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Phil Hogan, le dimissioni pesanti del commissario europeo

Hogan

Phil Hogan, il potente commissario europeo al Commercio, figura chiave nei negoziati sui rapporti futuri con il Regno Unito post-Brexit, è costretto a un passo indietro

Appena qualche settimana fa era il nome imbattibile, quello di cui tutti parlavano come il candidato più forte per la guida dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che in autunno sceglierà il suo nuovo direttore generale. Oggi, a sorpresa, Phil Hogan, il potente commissario europeo al Commercio, figura chiave nei negoziati sui rapporti futuri con il Regno Unito post-Brexit, è costretto a un passo indietro per uno “scandalo” politico che si è consumato nella sua natia Irlanda in piena estate, in presunta violazione delle norme previste per il contenimento dei contagi da Covid-19.

Hogan avrebbe infatti violato la quarantena obbligatoria di 14 giorni prevista per chi arriva nell’isola da un Paese non nella green list, indipendentemente dal risultato del tampone (il suo era comunque negativo), per partecipare, insieme ad altre ottanta persone, a un evento della Oireachtas Golf Society – il golf club del Parlamento irlandese – a Clifden, nella contea di Galway, lo scorso 19 agosto. A poco è valso il lungo thread Twitter di scuse scritto dal commissario europeo prima di annunciare le dimissioni: “Non ho violato alcuna regola o procedura. Ma sono consapevole che le questioni in ballo sono ben più grandi di questo”.

Tuttavia, i leader dell’ampia alleanza fra Fianna Fáil, Fine Gael e Verdi – che da giugno governa l’Irlanda dopo il sostanziale pareggio a tre dello scorso febbraio – hanno preso freddamente le distanze da Hogan, di fatto scaricandolo e sottolineando che gli irlandesi sono “giustamente arrabbiati per quanto accaduto. Hogan ha preso la giusta decisione”.

Il passo indietro di Hogan non è una pillola facile da mandar giù per Bruxelles: l’irlandese è fra i più rispettati ed esperti membri della Commissione. In più, il fatto che le sue dimissioni siano emerse in salsa così nazionale, e con una sfiducia di fatto pronunciata dal governo, fa addensare più di qualche ombra sull’indipendenza della Commissione von der Leyen, che sembra ancora una volta piuttosto propensa ad ascoltare gli umori provenienti dai leader degli Stati membri.

L’IDENTIKIT DELL’IRLANDESE

Nativo di Kilkenny, Phil Hogan, quasi due metri di statura e 60 anni, aveva dato prova di talento come membro della precedente Commissione europea, quella di Jean-Claude Juncker, come responsabile dell’Agricoltura. Ursula von der Leyen aveva affidato a questo esperto politico uno dei dossier più delicati della sua presidenza, carico di tutto il simbolismo del caso, con un irlandese (insieme al francese Michel Barnier) fra i principali negoziatori dell’assetto dei futuri rapporti fra l’Unione europea e Londra.

Quando a metà maggio il direttore generale del Wto, il brasiliano Roberto Azevêdo, rassegna le sue dimissioni con un anno di anticipo, tutti gli indizi portano a Hogan come naturale candidato unico europeo per la successione: un nome molto forte, soprattutto alla luce della prassi per cui dopo un esponente di un Paese in via di sviluppo, la responsabilità passa a un rappresentante delle economie più sviluppate. Insomma, quale palcoscenico migliore del Wto per rilanciare non solo questa organizzazione oggi in difficoltà, ma anche il ruolo dell’Unione europea a garanzia dell’acciaccato multilateralismo.

L’irlandese stesso aveva preso in esame questa eventualità a giugno. Nelle more di una sua decisione, però, la Commissione europea ne limitò le apparizioni pubbliche, nel timore che queste potessero danneggiare la politica commerciale dell’Unione. Alla fine, poco prima della scadenza per la presentazione delle candidature, Hogan fece un passo indietro, adducendo fra le ragioni proprio la necessità di curare l’agenda commerciale dell’Unione in un momento di crisi globale e con i negoziati post-Brexit in pieno corso (e in pieno stallo).

LA PAROLA A DUBLINO

Nulla garantisce che l’Irlanda possa mantenere il pesante portafoglio del Commercio – come ha detto chiaramente von der Leyen in conferenza stampa -, anche se un più ampio rimpasto nella Commissione von der Leyen appare poco probabile, ad appena nove mesi dal suo insediamento. Molto dipenderà dalla capacità di Dublino di mettere sul piatto nomi forti e solidi, che diano le giuste garanzie per ereditare una delega cruciale non solo per gli irlandesi – che con i britannici condividono la frontiera fisica dell’Irlanda del Nord -, ma per l’Europa intera, di fronte alla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina e il caos in cui si trova il Wto dopo che l’amministrazione Usa ha bloccato la nomina di nuovi giudici dell’Appellate Body (e quindi, di fatto, il funzionamento del meccanismo di risoluzione delle controversie fra gli Stati membri).

La partita per la successione a Hogan si intreccia con i delicati equilibri dell’esecutivo che fa perno sui due partiti di centro-destra Fianna Fáil e Fine Gael, formatosi a Dublino dopo mesi di negoziati per fermare l’avanzata dei nazionalisti di sinistra del Sinn Féin, prima forza nel Paese. Il favorito, secondo i media irlandesi, sarebbe il ministro degli Esteri Simon Coveney, membro, come Hogan, del Fine Gael, junior partner del governo e già vicepremier fino a qualche mese fa, posizione da cui ha seguito il dossier Brexit negli ultimi anni.

La scelta più sicura per sostituire Hogan potrebbe però essere rappresentata da Mairead McGuinness, la prima vice-presidente del Parlamento europeo, da molti vista già da mesi come l’ideale aspirante alla successione di David Sassoli alla guida dell’Eurocamera quando si rinnoverà la carica nel gennaio 2022.

McGuinness avrebbe dalla sua un sostegno piuttosto scontato da parte degli eurodeputati e riuscirebbe nell’intento di bilanciare in termini di genere la Commissione von der Leyen, che assicura la più ampia rappresentanza femminile vista sino ad ora in seno a un esecutivo Ue, ma non il rapporto di 50%-50% che pure aveva promesso (e che infatti chiede a Dublino i profili di un uomo e di una donna).

Altro nome da tener d’occhio è quello di Leo Varadkar: conosce bene il funzionamento della macchina europea per esser stato premier del Paese fino a quest’anno, ma – attualmente vice – rimarrebbe a Dublino per riprendere le redini del governo in un avvicendamento interno, tra due anni.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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