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Non solo Brexit, rallenta il processo di allargamento dell’Ue

Europee

Si parla spesso dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, ma a che punto sono invece le trattative per l’ingresso di nuovi Paesi membri? L’articolo di Luca Rosati per Il Caffè geopolitico

GLI ULTIMI AVVENIMENTI

Il Consiglio Europeo di metà ottobre ha rinviato la decisione sull’avvio dei negoziati per Albania e Repubblica di Macedonia del Nord che, rispettivamente dal 2014 e 2005, chiedono di cominciare le trattative per entrare a far parte dell’Unione Europea.
bloccare l’unanimità necessaria per l’inizio dei negoziati sono state la Francia, per entrambe le nazioni, e Paesi Bassi e Danimarca per l’Albania.
Parigi ha motivato il suo rifiuto come “necessario per stabilizzare l’attuale assetto europeo” prima di aprire all’adesione di nuovi Paesi.
In realtà la decisione dell’esecutivo transalpino sembra essere dettata da altre ragioni. Il Presidente Macron ha poco apprezzato la decisione di respingere la nomina di Sylvie Goulard come Commissario Europeo, denunciando una “politicizzazione della scelta”. Inoltre Macron teme l’avanzata della destra di Marine Le Pen, per cui non vuole fornire ulteriori argomenti per far crescere i consensi del Rassemblement National.
Il Governo francese ritiene che Albania e Macedonia del Nord non abbiano fatto le riforme necessarie per fronteggiare criminalità organizzata e corruzione. Opinione non condivisa dalla Commissione Europea e dai principali leader europei, che definiscono la posizione di Macron un “errore storico”.

GLI ALTRI CASI

È bene ricordare che l’adesione all’Unione non è un processo semplice. Presuppone la piena accettazione dei criteri di Copenaghen, da parte del Paese in questione, per essere accettato come candidato e in seguito entrare in negoziato con l’UE.
La recente (non) decisione del Consiglio rappresenta un duro colpo al processo di allargamento dell’UE. Dall’ultimo ingresso della Croazia nel 2013, non sembrano esserci le premesse per nuove adesioni.
Il Montenegro, che ha iniziato i negoziati per l’adesione dal 2012, paga la figura del suo Presidente Milo Djukavonic. Bruxelles, infatti, non vede di buon occhio il fatto che Djukanovic sia ininterrottamente dal 1991 al potere. Questa situazione porta l’UE a dubitare fortemente delle libere elezioni democratiche e del rispetto dello Stato di diritto all’interno del Montenegro.
La vicina Serbia è entrata nella fase negoziale nel 2014, ma il processo di adesione si preannuncia complicato. Belgrado sconta la delicata vicenda del Kosovo che è, a sua volta, uno dei Paesi potenziali candidati. La nomina come Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dello spagnolo Josep Borrell potrebbe incidere su questa delicata vicenda. La Spagna, infatti, è uno dei cinque Paesi europei che non riconosce l’indipendenza unilaterale del Kosovo dal 2008.
All’inizio del 2018, la Commissione Europea aveva adottato una prospettiva di allargamento credibile per i Balcani occidentali, fissando l’orizzonte del 2025 per l’integrazione di Montenegro e Serbia. Questa data sembra però difficilmente realizzabile, visto che sia Belgrado che Podgorica non sembrano aver fatto molti progressi nell’ultimo anno e mezzo.
Un altro Paese potenzialmente candidato è la Bosnia-Erzegovina, che nel 2016 ha presentato domanda di adesione. Una candidatura ancora troppo debole, dato che Sarajevo presenta una forte instabilità politica, un sistema economico poco competitivo e questioni irrisolte sui diritti umani.
Discorso a parte merita invece la Turchia. Ankara ha presentato domanda di adesione nel 1987 e nell’ottobre del 2005 sono cominciati i negoziati. La trattativa sembra essere tuttavia arrivata a un punto morto, anche considerando le recenti vicende curde, unite alla politica autoritaria e repressiva di Erdogan, non in linea coi valori europei.

LE PROSSIME TAPPE

La scelta di stoppare l’avvio dei negoziati è stata accolta con stupore e contrarietà in Europa. Macron, che da sempre si è professato un europeista convinto, con questa decisione rischia di minare la credibilità europea.
Bloccare l’inizio di queste trattative lancia un messaggio alla (già) fragile regione balcanica. Una regione con profonde divisioni interne che ha subito il passaggio post Jugoslavia e Unione Sovietica e che rischia di scivolare sotto l’influenza di Cina e Russia.

Avviare i negoziati non avrebbe significato automaticamente fare entrare questi Paesi, ma li avrebbe sollecitati a riformare i loro sistemi giuridici, politici, economici.
Se consideriamo che l’Ue sta cercando in tutti i modi un’intesa con il Regno Unito, che da tre anni prova ad abbandonare l’Unione, la decisione di non aprire le trattative con Albania e Macedonia del Nord, che si sono dimostrati desiderosi di entrare, sembra avere tratti di incongruenza, quando questi Paesi mostrano invece la volontà di aderire, intraprendendo un percorso di riforme coraggiose.

Spetterà quindi alla nuova Commissione Von der Leyen cercare di rilanciare il processo di integrazione dei Balcani. Un compito assolutamente non facile, unito a tutte le altre delicate questioni che la Commissione dovrà affrontare (Brexit, riforma di Dublino, piano ambientale per citarne qualcuna).

L’Unione Europea, per recuperare credibilità su questo tema, dovrà ridiscutere nuovamente dell’allagamento prima del vertice UE-Balcani occidentali che avrà luogo a Zagabria nel maggio 2020.

 

Articolo pubblicato su ilcaffegeopolitico.org

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