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L’invasione dell’Ucraina banco di prova per la politica e le diplomazie di tutto il mondo

Se abbiamo imparato la lezione del secolo scorso, dovremo produrre tutti gli sforzi possibili ed immaginabili per evitare errori già commessi, frutto di visioni miopi o rispondenti ai soli interessi nazionali

Mentre scrivo queste riflessioni non riesco a togliermi dalla mente le immagini di distruzione e disperazione che quotidianamente Tv e notiziari ci fanno arrivare dall’Ucraina. Oltre 1 milione di persone, quasi tutte donne, anziani e bambini costretti ad abbandonare da un momento all’altro le loro case per raggiungere con qualsiasi mezzo a disposizione paesi confinanti come Moldavia, Polonia, Romania, Ungheria e oltre, in tutta l’Europa occidentale.
Non è un caso se l’Unione Europea ha predisposto pochi giorni fa il più grande piano di emergenza profughi mai visto nella storia recente del nostro continente, attuando per la prima volta la direttiva 55 del 2001 che consente di dare protezione temporanea (e con procedure di accoglienza molto più rapide) a tutte le persone che stanno fuggendo dalla guerra per riversarsi verso ovest.
Ma la straordinaria crisi umanitaria a cui stiamo andando incontro, seppur nella sua straordinaria drammaticità, rischia di passare in secondo piano rispetto all’altro rischio che improvvisamente è ripiombato sulle nostre vite in questi giorni e che sembrava oramai destinato solo alla trama di romanzi e film distopici: un nuovo conflitto mondiale. Che oggi sarebbe inesorabilmente un conflitto nucleare.
Non nascondo di provare disagio misto a imbarazzo nel parlare di questa ipotesi, che ritenevo archiviata trent’anni fa con la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda. Scrivendo però vado ancora più indietro nel tempo – non così tanto dopotutto – al secondo conflitto mondiale e vedo purtroppo il rischio del ripetersi di alcuni errori fatali già commessi allora.
Penso a come molti Stati, e buona parte dell’opinione pubblica internazionale, tra il ’38 e il ’39 accolsero praticamente senza opporsi l’annessione dell’Austria e della Cecoslovacchia da parte della Germania e a come oramai fosse troppo tardi quando quest’ultima puntò alla Polonia scatenando lo scoppio della guerra. Bisogna riuscire a fermare prima che sia troppo tardi la spirale bellica in cui il conflitto russo-ucraino sembra essersi infilato, ma dobbiamo imparare dalla Storia come uscirne, evitando conseguenze irrecuperabili.
E qui arriviamo al punto.
Premetto che sono un convinto Atlantista perché mi ritrovo (e ritrovo il mio Paese) nelle ragioni e nei valori costituenti della Nato. Però faremmo un torto a questi stessi valori che ci accomunano se non riconoscessimo gli errori che noi per primi abbiamo compiuto, e rischiamo di compiere ancora, nella gestione dei nuovi equilibri emersi alla fine della Guerra Fredda.
A cominciare dalla “spinta” verso est dei confini della Nato che sono andati inesorabilmente a toccare sensibilità e ad alimentare timori della Russia. E sull’Ucraina in particolare non è un caso se Henry Kissinger, ex ministro degli esteri con Nixon e Ford e tra i maggiori interpreti della politica internazionale del XX secolo, si sia espresso più volte contro il suo ingresso nella Nato. D’altro canto, nel corso della storia il ruolo strategico dei cosiddetti “stati cuscinetto” è stato quello di “ammortizzare” le pressioni contrapposte di potenze geopolitiche confinanti.
Le sanzioni. Condivido lo strumento delle sanzioni economiche come mezzo (alternativo alle armi) per cercare di indebolire un paese reo di un atto di grave come quello della Russia nei confronti dell’Ucraina. Ma attenzione, sanzioni troppo dure e incondizionatamente a scapito di un intero Paese non fanno che alimentare le spinte ultranazionaliste e i conseguenti sentimenti di odio e disprezzo di quel Paese non tanto (o solo) contro il leader che li ha portati a quella situazione, ma contro “tutti gli altri” (gli stranieri) che le hanno emanate e/o avallate.
La velocità di escalation e la conseguente durezza delle sanzioni che si stanno infliggendo alla Russia ricordano molto le punizioni economiche inflitte alla Germania alla fine della Prima Guerra mondiale con il Trattato di Versailles. Misero in ginocchio, umiliandolo, un intero Paese spingendolo tra le braccia di Hitler con tutto ciò che ne conseguì.
Infine, la belligeranza/non belligeranza. Escluso, al momento, un intervento diretto della Nato sia militarmente sia attraverso l’applicazione di una “no fly zone” sull’Ucraina (che ci farebbe precipitare quasi sicuramente nella terza guerra mondiale), bisogna fare molta attenzione anche al coinvolgimento “indiretto” dei Paesi dell’Alleanza Atlantica. Se già l’invio di armi e attrezzature militari è stato vissuto come una provocazione da Putin che lo ha sfruttato per rievocare una minaccia nucleare, l’ipotesi ventilata negli ultimi giorni di fare arrivare in Ucraina aerei da combattimento attraverso la Polonia rischierebbe di essere interpretato dalla Russia come un attacco militare da parte di un paese Nato (ricordiamo che la Polonia ne fa parte, a proposito di stati cuscinetto…), facendo precipitare gli eventi.
Dobbiamo sperare che gli Stati Uniti, che della Nato sono il locomotore e il perno su cui ruota l’intera alleanza, si rendano conto di tutto questo e che non prevalgano logiche utilitaristiche di breve periodo (a Novembre negli USA si terranno le elezioni di mid-term, banco di prova fondamentale per Biden per recuperare consensi) rispetto alla razionalità e alla lucidità necessarie in momenti come questo per interpretare ciò che sta accadendo e agire con una visione di lungo periodo funzionale a ristabilire la pace nel cuore dell’Europa.
L’America, fatta salva la Guerra Civile nel XIX secolo, non ha mai avuto un conflitto all’interno dei suoi confini. L’Europa sì, è stata campo di battaglia di ben due guerre mondiali nel secolo scorso che si sperava avessero generato gli anticorpi necessari per non scatenarne di nuove.
La Storia però oggi ci sta mettendo nuovamente alla prova. Ed è un esame di maturità per la politica e per le diplomazie di tutto il mondo, non solo di quelle russa, americana e ucraina. È un banco di prova fondamentale anche per l’Unione Europea e il suo futuro, per dimostrare che non è solo un’entità economica ma anche, e soprattutto, un organismo caratterizzato da una specifica identità politica con tutto ciò che ne consegue.
Se abbiamo imparato la lezione del secolo scorso, dovremo produrre tutti gli sforzi possibili ed immaginabili per evitare errori già commessi, frutto di visioni miopi o rispondenti ai soli interessi nazionali. In quest’ottica confido molto nell’intervento di mediazione che nelle ultime ore ha deciso di avviare Israele. Ma non basta.

 

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