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Tunisia, ecco il progetto del neo presidente Kais Saied

Kais Saied

L’analisi di Giulia Cimini per Affarinternazionali sulla Tunisia dopo il voto tra il neo presidente Kais Saied e il banco di prova del governo

Mentre dal Libano all’Iraq al Cile divampano le proteste contro il carovita e le élites politiche, si è da poco conclusa in Tunisia un’intensa stagione elettorale, che ha visto Kais Saied, un ‘uomo nuovo’, estraneo all’establishment politico, salire alla più alta carica dello Stato. Tra i due turni delle presidenziali, rispettivamente il 15 settembre e il 13 ottobre, i tunisini si sono recati alle urne anche per rinnovare il Parlamento, che si presenta diviso come mai finora.

Dopo anni di impopolare, seppur inevitabile, ‘politica del consenso’ tra élites, ancora una volta saranno necessarie grandi doti diplomatiche e compromessi per raggiungere un accordo capace non soltanto di formare una maggioranza, ma soprattutto di assicurarne la stabilità nel corso della legislatura.

KAIS SAIED, UOMO NUOVO AL POTERE

Il nuovo presidente della Repubblica tunisina Kais Saied s’è insediato il 23 ottobre: 61 anni, professore di diritto costituzionale, figura per lo più sconosciuta al grande pubblico, Saied ha ottenuto una vittoria schiacciante, il 72,71 % dei voti, al ballottaggio contro il magnate dei media Nabil Karoui.

Neanche Caid Beji Essebsi, primo presidente democraticamente eletto della Tunisia post-2011 e scomparso lo scorso luglio, aveva raggiunto un simile risultato. Se l’elezione popolare diretta di per sé conferisce al presidente grande legittimità politica, un voto così netto – e per di più coronato da un tasso di affluenza sorprendentemente alto (stimato intorno al 57%) in controtendenza rispetto alle municipali del maggio 2018 (neppure il 36%) e alle legislative dello scorso 6 ottobre (poco meno del 42%) – assume un valore simbolico ancora maggiore. E come numerosi sondaggi avevano già indicato, la presidenza si conferma un’istituzione che gode di maggior credito rispetto, ad esempio, a Parlamento e Governo.

Martellante nel suo attaccamento al rispetto per la legge, Saied ha conquistato un elettorato diverso e sparso in tutto il Paese, in particolare giovanissimi e ‘delusi’ dalla politica, contando su una solida reputazione di integrità e incorruttibilità, estranea ai giochi di palazzo e a dinamiche clientelari.

Nel suo discorso di investitura davanti a Parlamento e alte cariche istituzionali, nonché a diverse rappresentanze diplomatiche e confessionali, il neoeletto presidente si è più volte rivolto direttamente ai tunisini, fulcro del suo progetto di società e Paese, che mira a riportare al centro il cittadino, in un più generale processo di decentralizzazione e incremento dei poteri locali con elementi di democrazia diretta.

Tra i passaggi più commuoventi e apprezzati, oltre all’enfasi posta sulla necessità di tornare a ‘sperare’, vanno citati l’omaggio ai martiri della rivoluzione, e alle forze di sicurezza, che più di altri sono state bersaglio degli attacchi terroristici di questi anni, la valorizzazione delle donne in campo economico e sociale e il ricordo del diritto del popolo palestinese a uno Stato. Come diversi osservatori hanno giustamente indicato, è stato un discorso che si inserisce pienamente nella tradizione del riformismo tunisino, ma che rispecchia soprattutto lo spirito ‘rivoluzionario’ che Saied, in una veste nuova e composta, ha saputo incarnare e risvegliare, dopo anni di malcontento e disaffezione nei confronti di una classe politica ritenuta incapace di fare fronte alle sfide economiche del dopo dittatura, poiché arroccata nella torre d’avorio dei suoi privilegi.

ELEZIONI LEGISLATIVE IN OMBRA

Alle elezioni legislative, che continuano a svolgersi con un invidiabile livello di trasparenza, tale malcontento si è riflesso in un voto frammentato – sicuramente facilitato dall’elevatissima offerta partitica, di liste indipendenti e coalizioni – e in sentimenti di apatia e disinteresse.

Delle elezioni parlamentari, infatti, si è parlato molto meno che delle presidenziali, il cui primo turno, per la prima volta, ha preceduto nel calendario elettorale le legislative, per rispettare le scadenze dettate dalla costituzione a seguito della scomparsa di Essebsi. Una serie di novità hanno, del resto, monopolizzato quasi completamente l’attenzione sulle elezioni presidenziali, tanto in Tunisia quanto all’estero: per la prima volta il partito musulmano-democratico Ennahda ha messo in campo un suo candidato alle elezioni, Abdelfattah Mourou, tra l’altro uno dei fondatori del movimento negli Anni Settanta e uno dei suoi maggior esponenti; mai prima d’ora i candidati presidenziali (ben 26) si erano sfidati in diretta in un dibattito televisivo; non da ultimo, lo stile, a dir poco non convenzionale, dei due favoriti.

Da una parte, Saied, che ha intrapreso una campagna elettorale quasi ‘porta a porta’ in giro per il Paese, senza il sostegno di alcun partito, né un vero team elettorale, rinunciando alle forme di finanziamento previste. Dall’altra, Karoui che, in arresto con l’accusa di evasione fiscale e riciclaggio, si è affidato ad una campagna elettorale ‘per procura’ attraverso la sua consorte e la sua rete televisiva privata Nessma Tv.

Eppure, saranno proprio i nuovi equilibri in Parlamento a determinare, forse ancor più della presidenza, il consolidamento democratico della Tunisia nei prossimi anni.

QUALE COMPROMESSO DI GOVERNO?

Ennahda, il partito vincitore delle elezioni, dispone di soli 51 seggi, di gran lunga al di sotto dei 109 necessari per una maggioranza parlamentare. Seconda forza politica è Qalb Tounes (Cuore della Tunisia), il partito di Karoui, con 38 seggi. A seguire, altri cinque blocchi ‘maggiori’ : i social-democratici dell’attivista per i diritti umani Mohamed Abbou (22), la Coalizione della Dignità guidata dall’avvocato islamista e populista Seif Eddine Makhlouf (21), il partito di destra ultra-nazionalista e anti-islamista di Abir Moussi (17), i socialisti del Movimento popolare (16) e Tahya Tounes (Viva la Tunisia) del premier uscente Youssef Chahed (14).

A fronte di una frammentazione molto più accentuata rispetto al passato e di opposizioni tenaci, come quella di Qalb Tounes e del partito di Moussi, Ennahda si trova ad affrontare un primo e delicato banco di prova con le consultazioni per la formazione di un nuovo governo, incassando, al momento, più veti che lasciapassare.

Qualora Ennahda dovesse fallire nella formazione del governo entro un mese e dieci giorni, la Presidenza dovrà incaricare un’altra forza politica o decidere di tornare al voto, anche se è improbabile che nuove elezioni possano portare a risultati significativamente diversi con la medesima legge elettorale. Molto più verosimile, invece, è il rischio che nuove consultazioni elettorali deprimano la già scarsa fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti eletti.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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