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Mediterraneo, tutti gli scenari di crisi

L’approfondimento di Fabio Caffio per Affarinternazionali sui disordini che regnano nel Mediterraneo

Se la terra, come diceva Carl Schmitt, è il regno del diritto, il mare invece rivela, sempre più, la sua natura anarchica. Ad essere uno spazio senza regole è il mare nella sua globalità, ma soprattutto il Mediterraneo allargatospazio geopolitico di interesse italiano comprendente Mediterraneo, Mar Nero, Mar Rosso e Golfo Persico, oltre ai relativi choke points come Hormuz e Bab el Mandeb. Alle ricorrenti questioni sul Sar dei migranti e sulle trivellazioni del Mar di Levante, si è aggiunta una pericolosa spirale di sequestri di navi mercantili, anche da parte di Russia e Ucraina, che sembrano inficiare i principi della libertà di navigazione.

Insomma, una marittimizzazione strisciante di dispute e conflitti che vede la Gran Bretagna ricoprire assertivi ruoli marittimi, in sintonia con gli Usa, mantenendo anche, nonostante l’imminente Brexit, un piede nell’Unione europea. Valgano per tutti, le posizioni britanniche contro le pretese energetiche turche e, ora, la proposta di lancio di un’operazione europea dedicata alla protezione del traffico passante per Hormuz.

GUERRA AL TRAFFICO MARITTIMO

Belligeranti e neutrali sono, sul mare, attori che agiscono durante i conflitti secondo regole di condotta volte a contemperare i propri opposti interessi: il traffico neutrale è protetto, anche durante il passaggio negli stretti,  a condizione che non sia ostile. Simile lo scenario del tempo di pace, quando in alto mare tutti gli Stati godono di pari diritti e l’interferenza dei Paesi costieri  verso la libera navigazione negli stretti è vietata, a meno di violazione della propria integrità territoriale.

Il sequestro operato da Londra nelle acque  spagnole di Gibilterra della petroliera Grace 1 (di bandiera  panamense ma riconducibile a interessi iraniani)  diretta in Siria, costituisce  un precedente inedito: l’applicazione delle sanzioni Ue contro la Siria, in assenza di risoluzioni Onu, sembra non suscettibile di applicazione in mare. Altrettanto inquietante è la contromisura del sequestro iraniano della Nave britannica Stena Impero mentre era in transito nelle acque internazionali di Hormuz, trattandosi di pretesa giurisdizione extraterritoriale.

OPERAZIONE NAVALE UE

Impossibilitata ad  addivenire a una soluzione diplomatica con l’Iran, Londra prova a giocare la carta dell’Ue proponendo una missione navale di protezione dei mercantili in passaggio da Hormuz. Si ipotizza che si realizzi una sorta di cooperazione rafforzata, forse a guida franco-britannica, cui darebbero sostegno, oltre all’Italia,  Polonia, Spagna, Danimarca ed Olanda, nonché la Norvegia.

La proposta è in sé più che legittima perché conforme al diritto delle navi da guerra di tutelare il naviglio commerciale di bandiera. Il problema è che si tratta di una misura preventiva, cui non fa riscontro quel provvedimento iraniano di interdizione globale del passaggio nella via d’acqua che negli anni passati, dopo la Guerra del Golfo, è stato a più riprese minacciato ma mai attuato.

Insomma, la questione, da bilaterale che era, si internazionalizza con tutti i rischi di aggravamento occasionale e senza che le Nazioni Unite abbiano adottato alcuna decisione. Oltretutto, la Russia si è già affacciata sul Golfo, svolgendo esercitazioni navali con l’Iran. Forse per questo, la Germania appare riluttante a partecipare sia alla missione europea, sia alla coalizione di volenterosi a guida statunitense.

Tra l’altro, nessun Paese ha mai definito con l’Iran misure di confidenza reciproca per evitare incidenti in mare, quando invece gli incontri ravvicinati tra Forze navali straniere e unità iraniane (comprese quelle dei Pasdaran) sono ad Hormuz sempre più numerosi.

QUESTIONE AZOV

Anche Russia ed Ucraina hanno ingaggiato un conflitto marittimo a bassa intensità riguardante sia il traffico nello Stretto di Kerch tra Mar d’Azov e Mar Nero, sia il controllo delle acque antistanti la penisola della Crimea sotto amministrazione russa.

Il 25 luglio, Kiev ha sequestrato nel porto di Ismail del Mar Nero una petroliera russa sostenendo avesse svolto un ruolo nel fermo, avvenuto nel 2018, di tre proprie unità militari in transito nello stretto. Mosca, aveva allora arrestato, per presunte violazioni della sovranità russa, 24 marinai ucraini, ad oggi non ancora scarcerati, nonostante l’ordine impartito dal Tribunale internazionale del diritto del mare.

Anche in questo caso, il conflitto russo-ucraino ha assunto una spiccata connotazione  marittima. Di positivo c’è tuttavia che la definizione di tutte le questioni relative alla sovranità sulle acque costiere  della Crimea  e sul regime di transito nello stretto è stata rimessa nel 2016 dall’Ucraina ad un Tribunale arbitraleavanti al quale Mosca si è regolarmente costituita per far valere le sue ragioni.

AMBIZIONE TURCHE

Lo scorso 22 luglio Ankara  ha annunciato la sospensione dell’accordo con l’Ue (che non ha mai assunto una specifica veste formale) sull’accoglienza – dietro contropartite economico-politiche – dei migranti soccorsi in acque greche e respinti sul suo territorio da Frontex.

L’iniziativa appare essere una reazione alla politica dell’Ue in favore delle pretese cipriote sulla Zona economica esclusiva (Zee) circostante l’Isola che comprende le coste della sedicente Repubblica Turca di Cipro del Nord.

Stati Uniti, Gran Bretagna ed Ue appoggiano le rivendicazioni cipriote come mezzo per diminuire la dipendenza energetica europea dalla Russia. La Turchia, non volendo rimettere la disputa a un organo di giurisdizione, ricerca forme asimmetriche di confronto navale nella Zee contesa; ora è da attendersi anche un incremento di partenze dalle sue coste, verso l’Italia, di migranti irregolari.

A CHI GIOVA IL DISORDINE

L’ambigua formulazione di molte norme marittime è il fattore sfruttato da tutti quegli Stati che in mare conducono una loro politica di fatti compiuti. La controprova l’abbiamo nel settore del Sar mediterraneo dove l’Italia, con il sostegno di Malta, cerca di introdurre regole come quelle di recente proposte per creare zone franche di sbarco delle persone salvate, in deroga al sistema di Dublino. Ma nulla si dice e si fa nelle organizzazioni internazionali per adattare il sistema del Sar alle emergenze migratorie.

Insomma, l’anarchia dei mari giova a chiunque, attori statali e non, voglia svincolare la sua attività da regole rigide. Ma non certo conviene all’Italia che ne ha tutto da perdere e che sconta la sua arrendevolezza in casi di minaccia agli interessi nazionali. Meglio allora per l’Italia, piuttosto che stare alla finestra,  partecipare a missioni navali in un’area come il Golfo di consolidata presenza, magari concorrendo ad applicare  i piani operativi in modo non provocatorio: la coscienza della marittimità del Paese si rafforzerà e ne beneficerà il nostro profilo internazionale.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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