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Usa 2020, se fosse Michelle Obama a sfidare Trump?
L’articolo di Stefano Fait sui rivali di Donald Trump alle presidenziali Usa 2020. E se i democratici schierassero Michelle Obama?
Quasi un elettore democratico Usa su due ha dichiarato di non avere intenzione di guardare i dibattiti delle primarie del suo partito, o di non essere sicuro che lo avrebbe fatto.
Uno su cinque ne farebbe volentieri a meno.
Come mai?
Gli attuali candidati democratici in lizza per le primarie che porteranno al voto per le presidenziali statunitensi sembrano decisamente più deboli della Hillary Clinton che nel 2016 perse contro Donald Trump 304 a 227, pur essendo data per vincente da quasi tutti i sondaggi.
I CANDIDATI DEMOCRATICI
In testa ai sondaggi democratici si collocano il centrista Joe Biden e il socialista Bernie Sanders, due maschi bianchi ultrasettantenni in palese contrasto con la narrazione della necessaria lotta alla “supremazia bianca” e alla “mascolinità tossica” che governa da anni la strategia di comunicazione del partito.
Nel corso dei primi dibattiti Bernie è apparso troppo invecchiato per essere un contendente credibile, mentre Biden è sotto il fuoco incrociato di media aspramente critici.
Nessun candidato ha prodotto un autentico impatto virale e comunque nulla di paragonabile a Trump, il quale ha raccolto in un solo giorno di campagna elettorale la somma record di 25 milioni, quasi un terzo di tutte le donazioni raccolte da Obama nella prima parte della sua campagna del 2011; una prestazione che al tempo fu definita strabiliante.
Significativo è che una grossa fetta delle donazioni alla campagna di Trump provenga da chi ha contribuito meno di 200 dollari e che le donatrici siano cresciute del 60% fino a raggiungere la soglia del 45%, considerevolmente superiore al 29% del 2016. Solo altri due candidati ricevono, percentualmente, più contributi femminili.
I CONSENSI A TRUMP
Il tasso di approvazione di Trump in questo momento è in linea con quello di Obama nel 2011 e di Reagan nel 1983. Entrambi vinsero e Reagan conquistò ben 49 stati.
Trump ha fatto molto meglio di Bill Clinton e Barack Obama nelle elezioni di metà mandato ed entrambi i presidenti democratici sono stati poi riconfermati.
Il sostegno al presidente Trump dell’elettorato ispanico oscilla tra il 35 e il 45% rispetto al 28% del 2016.
Tra i neri il suo consenso è più che raddoppiato rispetto al 2016 (era all’8%).
Quasi un elettore democratico su tre ritiene probabile che Trump possa essere riconfermato (The Economist/YouGov Poll, 22 – 25 giugno 2019).
Questi sono numeri che condannano tutti i rivali.
LA SFIDA PER I DEMOCRATICI
I democratici dovranno provare a invertire questo trend, riprendendosi i voti delle minoranze e rilanciando anche la raccolta delle donazioni.
Sulla carta Kamala Harris, uscita vincitrice dai primi confronti pubblici, sarebbe la candidata ideale perché possiede molti dei prerequisiti richiesti: donna di colore, energetica, esperienza politica, ragionevolmente pragmatica.
Il suo problema è che è una copia sbiadita di Michelle Obama; un ripiego.
È più che probabile che la dirigenza del partito democratico attenderà che i candidati alle primarie duellino tra loro per sondare gli umori del pubblico e costruire la vera candidatura di unificazione che potrebbe essere lanciata a cavallo tra 2019 e 2020, risparmiando costi, energie e sovraesposizione (che comporta il rischio di saturazione dell’elettorato).
Al momento Michelle Obama è l’unica potenziale candidata in grado di attirare il voto femminile, LGBT e dei millennial e raccogliere contributi paragonabili a quelli di Trump per la sua campagna.
UN CLIMA PROPIZIO PER MICHELLE OBAMA
Il clima le è propizio.
Nel 2019 sono state elette 3 miss nere negli USA per la prima volta nella storia, un possibile indizio che la società statunitense viene preparata a votare per la prima donna di colore alla Casa Bianca.
Hillary Clinton sta usando i suoi interventi in pubblico per reiterare la sua convinzione che la vittoria del 2016 sia stata rubata a una donna, per di più da donne bianche che le hanno preferito Trump.
Il tour nazionale e internazionale di Michelle per presentare la sua autobiografia intitolata “Becoming” viene gestito dalla stessa agenzia che promuove i tour dei concerti di Beyoncé.
Mentre i candidati alle primarie democratiche faticano a riempire palestre e sale conferenze, le tappe nazionali di “Una Conversazione con Michelle Obama” vengono ospitate in arene da 20.000 posti a sedere in tutti i 10 stati-chiave che servono per poter conquistare la Casa Bianca.
Non si può escludere che si tratti di una campagna elettorale sotto mentite spoglie, che riceverà un’ulteriore spinta con la pubblicazione delle memorie di Obama proprio nel 2020.
È vero che lei stessa ha negato di volerlo fare, ma potrebbe cedere alle pressioni; oppure la sua ritrosia potrebbe servire a veicolare l’immagine di chi non è realmente interessato al potere e si deve sacrificare perché supplicata di farlo, allo scopo di fermare Trump.
Inoltre il marito Barack non ha concesso il suo endorsement a Biden, come se volesse risparmiarlo per la moglie.
L’ASSO NELLA MANICA (O FORSE NO) DELLO SPYGATE
Con Michelle candidata, Barack Obama potrebbe usare contro lo Spygate (la tesi che la sua amministrazione si avvalse dell’assistenza di servizi segreti nazionali e stranieri per impedire a Trump di diventare e restare presidente) la stessa strategia impiegata da Trump contro il Russiagate, liquidandolo come una caccia alle streghe e persecuzione politica finalizzata alla conservazione del potere ad ogni costo.
Michelle Obama sarebbe lanciata dal comitato democratico come la candidata salvifica del partito, dell’America, del pianeta: circonfusa da un’aura messianica e presentata come una candidata al di sopra delle parti, distante dal marcio della politica e vicina al cittadino comune.
Sarebbe uno scontro tra due candidature schiettamente populiste, la ricetta per la campagna elettorale più furiosa, violenta e polarizzata della storia americana.
Tuttavia se, diciamo verso l’autunno di quest’anno, lo spygate dovesse rivelarsi un fatto cospirativo e non una mera ipotesi (Motive Matters in Trump Spygate, Wall Street Journal, 7 maggio 2019), il pesante coinvolgimento di Obama affonderebbe anche la possibile candidatura della moglie, come un bruco che non riesce a completare la sua trasformazione.
A quel punto i democratici dovrebbero pensare a qualcun altro, ma Trump avrebbe già la vittoria in tasca.