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Siria: ecco gli strumenti di Onu, Ue e nazionali per fermare attacco turco

L’articolo di Carlo Trezza per Affarinternazionali sull’armamentario degli strumenti per colpire la Turchia in Siria
La violazione dell’integrità territoriale di uno Stato, anche se si tratta di uno Stato disastrato come’è attualmente la Siria, viene unanimemente considerata come una delle più gravi forme di violazione del diritto internazionale. Su questo punto tutti sono d’accordo. Ciò nonostante, la reazione di fronte all’azione militare della Turchia contro i curdi in territorio siriano è stata sinora debole a conferma della difficoltà che incontra il mondo multilaterale ad affrontare le crisi, anche quando dispone di strumenti per farlo.
SIRIA, L’ARMA SPUNTATA DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU
Nella scatola degli attrezzi in caso di crisi, vi è anzitutto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che si è sinora riunito due volte a porte chiuse senza varare alcuna risoluzione, in una situazione che pure si configura come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale che permetterebbe di fare scattare il Capitolo 7 della Carta delle Nazione Unite. E non risulta che in questo caso si correrebbe il rischio, come avvenuto per 13 volte durante la crisi siriana, che un membro permanente del Consiglio ricorra al diritto di veto per impedire una reazione più energica.
Al contrario, Mosca partecipa alla resistenza contro la Turchia dando man forte all’esercito siriano, la Francia e il Regno Unito sono stati i primi ad adottare e promuovere misure punitive a livello sia nazionale che europeo. Gli Stati Uniti, pur avendo dato l’iniziale luce verde all’azione militare turca, hanno ora lanciato una serie di sanzioni e mandato ad Ankara il loro vice-presidente Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo per disinnescare una crisi da loro in parte provocata. La Cina, sempre attenta in fatto di integrità territoriale, non si opporrebbe certo ad una condanna.
Eppure, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ufficializzasse l’esistenza di una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale e che legittimasse l’adozione delle misure previste in questi casi dalla Carta dell’Onu non si è ancora vista.
GLI STRUMENTI DELL’ONU PER LA SOSPENSIONE DELLE FORNITURE MILITARI
Nell’immediato, la misura principale presa in considerazione è quella della sospensione delle forniture militari. Oltre al Consiglio di Sicurezza, esiste un armamentario di strumenti in ambito Onu e anche dell’Unione europea che si potrebbero adottare ”in automatico” per dare una risposta energica. La comunità internazionale si è dedicata da decenni alla questione dei trasferimenti degli armamenti, siano essi convenzionali o di distruzione di massa. Esiste un Registro delle Nazioni Unite sulle esportazioni di armamenti offensivi, che permette di verificare, anche se solo a posteriori, quelle che sono le vendite dichiarate dai vari Stati.
Un programma, sempre delle Nazioni Unite, vigila sulla diffusione delle armi piccole e leggere che producono le maggiori perdite violente di vite umane. Al di fuori dell’Onu sono stati costituiti regimi di controllo e di contrasto alla proliferazione non solo delle armi di distruzione di massa ma anche di quelle convenzionali. Si tratta nell’insieme di strumenti di soft security non vincolanti giuridicamente, che permettono quanto meno di vigilare sui trasferimenti di ogni tipo di armamento e delle relative tecnologie.
IL TRATTATO SUL COMMERCIO DELLE ARMI CONVENZIONALI
È invece giuridicamente vincolante dal 2014 il Trattato Att sul commercio delle armi convenzionali (Arms Trade Treaty), che disciplina il commercio delle principali armi offensive convenzionali quali fucili e mitragliatori, carri armati, aerei da combattimento e navi da guerra. La sua ratio di fondo è proprio quella di non foraggiare con la vendita di armi i conflitti in corso e di impedire che giungano armi ai Paesi sotto embargo e in comprovate situazioni di genocidio, crimini contro l’umanità e atti terroristici.
In assenza di un embargo Onu, il divieto può anche applicarsi in caso di attacchi contro obiettivi civili e cittadini, il che è in pratica inevitabile in un contesto come quello della Siria settentrionale. Tutti i Paesi dell’Unione europea hanno ratificato tale convenzione, che potrebbe esser invocata dall’Ue indicando una strada da seguire anche per altri membri della comunità internazionale.
GLI STRUMENTI DELL’UE
Di fronte alla latitanza sinora dimostrata dall’Onu, non è stato facile per l’Europa prendere delle iniziative. Ciò nonostante, sono stati i membri europei del Consiglio di Sicurezza a richiedere la convocazione della massima istanza decisionale dell’Onu sul caso turco. Successivamente, in una riunione ministeriale tenutasi il 14 ottobre a Lussemburgo, il Consiglio dell‘Unione europea ha adottato la decisione di condannare l’azione militare della Turchia, un Paese tradizionalmente amico e partner antico nell’ambito della Nato.
Sul piano delle misure concrete ed in mancanza di una decisione da parte dell’Onu, i 28 dell’Ue si sono ricollegati alle iniziative nazionali già prese da alcuni Stati europei di fermare le esportazioni di armamenti e a una posizione comune del 2008, per adottare “forti posizioni nazionali a riguardo della loro politica di esportazione degli armamenti verso la Turchia”.
GLI STRUMENTI DI PERTINENZA DELL’ITALIA
L’Italia dovrà dunque attuare in questi giorni le decisioni già prese a titolo nazionale, coordinandosi con i partner dell’Ue a livello di esperti sulle modalità di adozione delle misure. Non potrà sottrarsi dal tenere una linea energica, non solo perché a ciò si è impegnata nel contesto europeo, ma anche perché “l’esigenza di rendere la normativa più stringente … in materia di esportazione degli armamenti” è uno dei pochi impegni specifici di politica estera che il Governo Conte bis ha inserito nelle sue recenti linee programmatiche.
Nel testo concordato in Lussemburgo si parla esplicitamente di evitare che tali esportazioni possano ”colpire la popolazione civile”. È proprio il rischio che si corre attualmente con l’azione turca nella Siria settentrionale. Nell’adottare le proprie misure nazionali l’Italia dovrà basarsi sulla propria normativa e cioè sulla legge 185 del 1990 che è considerata come una una delle più avanzate a livello internazionale. La legge prevede tra l’altro il divieto dell’esportazione e del transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato e verso governi responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Il percorso preconizzato dall’Ue per quanto si riferisce agli armamenti alla Turchia appare, almeno per quanto riguarda l’Italia, ormai tracciato.
Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it