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New York alle urne: chi sono i candidati in corsa per la carica di sindaco

Domani per New York sarà Election Day. Tre i candidati in corsa: Zohran Mamdani, primo nei sondaggi, il giovane “socialista” che corre per l’ala democratica e fa tuonare (e tremare) Trump; Andrew Cuomo, ex governatore e volto noto dell’emergenza Covid, che corre da indipendente; Curtis Sliwa, fondatore dei Guardian Angels e candidato per l’ala repubblicana

Nelle ultime settimane, i candidati a sindaco della città di New York si sono concentrati più su come arginare Zohran Mamdani che sul promuovere i propri programmi. Lo stesso Donald Trump, da spettatore tutt’altro che neutrale, ha espresso la sua preferenza per un candidato unico contro il giovane socialista. Intanto, l’early voting, l’iniziativa promossa per incentivare la partecipazione dei cittadini alle urne, ha già dato i suoi frutti: dal 25 ottobre al 2 novembre sono state raccolte circa 480.338 schede, senza contare quelle inviate per posta. Secondo i sondaggi sulle intenzioni di voto, Mamdani gode del 43‑45 % dei consensi, Andrew Cuomo si attesta intorno al 28 %, Curtis Sliwa al 15 %. I candidati minori, tra cui l’avvocato e attivista Jim Walden e l’imprenditore biotecnologico Joseph Hernandez, totalizzano insieme circa il 5‑10 % dei voti. Eric Adams, l’attuale sindaco di New York, ha sospeso la propria candidatura a fine settembre 2025 a causa dei bassi sondaggi e delle difficoltà nella raccolta fondi, ma il suo nome apparirà comunque sulle schede. 

ZOHRAN MAMDANI: NEW YORK TORNI “CASA” PER TUTTI

Quando emerge qualcuno che parla con chiarezza e sembra davvero interessato alla cosa pubblica, subito si grida al miracolo o alla diavoleria. Questo vale anche per Zohran Mamdani. Nato nel 1991 a Kampala, in Uganda, da genitori indiani e musulmani, si trasferisce a New York da bambino. Prima di entrare in politica, ha lavorato come consulente per la prevenzione degli sfratti nel Queens, assistendo famiglie a basso reddito in crisi abitativa. Da gennaio 2021 è membro della New York State Assembly per il distretto di Queens/Astoria. La sua campagna per la sindacatura, condotta a piedi, con incontri diretti e lavoro porta a porta, ha attirato l’attenzione nazionale (e non solo) conquistando persino le simpatie di Barack Obama, che secondo il New York Times lo ha contattato per congratularsi del lavoro svolto. 

Nonostante la poca esperienza amministrativa, le proposte di Mamdani sono concrete: lotta alla crisi abitativa, congelamento dei costi degli affitti, incentivi alla creazione di un trasporto pubblico e gratuito, programmi scolastici che rafforzino i legami con la comunità, e politiche per tutelare la diversità sociale e contrastare la gentrificazione. Per finanziare il suo programma, l’aspirante sindaco propone di aumentare le tasse sull’1% dei newyorkesi con redditi superiori a 1 milione di dollari, generando circa 4 miliardi di dollari in entrate fiscali. Una proposta giudicata “folle” dai suoi avversari ma che trova senso se si considera l’impatto sociale: un investimento concreto sul futuro delle comunità di New York. 

Una questione chiave sarà anche il sostegno della comunità ebraica che, sulla scelta del sindaco, sembra riflettere le stesse divisioni presenti sul piano internazionale. Un sondaggio della Zenith Research mostra infatti che il voto della comunità ebraica newyorkese non è monolitico: le posizioni di Mamdani su abitazione, istruzione e politica sociale hanno conquistato molti elettori ebrei, specialmente tra i giovani e meno osservanti (18-44 anni) mentre il supporto rimane più debole tra gli over 50 e gli ortodossi. Questi dati suggeriscono che la corsa di Mamdani abbia un significato più ampio. Come osserva Mario Del Pero dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), “la sua corsa rappresenta molto più di un test municipale: è un banco di prova per un Partito Democratico in crisi d’identità, incerto su come rispondere al trumpismo e diviso tra pragmatismo centrista e nuova spinta progressista. Dopo anni di scarsa incisività, il successo di Mamdani mostra che il dissenso al presidente Trump può assumere forme diverse: meno ideologiche, più sociali ed economiche.”

ANDREW CUOMO: IL RITORNO DELLA VECCHIA GUARDIA 

Alla novità si contrappone il caro, vecchio status quo. L’italo-americano Andrew Cuomo, figlio di Mario Cuomo, icona del Partito Democratico e governatore dello Stato di New York negli anni Ottanta, è nato nel 1957 nella Grande Mela. Dopo la laurea in legge, ha seguito le orme del padre passando da incarichi statali e federali fino a diventare governatore di New York dal 2011 al 2021. Il suo mandato è stato segnato da momenti critici, soprattutto durante la pandemia Covid, con decisioni controverse sulla gestione dei lockdown e delle case di riposo che avevano acceso forti dibattiti pubblici. A queste vicende si sono aggiunte le accuse di molestie sessuali da parte di più di dieci donne, che lo hanno spinto a dimettersi dal ruolo di governatore.

Il programma presentato da Cuomo — che corre come indipendente — fa leva su sicurezza, infrastrutture e sviluppo economico: più polizia nelle strade, investimenti per mantenere in funzione trasporti e servizi pubblici, costruzione di nuovi alloggi (senza interventi radicali sul mercato degli affitti), e sostegno alle imprese locali per stimolare l’economia. La sua visione della città, più come una macchina da far funzionare che come una comunità da trasformare, emerge anche nei dibattiti, dove insiste spesso sull’importanza della competenza tecnica e delle relazioni politiche (spesso in relazione al giovane avversario democratico). Ma fino a che punto queste valgono più dell’impegno diretto con i cittadini? La sfida tra i due diventa così il simbolo di un contrasto più profondo: quello tra un approccio tradizionale e una visione nuova della gestione della cosa pubblica.

CURTIS SLIWA: UN REPUBBLICANO A NEW YORK

Curtis Sliwa è l’insolito candidato repubblicano che completa il quadro della già strana coppia in corsa. Nato a Brooklyn nel 1954 da una famiglia italo-polacca cattolica, si definisce il “vero newyorkese”: eccentrico, riconoscibile nello stile e profondamente radicato nella città. Dopo il liceo gesuita lavora in un McDonald’s del Bronx in un periodo in cui regnano le gang e la polizia è insufficiente. Da quell’esperienza, nel 1979, nasce l’idea dei Guardian Angels, un’organizzazione di civili volontari uniti per la prevenzione del crimine, che Sliwa guida fin dalla fondazione. Nel 2021 si candida come sindaco per l’ala repubblicana, perdendo contro l’attuale primo cittadino Eric Adams, ma consolidando la propria figura pubblica.

La sua proposta punta tutto su sicurezza e ordine urbano: aumento degli agenti di polizia, ristrutturazione delle agenzie cittadine, contrasto al degrado e sostegno alle piccole imprese. Sul fronte abitativo, la priorità va ai residenti locali e alla protezione delle famiglie a basso reddito, senza proporre iniziative giudicate irrealistiche come quelle di Mamdani. Autodefinitosi populista e rappresentante della classe lavoratrice, sottolinea di non essere “il candidato dei miliardari” e mantiene un contatto diretto con i cittadini, con una campagna porta a porta che lo rende sicuramente più vicino al candidato socialista che non a Cuomo. Nonostante sia in svantaggio nei sondaggi e abbia subito pressioni per ritirarsi, continua la sua istrionica campagna puntando sulla presenza già solida sul territorio. Resta da vedere se le sue proposte di sicurezza e realismo saranno sufficienti a conquistare i consensi necessari per diventare primo cittadino. La “stoffa” c’è tutta.  

Crediti foto: immagini presa dal profilo Facebook di Curtis Sliwadal profilo Facebook di Andrew Cuomo 

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