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Terre rare, l’Europa resta a guardare tra Cina e Usa?

L’articolo di Simone Martino sulla sfida intorno alle terre rare

A dispetto del nome, le terre rare non sono affatto rare. Tali elementi sono abbastanza comuni nella crosta terrestre, anche se al momento sono stati localizzati solo in piccole aree del pianeta. È, dunque, tutto un malinteso dovuto al fatto che, quando vennero scoperte la prima volta, risultavano piuttosto difficili da estrarre. Il fatto è che, anche se si tratta di elementi diffusi, è difficile trovarli in forma pura. A causa della loro composizione chimica molto simile (15 su 17 occupano posizioni consecutive sulla tavola periodica) tendono a legarsi tra di loro e ad altri minerali.

Ciò rende molto complicato (e anche costoso) estrarli e dividerli, un’operazione che richiede un processo lungo e pericoloso, in cui le terre rare in forma grezza devono essere disciolte a più riprese in varie soluzioni di acido, poi filtrate e ancora disciolte. Un calvario, anche perché le soluzioni vanno studiate, ogni volta e per ogni miniera, sulla base delle diverse impurità del suolo – in più emettono sottoprodotti chimici tossici e radioattivi.

Insomma, non sono rare ma non è una passeggiata tirarle fuori.

Questi minerali sono particolarmente richiesti perché risultano fondamentali per la costruzione di superconduttori, magneti, veicoli ibridi, fibre ottiche e componenti high-tech, come cellulari e computer.

Durante lo scorso anno, dei 17 elementi delle terre rare (REE), alcuni si sono dimostrati più rari di altri. Come nel caso del neodimio e del praseodimio che hanno beneficiato di una forte domanda.

QUAL È STATO E QUALE SARÀ L’ANDAMENTO ECONOMICO ?

Nel futuro, si prevede che ci sarà una crescita della domanda di metalli utilizzati per realizzare magneti ad alta resistenza per le turbine eoliche e per i motori delle auto elettriche (EV).

In realtà, a fine 2017, c’era chi speculava sulle aspettative di forti aumenti di prezzo di neodimio e praseodimio. Cosa che però non si è verificata nella misura sperata. Anche perché tutto il settore delle terre rare si stava faticosamente riprendendo da un lungo periodo di calo dei prezzi (2016).

Il 2018 è stato l’anno di una lenta ripresa dei prezzi. Anche se ci sono state preoccupazioni circa possibili interruzioni delle forniture da parte della Cina, il più grande produttore mondiale. Altre preoccupazioni erano arrivate dall’intenzione degli Stati Uniti di introdurre dazi sulle importazioni di terre rare, nel quadro della guerra commerciale con la Cina.

Le prospettive per il 2019 sono legate invece all’andamento del mercato delle auto elettriche. Infatti, gli analisti prevedono durante il 2019 un passaggio sempre maggiore di produttori automobilistici dai veicoli tradizionali a quelli elettrici.

Se la crescita di EV (compresi i veicoli ibridi) raggiungerà il 20% all’anno, come previsto da Roskill, ci sarà un aumento della domanda di terre rare pari al 5% per anno.

COSA NE PENSA L’EUROPA E COME INCIDERÀ LA GUERRA COMMERCIALE TRA USA E CINA?

Tempo fa anche un’indagine della Commissione Europea aveva sottolineato il problema della scarsità di alcuni elementi critici per le nuove tecnologie low carbon. Era emerso, infatti, che 8 metalli sono a forte rischio di scarsità a causa della dipendenza dell’Unione Europea dall’import, dell’evoluzione della domanda mondiale e della situazione geopolitica. Tra gli elementi potenzialmente più scarsi 6 cosiddette “terre rare”: disprosio, europio, terbio, ittrio, praseodimio e neodimio.

Il disprosio è la materia prima con il rischio di scarsità più alto, dato che l’UE ne assorbirà nel decennio 2020-2030 il 25% della produzione mondiale; serve soprattutto per produrre turbine eoliche e veicoli elettrici. Altri materiali “problematici” destinati a veicoli ibridi ed elettrici e batterie sono litio (si stima che l’Europa ne richiederà il 15% della produzione mondiale), neodimio, grafite, praseodimio e cobalto.

Benché al momento la Cina monopolizzi l’estrazione delle terre rare, esistono giacimenti anche altrove. La Cina possiede il 48 per cento delle riserve mondiali, gli Stati Uniti il 13 per cento. Russia, Australia e Canada hanno giacimenti di una certa consistenza. Fino agli anni Ottanta la produzione di terre rare era appannaggio degli Stati Uniti, grazie soprattutto alla miniera di Mountain Pass, dove venivano prodotte 20 mila tonnellate l’anno quando tutta la domanda mondiale era di 30 mila tonnellate.

Il predominio americano è finito a metà degli anni Ottanta. Con la chiusura della miniera di Mountain Pass nel 2002, il ruolo di nuova capitale mondiale delle terre rare è passato a Baotou, una città della Mongolia Interna (una regione autonoma della Cina). La Cina, che per decenni aveva sviluppato la tecnologia per separare le terre rare, è entrata prepotentemente nel mercato. Grazie ai finanziamenti statali, alla manodopera a basso costo e a normative ambientali permissive, se non inesistenti, le industrie cinesi hanno sbaragliato la concorrenza.

La sfida sulle terre rare tra Cina e Stati Uniti rischia di provocare gravi danni collaterali, colpendo soprattutto l’Europa, visto che il Giappone ha guadagnato una maggiore diversificazione delle forniture dopo l’embargo subito nel 2010.

Le minacce di Pechino, che potrebbe tagliare l’export dei metalli hi-tech ai clienti americani, hanno già messo Washington in competizione con il resto del mondo per soddisfare il proprio fabbisogno: uno sviluppo che sta innescando forti rincari e che potrebbe persino provocare difficoltà di approvvigionamento per le terre rare più scarse o ricercate, come il neodimio, impiegato nei supermagneti.

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