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Ungheria: svolta alle amministrative, prima sconfitta per Orbán

Orbán

L’analisi di Massimo Congiu per Affarinternazionali sul risultato delle elezioni amministrative di domenica 13 ottobre in Ungheria, prima vera sconfitta per Orbán.

Quella di domenica 13 ottobre, alle elezioni amministrative ungheresi, può definirsi la prima vera e propria sconfitta del premier Viktor Orbán dal suo ritorno al potere, avvenuto nel 2010. Budapest non è mai stata la roccaforte del Fidesz, il partito di Orbán, ma l’opposizione non ha vinto solo lì: essa si è affermata in 11 delle 23 grandi città del Paese chiamate al voto, tra cui Miskolc, Pécs e Szeged.

Nella capitale ha prevalso Gergely Karácsony, 44 anni, candidato del centro-sinistra, su István Tarlos, 71 anni, sindaco uscente del Fidesz che nella serata di domenica, a spoglio non ancora concluso, si era già congratulato col suo avversario. Tarlos sedeva sulla poltrona di primo cittadino dal 2010.

UN’OPPOSIZIONE MEGLIO ORGANIZZATA

Il voto è avvenuto al termine di una delle campagne elettorali più tese e aggressive della storia recente del Paese. L’apparato propagandistico del Fidesz ha cercato in tutti i modi di screditare gli avversari del governo, arrivando a definirli “pagliacci inadatti all’incarico” per il quale concorrevano. Va ricordato che, dal suo ritorno nel ruolo di primo ministro, Orbán non ha mai degnato i membri dell’opposizione di un confronto pubblico diretto, non li ha mai considerati una controparte con cui valesse la pena di misurarsi sui programmi politici.

Stavolta l’opposizione si è fatta trovare all’appuntamento elettorale più unita del solito (è nota per la sua frammentazione) e questa scelta le ha dato ragione. È stata infatti la prima volta che, a Budapest e nella maggior parte dei capoluoghi chiamati alle urne, gli avversari di Orbán sono riusciti a trovare un accordo per presentare un solo candidato. Partiti di centro-sinistra e liberali (socialisti, verdi e i centristi di Momentum) si sono messi insieme e a Budapest hanno vinto, anche grazie a un patto di desistenza siglato con il partito nazionalista di destra Jobbik.

L’EVOLUZIONE DI JOBBIK

Quest’ultimo è notoriamente nato come forza politica di estrema destra che in anni passati si è distinta per i suoi attacchi alle comunità Rom ed ebraiche del paese. Le prime venivano da esso considerate un problema sociale in termini di sicurezza pubblica e i suoi membri dei parassiti dediti solo a fare figli per ottenere sussidi. Le seconde, un qualcosa di estraneo al Paese e alla sua storia, un soggetto per nulla animato da sentimenti patriottici.

Da qualche tempo, i vertici del partito hanno deciso di intraprendere la strada del moderatismo, chiesto pubblicamente scusa alle comunità rom ed ebree e fatto del loro meglio per farsi percepire come forza politica conservatrice, nazionalista ma non più radicale. L’anno scorso hanno partecipato alle elezioni legislative con proclami che mettevano in mostra l’ambizione di sostituire il Fidesz alla guida del Paese. Il risultato ottenuto è stato più magro di quello di quattro anni prima. Ora Jobbik sembra alla ricerca di un’identità più chiara e di un percorso politico da seguire, al di là dell’impegno antigovernativo.

“UN PAESE DIVERSO”

“Oggi ci svegliamo in un Paese diverso”, scrive il quotidiano di opposizione Népszava. L’entusiasmo è presente a Budapest e nelle città in cui gli avversari dell’esecutivo hanno prevalso: per i loro sostenitori la vittoria del 13 dimostra chiaramente che se l’opposizione è unita può vincere. È ancora presto per parlare di declino del sistema Orbán, ma il dato emerso dal voto è significativo ed è espressione di una parte non irrilevante del Paese, insoddisfatta dell’attuale governo e vogliosa di cambiamento e di pacificazione nazionale e sociale.

È vero che da frammentata e disunita l’opposizione è stata battuta facilmente dalle forze governative. Bisogna vedere se ha fatto tesoro delle passate esperienze e se uno schema come quello risultato vincente ieri si potrà applicare a livello nazionale alle prossime legislative, che si svolgeranno fra circa tre anni. Non bisogna poi dimenticare la capacità di Orbán di recuperare terreno nei momenti critici sfruttando abilmente situazioni che diventano nelle sue mani buone carte politiche (vedi la questione dei migranti), con manovre alle quali abbiamo assistito in questi ultimi anni.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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