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Ue-Acp: verso un nuovo accordo nel 2020

Acp

L’approfondimento di Luca Barana per Affarinternazionali sul futuro dei rapporti tra l’ue e gli Stati di Africa, Caraibi e Pacifico (Acp)

Il 2020 sarà un anno di transizione per le relazioni fra l’Unione europea (Ue) e il gruppo dei 79 Stati di Africa, Caraibi e Pacifico (Acp). Il rapporto fra l’Ue e questo variegato gruppo di Paesi – legati al Vecchio continente da relazioni post-coloniali – è stato a lungo regolato dall’Accordo di Partnership di Cotonou, entrato in vigore nel 2000 e in scadenza alla fine di febbraio 2020. I negoziati per la definizione del regime ‘post-Cotonou’ sono tuttora in corso.

Per questo motivo, il summit dei capi di Stato e di governo dei paesi Acp tenutosi il 9-10 dicembre a Nairobi, la capitale del Kenya, ha assunto una rilevanza significativa. Oltre a segnare l’assunzione della presidenza del gruppo da parte del presidente del Kenya Uhuru Mugai Kenyatta, il vertice ha costituito anche l’occasione per i Paesi Acp di rilanciare il proprio ruolo internazionale, spesso messo in discussione sia all’interno sia all’esterno del raggruppamento, e ribadire il supporto ad un multilateralismo inclusivo in un sistema internazionale sempre più multipolare. Da alcuni anni, infatti, il gruppo Acp sta tentando di rafforzare la propria identità istituzionale, tramite una revisione dell’atto fondativo, l’Accordo di Georgetown, in vista della creazione di una vera e propria organizzazione internazionale dei paesi di Africa, Caraibi e Pacifico, e, parallelamente, il lancio di alcune iniziative per approfondire la cooperazione interna, come un apposito Fondo fiduciario e un Fondo per le donne e i giovani.

Non è casuale che questo processo di ridefinizione della coesione interna al gruppo si intensifichi nel momento in cui i negoziati con il principale donatore, l’Unione europea, sono entrati nel vivo.

PROBABILE RINVIO DELLA SCADENZA DELL’ACCORDO DI COTONOU

Le trattative fra le due parti sono iniziate nel settembre 2018, svolte perlopiù in round negoziali appositi e nell’ambito di istituzioni congiunte come il Consiglio dei ministri Ue-Acp e il Comitato degli ambasciatori Ue-Acp. L’Unione e i Paesi partner hanno trovato un’intesa relativamente rapida sul mantenimento dell’impianto dell’Accordo in scadenza, in particolare per quanto riguarda le forme di dialogo politico in materia di rispetto dei diritti umani, democrazia e Stato di diritto. Più complesso trovare un compromesso sul capitolo commerciale, considerando che il dettato dell’Accordo di Cotonou – che prevedeva accordi di libero scambio su base regionale fra l’UE e diversi raggruppamenti interni agli Acp – è stato implementato in modo parziale a causa delle forti resistenze, in particolare da parte dei Paesi africani.

Inoltre, mentre l’Unione europea ha proposto di rivedere la cornice istituzionale introducendo un accordo quadro (“umbrella agreement) e partnership separate con ciascuna delle tre regioni componenti il gruppo Acp, quest’ultimo intende invece mantenere l’impianto attuale, fondato su un unico Accordo legalmente vincolante. Da non sottovalutare poi il ruolo delicato di altri temi, come quello migratorio, che hanno assunto una nuova rilevanza politica.

Al momento, l’opzione più probabile appare quindi che la scadenza dei negoziati venga posticipata. Già nel maggio scorso, il Consiglio dei ministri Ue-Acp aveva delegato al Comitato degli ambasciatori il compito di assumere misure transitorie per garantire il completamento dei negoziati, in caso di necessità. Il Consiglio dell’Ue ha poi adottato una decisione, su proposta della Commissione, per estendere la scadenza dell’Accordo di Cotonou fino al termine del 2020 o comunque fino all’entrata in vigore della nuova intesa. A questo punto, manca solo l’approvazione ufficiale dell’estensione da parte delle istituzioni congiunte.

DIVISIONI NEL FRONTE AFRICANO

In generale, i negoziati risentono del particolare momento politico ed istituzionale attraversato dagli attori in gioco. La disomogeneità del gruppo Acp ha da sempre costituito una caratteristica strutturale del blocco, ma è stata ulteriormente accentuata dal crescente protagonismo dell’Unione africana (Ua). Negli anni scorsi l’Unione africana aveva infatti avanzato la richiesta di rappresentare in prima persona i Paesi africani nelle trattative sulle future linee commerciali e di cooperazione allo sviluppo con l’Ue. L’Africa sub-sahariana costituisce in effetti il raggruppamento più significativo all’interno dei paesi Acp (con 48 Stati membri su 79), mentre il Fondo europeo per lo sviluppo, previsto nell’ambito dell’Accordo di Cotonou, rimane il principale strumento di cooperazione per il continente africano.

L’opportunità di rafforzare il ruolo dell’Unione africana non ha però soltanto messo sotto pressione i rapporti con le altre regioni rappresentate negli Acp, ma ha spaccato anche il fronte africano stesso. Dopo che l’Unione africana aveva adottato una posizione comune richiedendo la stipula di un accordo con l’Ue al di fuori della cornice Acp – con l’appoggio di Stati come Rwanda, Ciad e Sudafrica – altri governi del continente (tra cui Senegal, Burkina Faso, Uganda e Kenya) hanno fatto marcia indietro, premendo per mantenere l’impianto consolidato, come poi effettivamente accaduto. Inoltre, i Paesi nordafricani, che non fanno parte del gruppo Acp, avrebbero teoricamente potuto schierarsi per un rafforzamento del canale pan-africano, ma in realtà questo ne avrebbe ridimensionato le relazioni bilaterali con l’Ue sviluppate sotto la Politica europea di Vicinato (Pev): la loro posizione è rimasta dunque fredda.

STALLO ISTITUZIONALE DAL LATO EUROPEO

È evidente, dunque, come la proliferazione degli strumenti europei di relazione con l’Africa giochi tuttora un ruolo nel condizionare le trattative con l’intero gruppo Acp. Per di più, lo stallo è spiegato anche dal particolare momento istituzionale attraversato dall’Ue nel 2020. Se il mandato a trattare con gli Acp era stato promosso dalla precedente Commissione Juncker, l’inizio del nuovo ciclo istituzionale europeo, culminato nella tardiva entrata in carica della Commissione guidata da Ursula Von der Leyen, ha avuto sicuramente un ruolo nel ritardare i negoziati.

In più, l’Unione è nel pieno dei negoziati interni per il futuro Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027. In passato, il bilancio europeo aveva un’importanza relativa rispetto alle relazioni con i paesi Acp, perché il Fondo europeo per lo sviluppo costituiva uno strumento finanziato all’esterno del budget. Tuttavia, la proposta del prossimo Qfp prevede la cosiddetta ‘budgetizzazione’ del Fondo, ossia la sua inclusione all’interno del bilancio settennale. Una scelta, quella europea, che ha sollevato perplessità nei partner, che temono l’attenuazione della prevedibilità degli aiuti, una volta che la cooperazione europea dovrà essere negoziata internamente con tutte le altre voci di bilancio e senza un input chiaro da parte loro.

A fronte di questi rallentamenti istituzionali, la probabile decisione di posticipare la scadenza dei negoziati appare come altamente probabile, così da definire al meglio le future relazioni fra Europa e Stati del blocco Africa-Caraibi-Pacifico.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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