Pasdaran non sono presenti solamente in ogni ambito militare e scientifico (in primis nucleare e missilistico), ma anche in tutti i settori economici del Paese.

Ecco perché, in tutti questi anni, tutti i veri conoscitori dell’Iran, hanno chiaramente sostenuto che pensare di fare affari puliti con la Repubblica Islamica, è praticamente impossibile. Nessuno, infatti, é in grado di garantire una due diligence nei rapporti economici con l’Iran, perché nessuno è in grado di capire veramente se, il businessman iraniano che ha davanti, è veramente un imprenditore privato o una testa di legno dei Pasdaran.

La realtà è quindi una sola: chi ha sostenuto la necessità di fare accordi economici con l’Iran, lo ha fatto accettando l’idea di fare anche accordi con i Pasdaran (pur non dicendolo espressamente). Non è un caso che, diversi cosiddetti “esperti” di Iran, si siano schierati apertamente contro l’inserimento delle Guardie Rivoluzionarie nella lista delle organizzazioni terroristiche voluto dal presidente Trump. Una decisione quasi banale – per quanto importantissima – visto che i Pasdaran non solo sostengono organizzazioni come Hezbollah e Hamas, ma hanno da sempre intrattenuto rapporti anche con al-Qaeda (a cui hanno concesso un lasciapassare sul terrirtorio iraniano e a cui hanno garantito, con la collaborazione palestinese, armi e addestramento).

LA DECISIONE DEL FATF

La decisione del Faft quindi è la naturale conseguenza della natura del regime iraniano. Per uscire veramente dalla blacklist del Faft quindi, all’Iran – prima delle norme – serve cambiare completamente la sua politica estera aggressiva e violenta. Un cambiamento necessario, l’unico veramente valido per poter finalmente pensare di accettare nuovamente l’Iran nella comunità internazionale con tutti gli onori che la storia di quel Paese meriterebbe.

 

Articolo pubblicato su atlanticoquotidiano.it

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