Martedì scorso l’esercito israeliano ha sganciato dieci bombe nel noto quartiere residenziale “Qatara” di Doha in Qatar, in un attacco a sorpresa per colpire i vertici di Hamas riuniti in un edificio. Ecco chi erano gli obiettivi
Non è certo se l’attacco israeliano contro i vertici di Hamas riuniti a Doha per discutere la proposta di pace sia stato condotto con successo, ma in un comunicato Hamas ha detto che “i nostri leader sono sopravvissuti”. Sarebbero invece morti Himam al-Hayya, figlio del leader Khalil al-Hayya, e Jihad Labad, direttore dell’ufficio di al-Hayya e un agente delle forze di sicurezza del paese.
Per l’Idf è la risposta all’attacco armato rivendicato da Hamas a Gerusalemme e che ha ucciso 6 persone. Trump ha aggiunto che Israele aveva avvisato gli Stati Uniti dell’attacco imminente e che lui stesso aveva dato istruzioni all’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff di avvertire il Qatar, ma non c’è stato il tempo.
Dalla campagna di decimazione condotta da Israele contro i leader, Hamas ha distribuito il potere affidandolo a 5 uomini, che sarebbero stati il vero obiettivo del raid dell’Idf a Doha: Khalil al-Hayya, Khaled Mashaal, Muhammad Darwish, Razi Hamad e Izzat al-Rishq, tutti sono accusati dal governo di Tel Aviv di “aver guidato per anni le attività terroristiche contro Israele e direttamente responsabili del massacro del 7 ottobre”.
KHALIL AL HAYYA
65 anni è il capo negoziatore, già vice di Yahya Sinwar, era il suo braccio destro. È la mente politica per l’ala militare. Figura influente e potente ha avuto scontri con Egitto e Giordania perché non sono intervenuti al fianco dei palestinesi, facendo infuriare al-Sisi. Originario della striscia di Gaza, si è dedicato all’Islam politico, ha studiato letteratura araba e studi islamici. La sua posizione di prestigio è aumentata ancora di più nel comitato in esilio. Da due anni guida il team dei negoziati a Doha, le trattative e il rilascio degli ostaggi. Ideologo ma anche pragmatico è sfuggito a un tentativo di eliminazione nel 2007 a Gaza, in cui morirono 8 dei suoi familiari. Secondo dei verbali segreti esaminati dal New York Times a luglio del 2023, aveva discusso i piani dell’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele.
KHALED MESHAL
70 anni, insegnante, nato in Cisgiordania, considerato un esponente radicale e contrario a qualsiasi forma di dialogo. Già presidente fino al 2017, è responsabile della diaspora. Ha vissuto in Kuwait dal ’67 al ’90 (dove si è unito ai Fratelli Musulmani), in Giordania, in Siria e in Qatar. Nell’87 alla fondazione di Hamas è il segretario della sezione del gruppo in Kuwait. Nel 1996 il Mossad ha cercato di avvelenarlo per le strade di Amman per ordine di Netanyahu, con il levofentanyl, sostanza cento volte più potente della morfina ma è sopravvissuto grazie all’intervento dell’allora re Hussein e Bill Clinton che costrinsero il premier Netanyahu a consegnare l’antidoto e a liberare Ahmed Yassin in cambio del rilascio dei due 007. Durante la guerra in Siria ha espresso sostegno ai ribelli contro Assad, dichiarazioni che gli hanno portato la grande contrarietà di Teheran. Dopo il 7 ottobre ha assunto una linea pragmatica.
ZAHER JABARIN
Viene dalla West Bank ha partecipato alla lotta armata ed è stato imprigionato nelle carceri israeliane. Il suo è un doppio ruolo: si è occupato dei prigionieri palestinesi e ha curato i finanziamenti gestendo fondi provenienti da offerte, governi e sponsor con cui il movimento finanzia miliziani, attentati e armi. Forte il legame con le Brigate al Kassam e altrettanto stretto il vincolo con gli affiliati al movimento nella Cisgiordania.
MUSA ABU MARZOUK
Nato a Gaza è il vice-capo dell’ufficio politico del movimento islamista radicale, ha studiato in un’università americana. Si è occupato delle relazioni esterne di Hamas tra Amman e il Cairo. Dal Qatar ha gestito le condizioni di resa e i ricatti. In un’intervista rilasciata al sito Al-Monitor lo scorso dicembre avrebbe suggerito al gruppo islamico che governa la Striscia di riconoscere Israele: “Vogliamo far parte dell’Olp, e abbiamo detto che avremmo onorato i suoi impegni”.
HUSAN BADRAN
È l’ex leader dell’ala militare di Hamas nella West Bank. Secondo gli israeliani uno degli artefici della campagna di terrore durante la seconda intifada, è definito il portavoce della diaspora. È stato catturato e ha riacquistato la libertà con il baratto organizzato da Hamas nel 2011, quando, in cambio del soldato Shalit tenuto in ostaggio da Hamas per 6 anni (“Gilad Shalit deal”) ha ottenuto il rilascio di un gran numero di combattenti e 1.027 prigionieri palestinesi.