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I timori Usa su Taiwan e Cina “riunificati”

Taiwan Pelosi

Cresce la tensione Usa-Cina su Taiwan. Dopo l’arrivo di Nancy Pelosi a Tapei, Pechino convoca l’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina e minaccia ripercussioni. Washington rassicura, ma… 

Mentre in Italia si discute di patti pre-elettorali e ammucchiate, all’estero sembra aprirsi un nuovo fronte di guerra. Fredda, al momento, ma preoccupante e capace di destabilizzare gli equilibri mondiali, ancora una volta.

Pechino, infatti, non ha gradito la visita della speaker della Camera Nancy Pelosi, terza carica Usa, a Taiwan e il ministero degli Affari esteri cinese ha convocato d’urgenza, in piena notte, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, aumentando la tensione in una atmosfera già decisamente surriscaldata.

Ecco cosa succede.

La visita di Nancy Pelosi

Partita dalla Malesia, Nancy Pelosi è atterrata con il suo Boeing C-40C della Us Air Force, all’aeroporto Songshan di Taipei alle 22.44, ora locale. Ad accoglierla, oltre ad una gran folla, anche il  il ministro degli Esteri dell’isola, Joseph Wu.

La visita non era stata programmata come tappa del suo viaggio in Asia, seppur diversi rumors si erano susseguiti nei giorni scorsi. “Venendo a Taiwan, onoriamo il nostro impegno per la democrazia, riaffermiamo che le libertà di Taiwan, e di tutte le democrazie, deve essere rispettata”, ha spiegato la speaker della Camera, in un articolo a sua firma sul Washington Post.

La convocazione dell’Ambasciatore Usa

La visita non è stata gradita da Pechino, e la risposta della Cina non si è fatta attendere.

E nonostante la Pelosi abbai affermato che Taiwan non può fermare il processo di riunificazione alla Repubblica Popolare cinese, “nella notte del 2 agosto, al viceministro degli Esteri cinese Xie Feng è stato ordinato di convocare con urgenza Nicholas Burns, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, a cui esprimere la forte protesta a nome del governo cinese per la visita della speaker Nancy Pelosi a Taiwan”. Ad annunciarlo è l’emittente cinese ufficiale Cctv, aggiungendo che Xie Feng “ha affermato che Pelosi ha deliberatamente provocato e giocato con il fuoco, violando gravemente il principio dell’unica Cina”.

Cosa non va giù alla Cina

In particolare, Pechino sostiene che la visita della Pelosi abbia “violato” il principio di un’unica Cina, definendo il viaggio “una provocazione” al Governo cinese. Per la Cina, l’amministrazione Usa avrebbe dovuto impedire a Pelosi di agire in modo sconsiderato: “Gli Stati Uniti devono pagare il prezzo dei propri errori. La Cina prenderà contromisure risolute, faremo quello che diciamo”, ha affermato Xie, riportano i media cinesi.

“Gli Stati Uniti – ha aggiunto il viceministro agli Affari Esteri – dovrebbero smettere di intromettersi negli affari interni della Cina .Nessuno dovrebbe sottovalutare la forte determinazione, la ferma volontà e la potente capacità del governo e del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale e ottenere la riunificazione nazionale”.

Le attività militari

Alle proteste diplomatiche si sono affiancate quelle militari. “Poco dopo l’ingresso dell’aereo americano nello spazio aereo dell’isola, i media cinesi hanno annunciato l’invio di caccia Su-35 dell’Esercito popolare di liberazione nello Stretto di Taiwan”, scrive Agi, aggiungendo che “Il Comando orientale dell’Esercito popolare di liberazione cinese, che ha in carico le operazioni che riguardano l’isola, si è detto pronto a eseguire l’ordine di combattere, minacciando di ‘seppellire tutti i nemici’”.

Pechino trova l’appoggio di Mosca

Intanto da Mosca arriva l’appoggio a Pechino. La Russia non ha perso tempo e ha condannato le “provocazioni” americane.

Le rassicurazioni della Casa Bianca

Intanto la Casa Bianca prova a calmare gli animi, a distanza.

“Stiamo monitorando il viaggio della Pelosi e vigileremo per garantire la sua sicurezza”, ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, in un briefing con la stampa.

Per Kirby, la visita della Pelosi è “coerente” con la politica Usa dell’Unica Cina. “Non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan”, ha affermato Kirby, aggiungendo però che gli Stati Uniti “si oppongono” a qualsiasi modifica “unilaterale” dello status quo nello Stretto

I timori americani

La verità , però, è che gli Usa scongiurano una riunificazione tra la Cina e Taiwan, uno stato a sè che Pechino considera come sua provincia da portare sotto il controllo del Governo della Repubblica Popolare anche con la forza e che, allo stesso tempo, Washington non riconosce formalmente.

I timori americani si concentrano sullo stretto di Luzon e sul commercio dei microchip.

Se la Cina prendesse il controllo anche di quello stretto, infatti, potrebbe limitare la libertà di navigazione per quelle acque, provocando non pochi problemi agli Usa e alle loro navi metaniere.  Sul fronte dei microchip, invece, è bene ricordare che proprio a Taiwan hanno sede aziende importantissime dell’industria dei semiconduttori come il colosso TSMC (primo produttore di microchip al mondo), MediaTek e ASE Technology. Il Paese è uno dei poli più importanti al mondo per lo sviluppo e la realizzazione dei microchip, componenti tecnologici importantissimi per numerosi device.

 

 

 

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