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La questione dello Stato di Diritto nell’Unione europea

Stato Di Diritto

L’UE ha trovato un accordo per tutelare lo Stato di diritto, legandolo all’erogazione dei fondi. L’opposizione di Orban e Morawiecki ha rischiato di compromettere il Recovery Fund, ma un compromesso è stato raggiunto, una vittoria parziale per i due. L’articolo di Federica Barsoum

Il 5 novembre il Parlamento Europeo è giunto a un accordo storico sulla salvaguardia dello Stato di diritto, pilastro dell’Unione sancito dall’articolo 2 del Trattato sull’UE e al centro di un lungo dibattito. Un meccanismo di tutela è già previsto dall‘articolo 7 del medesimo Trattato, in base al quale, davanti a una violazione persistente dei valori democratici, gli Stati membri possono sospendere il diritto di voto dello Stato imputato in seno al Consiglio UE. Questa procedura, tuttavia, si è rivelata fallimentare, in quanto richiede l’unanimità, difficilmente raggiungibile in presenza di Stati che tendono a “spalleggiarsi”, come è accaduto in passato con Polonia e Ungheria. Si è così optato per un sistema  che preveda la sospensione a lungo termine del finanziamento dei piani di ripresa a quegli Stati che violino l’articolo 2. Questa procedura si attiva su proposta della Commissione e viene votata a maggioranza qualificata dal Consiglio. L’accordo, frutto di un’idea dei Paesi “frugali”, mira non solo a tutelare i valori dell’Unione, ma anche i suoi interessi finanziari, impedendo che tali fondi si disperdano in situazioni di corruzione dilagante. Tutto ciò si è rivelato più urgente alla luce dell’approvazione del bilancio settennale dell’Unione, contenente l’ingente piano di ripresa del Recovery Fund.

L’OPPOSIZIONE DI POLONIA E UNGHERIA

Alla luce di ciò, Polonia e Ungheria hanno posto il loro veto su bilancio pluriennale, per il quale è richiesto un voto unanime, e aiuti per la ripresa, provocando un’allarmante situazione d’impasse. Viktor Orban, Primo Ministro ungherese, e Mateusz  Morawiecki, suo omologo polacco, si sono così opposti al nuovo meccanismo che lega fondi europei e rispetto dello Stato di diritto, ritenendolo un’indebita ingerenza negli affari interni degli Stati e uno sfregio alle peculiarità di ciascuno di essi, giudicando forzato applicare una definizione di Stato di diritto univoca e calata dall’alto. C’è però da dire che Budapest e Varsavia sono sotto la lente delle Istituzioni UE già da tempo, a causa delle loro continue violazioni dei principi democratici e dei diritti umani, fra cui le minacce all’indipendenza della magistratura e alla libertà d’espressione, una corruzione dilagante e la mancata tutela dei diritti di minoranze, migranti e rifugiati. Per tutte queste ragioni Polonia e Ungheria sono attualmente gli unici Stati membri a essere stati indagati dalla Commissione in base all’articolo 7 e sono soggetti a procedimenti d’infrazione. Fra l’altro la Polonia è la prima beneficiaria dei fondi UE (106 miliardi di euro), seguita di poche posizioni dall’Ungheria (49 miliardi). Non c’è dubbio che un blocco dei fondi europei sarebbe fatale per i due Stati, che dipendono fortemente da essi.

IL COMPROMESSO CON GLI ALTRI 25 STATI

Nonostante una momentanea situazione di stallo, il 10 dicembre è stato raggiunto un compromesso con la presidenza tedesca, grazie al quale Polonia e Ungheria hanno rimosso il proprio veto, permettendo l’approvazione di bilancio pluriennale e Recovery Fund. Tutto ciò si è tradotto in una dichiarazione d’intenti, con la quale si è sottolineato come il meccanismo verrà applicato senza pregiudizio alcuno e solo dopo una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultimo punto è indubbiamente il più critico, dato che l’intervento della Corte rallenterebbe la procedura di un paio di anni al massimo, permettendo a Orban e Morawiecki di riconfermarsi alle prossime elezioni e rinsaldare le proprie posizioni. Sebbene per Polonia e Ungheria questa venga considerata una vittoria, il successo è solo parziale: il meccanismo entrerà comunque in vigore da gennaio 2021 e probabilmente sarà retroattivo. Con il compromesso, Varsavia e Budapest sono riuscite a prendere tempo, ma le Istituzioni europee hanno già dimostrato di non voler arretrare su una questione che implica l’identità stessa dell’Unione, oltre che la sua credibilità.

Articolo pubblicato su ilcaffegeopolitico.net

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