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Giubilei a Policy Maker: “La pace a Gaza è merito di Trump. Ecco perché”

La pace in Medio Oriente sembra vicina, ma le divisioni in Occidente restano profonde. Francesco Giubilei analizza il ruolo decisivo di Trump, le tensioni politiche italiane e il rischio di un ritorno dell’antisemitismo

Dopo due anni di conflitto la pace in Medio Oriente sembra a un passo, ma i nodi da sciogliere sono ancora molti. Nel frattempo, crescono i sostenitori del Premio Nobel per la Pace a Donald Trump per il suo ruolo di mediatore. “Il successo diplomatico è indubbiamente di Trump”, dice Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella e del movimento di idee “Nazione Futura”, fondatore della casa editrice Historica e di Giubilei Regnani Editore, nell’intervista rilasciata a Policy Maker in cui analizza il ruolo del tycoon, lo stato della politica in Italia e il rischio antisemitismo. Giubilei non risparmia una stoccata alla parte di sinistra che in Parlamento ha votato contro l’accordo, accusata di essersi dimostrata più irragionevole della Lega Araba: “Paradossalmente tutti gli attori coinvolti nel trattato di pace sono stati più ragionevoli”.

Israele e Hamas sono giunti a un accordo per Gaza, con la mediazione di Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia. Come giudica l’intesa? Trump è davvero l’artefice di questa intesa?

L’accordo di pace è una notizia importante perché permette di liberare gli ostaggi israeliani, fermare l’uccisione di civili in Medio Oriente e, al tempo stesso, porre fine alla guerra. Questi sono gi effetti più importanti. Il dato politico, invece, è il ruolo degli Stati Uniti e di Donald Trump. Il successo diplomatico è indubbiamente suo. L’altro dato da sottolineare è che paradossalmente in questa fase tutti gli autori coinvolti nel trattato di pace siano stati anche più ragionevoli di una parte dell’opinione pubblica e del ceto politico occidentale. Una parte che nei giorni scorsi si è espressa astenendosi in Parlamento sul piano di pace. Ora si aprirà tutta la fase che riguarda il post: la ricostruzione, chi politicamente gestirà e seguirà il territorio di Gaza.

C’è un clima antidemocratico in questo momento in Italia? La guerra in Medio Oriente ha risvegliato i sentimenti antisemiti sopiti?

In Italia c’è un clima democratico tra la maggioranza delle persone e di chi ha ruoli pubblici. Ci sono però alcune minoranze, che purtroppo stanno crescendo in termini numerici, che identificano l’avversario politico, culturale ed ideologico non come qualcuno con cui confrontarsi ma come un nemico. Nel momento in cui una persona viene identificata come nemico diventa lecito utilizzare una violenza molto spesso verbale, ma a volte sfocia anche in fatti concreti. I fenomeni di antisemitismo in Italia e in Europa stanno crescendo portando via un’equiparazione molto sbagliata: azione del governo di Netanyahu uguale a tutti gli israeliani, tutti gli israeliani uguale tutti gli ebrei. Se passa questo messaggio, si rischia di alimentare un clima di antisemitismo.

Negli ultimi anni nel nostro Paese si è diffuso il populismo ed è aumentata la polarizzazione politica. Che responsabilità hanno i partiti e quali hanno più responsabilità, secondo lei?

La crescita della polarizzazione non è solo un fenomeno italiano, ma occidentale. Ad esempio, riguarda molto di più gli Stati Uniti dell’Italia, perché la società americana è molto più polarizzata. Tuttavia, interessa anche il contesto italiano, fa sì che vengano espresse opinioni molto spesso radicali. Negli Usa, ad esempio, da un lato la cultura woke con derive che determinano follie a cui c’è una risposta altrettanto radicale in senso opposto. Guardare al contesto americano deve essere un monito per evitare che anche da noi possano diffondere situazioni che si sono verificate negli Stati Uniti, che hanno portato ad esempio all’uccisione di Charles Kirk.

Quando Francesca Albanese ha lasciato lo studio di La7, lei stava citando l’intervista in cui la senatrice a vita chiariva la sua contrarietà all’impiego del termine genocidio in riferimento alle operazioni condotte dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Come sarebbe corretto definite le loro azioni secondo lei?

CI sono numerosi storici in Italia che ritengono che non sia il termine giusto da utilizzare, come Marcello Flores, e c’è un dibattito nella comunità internazionale. È in corso una guerra in cui ci sono vittime civili, come purtroppo spesso accade, ma non c’è una volontà genocidaria da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese. È importante fare attenzione ad utilizzare determinate parole ed accuse in un contesto politico e sociale così delicato. Nella storia ci sono stati di genocidi, come l’Olocausto o il genocidio degli armeni, penso sia giusto parlare di una guerra in cui ci sono vittime civili. Se Israele non ha rispettato il diritto è giusto che ne rispondano di fronte alla legge.

Parliamo della Flotilla. A Porta a Porta, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto a proposito del blocco che è una violazione del diritto: “ma il diritto internazionale è importante fino a un certo punto”. Cosa pensa di queste parole? Dovremmo arrenderci al fatto che anche le leggi internazionali soccombano alle logiche di potere?

Quando parliamo di diritto internazionale c’è la teoria e la pratica. Quello che accade nel concreto può essere qualcosa che non ci piace o non è giusto, ma avviene. Le parole di Tajani vogliono dire che dobbiamo entrare nell’ottica che il mondo negli ultimi dieci anni è cambiato, piaccia o meno, a me non piace. Il soft power occidentale ed americano era predominante in passato, oggi è tornato l’hard power. È vero che Israele sul tema delle acque internazionali a volte non lo rispetta, ma abbiamo già visto con la guerra in Ucraina che neanche la Russia ha rispettato il diritto internazionale. Chi fa politica come il ministro degli Esteri deve partire da questo dato di realtà. Nel momento in cui la Flotilla ha avuto la possibilità di lasciare gli aiuti a Cipro e far sì che vengano consegnati, evitando i rischi del blocco navale, penso che fosse un atteggiamento responsabile rispondere a quell’appello.

Mettendo da parte le polemiche sulla Flotilla, credo che il vero valore di questa iniziativa fosse simbolico, accendere un faro sul blocco degli aiuti messo in atto da Israele nei confronti dei cittadini di Gaza, ma sembra che il messaggio si sia perso. Se le azioni simboliche pacifiche non bastano, quale strada bisognerebbe intraprendere per riconoscere e affrontare il problema? Il governo rivendica i risultati diplomatici che ha portato a casa. Quali sono?

C’è sicuramente un tema di carestia e carenza di aiuti umanitari a Gaza, su cui il Governo ha messo in atto un’iniziativa importante, Food for Gaza. Quando parliamo del tema della difficoltà di far arrivare aiuti penso che vada fatta una descrizione molto più completa della questione. Ho trascorso due settimane a Kerem Shalom, il valico al confine tra Israele, Egitto e Gaza e ho visto entrare centinaia di camion di aiuti. Il problema è che sono messi in campi umanitari per lo smistamento. Ma c’è un problema logistico. Ci sono difficoltà nel far arrivare alle persone gli aiuti dai campi dove vengono lasciati. Il secondo problema è Hamas, che minaccia la popolazione palestinese affinché non vadano a ritirare figli aiuti. Quindi, spesso le persone non possono recarsi a ritirarli. Il valico di Rafa, fino a poco tempo fa, era chiuso per scelta dell’Egitto. È compito e dovere dei governi occidentali far sì che questa situazione sia superata.

Ha nuovi progetti editoriali in cantiere che può anticiparci?

Con la nostra casa editrice stiamo continuando a pubblicare, oltre ad autori italiani, anche molti americani di grande peso in questo momento storico e utili per comprendere cosa sta accadendo negli Usa. Il libro “Cambio di regime” di Patrick Deneen, in particolare, è dedicato alla crisi dell’ordine liberale. Stiamo traducendo un libro scritto da Kevin Roberts, presidente dell’Heritage Foundation, oltre a un volume di Roger Scruton dedicato ai pensatori della sinistra. Al tempo stesso, continuiamo a pubblicare tanti autori e riscoperte nel Pantheon Letterario, con un libro dedicato alla figura di Matteotti scritto da Filippo Turati.

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