skip to Main Content

Turchia, il nuovo partito Deva sfida la leadership di Erdogan

Turchia

L’analisi di Veronica Conti, Emanuele Oddi e Gianmarco Scortecci del Cesi sul nuovo partito di stampo liberale Deva in Turchia

Mercoledì 11 marzo Ali Babacan, ex Ministro dell’Economia, ha presentato ad Ankara il nuovo partito Demokrasi ve Atılım Partisi (Deva, Partito democratico e progressista), di stampo liberale. Deva, sigla che in turco significa “rimedio”, mira a promuovere maggiori libertà civili e presenta un orientamento filoccidentale. Ali Babacan era stato tra i fondatori dell’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo), il partito al governo dal 2002 che, sotto la leadership dell’attuale Presidente Recep Tayyip Erdogan, ha accentuato l’impostazione conservatrice e di matrice islamista presente già dalle origini. Una parabola che ha allontanato l’AKP da quella sintesi tra democrazia compiuta e Islam che rappresentava la promessa originaria del partito, e che ha suscitato negli anni malumori interni crescenti.

Su questo sfondo, la nascita di un nuovo partito, fondato da ex esponenti dell’AKP, rappresenta una possibile minaccia per il mantenimento dell’ampia maggioranza da parte di Erdogan e manifesta anche l’esigenza di un cambio di passo di una parte del Paese.

L’OBIETTIVO DEL NUOVO PARTITO DEVA

Infatti, l’obiettivo principale annunciato dal leader di Deva è riformare profondamente la Turchia. In particolare, Babacan ha indicato di voler mettere in discussione tutte le principali politiche portate avanti da Erdogan, a partire dalla forma di governo del Paese e delle libertà civili. Dopo la riforma del 2017, Ankara si presenta come una Repubblica presidenziale, mentre Babacan intende rimettere al centro del sistema il Parlamento, ridurre i poteri di governo e capo dello Stato, e dare più garanzie per la libertà di espressione e l’indipendenza del sistema giudiziario. A rimarcare la distanza dalle politiche di Erdogan figura anche la posizione di Babacan verso la minoranza curda, che l’ex Ministro non ha esitato a definire come eccessivamente discriminata.

 

Articolo pubblicato su cesi-italia.org

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top