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La Cina alla prova del Coronavirus

Cina

Una riflessione sulla narrazione politica della Cina sull’epidemia da coronavirus, nell’ottica di una sfida molto più complessa che non si esaurirà in una mera contrapposizione tra modelli, ma che forse coinvolgerà l’essenza delle nostre democrazie. L’analisi di Elisabetta Esposito Martino per il Caffè geopolitico

Al termine del quarto plenum del XIX Comitato Centrale del PCC, tenutosi dal 28 al 31 ottobre 2019, era emerso lo sforzo per procedere con un forte accentramento dei poteri, al fine di dare attuazione alla costruzione delle “nuova era” annunciata dal Presidente Xi Jinping attraverso la risoluzione, sempre mantenendo fermi i principi, di problematiche gravi quali le proteste di Hong Kong, il rallentamento economico, la guerra dei dazi… Dopo pochi giorni un’inaspettata emergenza sanitaria, repentinamente esplosa in tutta la sua gravità, travolgeva l’intera Cina: l’epidemia da coronavirus, iniziata a Wuhan, nell’Hubei, dal 17 novembre 2019 (sembra questa la data) e identificata il 9 gennaio 2020 come SARS-CoV-2. I coronavirus, chiamati così per il particolare aspetto a forma di corona, che possono causare malattie respiratorie dagli esiti più vari, sono diffusi in molte specie animali (cammelli, pipistrelli..) e a volte riescono a fare il salto di specie e trasferirsi negli esseri umani, come la nuova Covid-19, che fa parte dei sette già identificati a partire dagli anni Sessanta.

L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS

La Cina era molto diversa nel 2002-2003, durante la battaglia contro un altro coronavirus, la SARS-CoV (Severe Acute Respiratory Syndrome), che, essendo molto aggressivo, provocava subito una polmonite molto severa: ciò consentiva l’immediato isolamento dei contagiati, impedendo la diffusione della malattia, che infettò circa 8mila persone causando circa 800 morti, ma che non si è più registrata dopo il 2004. Ciò produsse un allentamento del divieto di commercializzazione della fauna selvatica, nel 2020 reiterato con nuove più stringenti normative. Molto più contenuta è stata la diffusione dell’epidemia di MERS-CoV (Middle East Respiratory Syndrome), scoppiata nel 2012 in Arabia Saudita e non diffusasi in Cina, ancora più aggressiva per i danni non solo polmonari, ma anche renali e gastrointestinali che provocava, che ha causato 1.200 contagi e 500 morti ed è tenuta tuttora sotto controllo. Il SARS-CoV-2 ha avuto l’epicentro nella RPC, a causa di un’infettività molto alta dovuta al fatto che lascia asintomatici, o quasi, l’80% dei contagiati. La scoperta di questa particolarità ha indotto il Governo di Pechino a misure di contenimento rigidissime, che in effetti hanno sortito l’effetto di frenare la pandemia.

UN MODELLO CINESE ANCHE PER LA COVID-19

Le misure adottate hanno comportato gravi e profondi strascichi per il pesante impatto creato non solo sulla sanità, già traballante nella maggior parte dei Paesi, ma su tutta la realtà economica e sociale, prima interna alla Cina e poi, a cascata, dell’intero mondo globalizzato, travolto in breve tempo dalla pandemia. Il primo effetto in Cina si è avuto sull’apparato di informazione, che ha messo in campo un sistema di sorveglianza sempre più sofisticato, che ha utilizzato più di 200 milioni di telecamere, idonee a produrre cluster di Big Data che possono identificare le differenze sintomatologiche con grande precisione, avvalendosi di Intelligenza Artificiale, robotica e device connessi. In tal modo non solo veniva impedito qualsiasi movimento ai pazienti sottoposti al regime di quarantena, ma potevano essere mappati i movimenti dei potenziali infetti, intercettando le persone senza mascherina, e procedendo a scansioni termiche su larga scala grazie al software di rilevamento della temperatura “contactless” e al riconoscimento facciale anche per i visi coperti, grazie anche al vasto utilizzo di droni. L’isolamento imposto ha limitato le libertà di movimento e di circolazione, subordinandole a scelte autorizzative da parte della catena dei responsabili preposti, a partire dai singoli moduli abitativi fino ai funzionari apicali locali, sovente oggetto di aspre critiche soprattutto per l’uso di app che consentono o meno gli spostamenti, e che stanno disciplinando anche il lento rientro alla normalità.

LA NARRAZIONE POLITICA CINESE

Lo stato di eccezione derivato dalla portata e dalla gravità della pandemia COVID-19, che rappresenta certamente una gravissima minaccia per la salute pubblica, sta richiedendo ovunque una notevole limitazione e privazione delle libertà costituzionali, comunque oggetto di costante garanzia nei Paesi di consolidata democrazia. Le misure adottate in Cina, che in realtà hanno sortito ottimi effetti in quanto molto stringenti, hanno prodotto una grave compressione dei diritti, contemplati dalla Costituzione della RPC, ma usualmente limitati alla luce del maggiore interesse della collettività e dell’establishment del Partito Comunista. A fronte di ciò, la narrazione del Governo di Pechino, che si è avvalso di vere liturgie patriottiche, attinte dalle più svariate epopee della tradizione cinese, ha mostrato una Cina pioniera delle nuove tecnologie, e non più solo fabbrica del mondo, veicolando un modello cinese anche in relazione al coronavirus. Dopo un approccio iniziale difficile per la “diffusione di false informazioni”, che in realtà erano grida di allarme di eroici medici, il Partito Comunista ha facilmente convogliato il popolo in una nuova lotta contro un nemico invisibile, ma anche molto reale, contro il quale si è scesi in battaglia a ranghi serrati, col supporto dei colossi dell’industria tech. Negli ultimi giorni, attraverso l’intelligenza artificiale, è stata messa a punto una TAC, che è stata fornita a 100 ospedali delle province di Hubei, Guangdong e Anhui, in grado di individuare in pochi minuti nuovi casi di coronavirus con una probabilità del 96%, senza attendere i tempi dei tamponi.

UN MODELLO INCRINATO

Le modalità di gestione dell’emergenza, coordinata con strutture di ricerca cinese d’eccellenza, in costante contatto con i virologi di chiara fama e con l’OMS, e l’efficienza della macchina tecnologica cinese hanno frenato definitivamente il contagio da coronavirus consentendo alla RPC di uscire lentamente dall’incubo. Le contraddizioni emerse sono però tante, in particolare rispetto ai dati diffusi, probabilmente poco trasparenti verso l’esterno e molto pericolose all’interno, per la mole raccolta e per le eventuali ripercussioni sulla privacy dei cittadini cinesi, i cui diritti sono stati violati con detenzioni arbitrarie e una costante repressione della libertà di parola, in un contesto di carente accesso alle informazioni. Anche la sospirata fine dell’emergenza, per altri versi, sta causando vastissimi problemi, non solo per le frontiere provvisoriamente chiuse a un business che stenta a ripartire, ma soprattutto per i contrasti tra province, dove stanno esplodendo episodi di intolleranza, drammatico esito di tensioni represse, come accaduto sul ponte del fiume Azzurro, che collega Hubei e Jiangxi, per un arbitrario posto di blocco voluto dall’Amministrazione locale. Il ritorno alla normale vita lavorativa per riprendere la corsa al primato mondiale appare più che mai irta di difficoltà.

 

Articolo pubblicato su ilcaffegeopolitico.org

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