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Usa, le conseguenze dell’uscita di Bolton voluta da Trump

Bolton

Il commento di Riccardo Alcaro, coordinatore della ricerca e responsabile del Programma Attori globali dello Iai, sull’uscita di scena di Bolton e l’impatto sulla politica estera

L’uscita di scena di John Boltonconsigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, allontana dalle stanze del potere uno dei personaggi più influenti e controversi dell’establishment di politica estera degli Stati Uniti.

Anche se non ha mai raggiunto la statura di un Henry Kissinger o Zbigniew Brzezinski – che occuparono la carica di consigliere per la Sicurezza nazionale rispettivamente nelle Amministrazioni Richard Nixon e Jimmy Carter -, Bolton non è stato meno determinante nell’influenzare la politica estera del suo Paese.

Fautore di un’aggressiva politica unilateralista, Bolton si è speso senza sosta per eliminare impegni internazionali che dal suo punto di vista limitano la potenza nucleare americana a vantaggio dei nemici della nazione. I compromessi, per Bolton, mal si addicono alla prima potenza del mondo. Più adatti sono la pressione economica, l’intimidazione e l’uso della forza.

Le vittime del suo furore unilateralista sono particolarmente illustri in un’area a lui cara, quella relativa agli accordi di non proliferazione e controllo degli armamenti.

SOTTO-SEGRETARIO DI STATO NEL PRIMO MANDATO DI BUSH JR

Nel 2001, quando era sotto-segretario di Stato con George W. Bush alla Casa Bianca, Bolton caldeggiò il ritiro degli Stati Uniti dal trattato russo-americano di bando delle difese anti-balistiche (Anti-Ballistic Missile Treaty, Abm), il cui scopo era di rafforzare la deterrenza nucleare.

Nel 2002 Bolton si adoperò per sabotare l’accordo-quadro che gli Stati Uniti avevano concluso nel 1994 con la Corea del Nord, la quale aveva accettato di limitare il suo programma nucleare in cambio di aiuti alimentari e forniture energetiche. Nel 2002/2003 Bolton sostenne senza esitazioni che un’invasione fosse l’unica soluzione per arrestare il presunto programma di armi di distruzione di massa dell’Iraq di Saddam Hussein.

IL RITORNO NELL’AMMINISTRAZIONE E GLI OBIETTIVI POLITICI

Nemmeno un mese dopo il suo ritorno nell’Amministrazione, nell’aprile 2018, gli Stati Uniti si sono unilateralmente ritirati dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo nucleare con l’Iran, un obiettivo per cui Bolton si era battuto senza sosta per anni.

Quest’anno, Bolton ha persuaso Trump ad abbandonare il Trattato russo-americano di bando delle forze nucleari a medio raggio (Intermediate-range Nuclear Forces Treaty, Inf), dal momento che la Russia ha sviluppato un missile in violazione dei termini e che la Cina non è vincolata dall’accordo.

L’uscita di scena precoce non ha consentito a Bolton di sacrificare sull’altare del sovranismo unilaterale New Start, l’accordo del 2010 che ha ridotto il numero di testate nucleari e relativi vettori in possesso di Russia e Stati Uniti. La sfiducia che Bolton ha seminato sul trattato potrebbe in ogni caso convincere Trump a lasciare che l’intesa si estingua l’anno prossimo, consegnando all’ormai ex consigliere per la sicurezza nazionale un successo ‘postumo’.

CONSONANZE E DISSONANZE TRA TRUMP E BOLTON

La fede unilateralista di Bolton ben si accorda con gli istinti ultra-sovranisti di Trump, allergico a ogni forma di impegno internazionale di lungo periodo. Ma il discorso cambia per quanto riguarda il suo zelo interventista e l’ideologica rigidità che Bolton oppone all’idea di negoziare con gli avversari degli Stati Uniti.

Bolton si è così opposto al ritiro delle truppe da Afghanistan e Siria, ha fatto saltare un’intesa a interim con il leader nord-coreano Kim Jung-un, ha sostenuto un’azione più decisa contro il Venezuela e spinto per un’azione militare contro l’Iran dopo l’abbattimento del drone americano lo scorso giugno. Non è un segreto, inoltre, che non gradisca le aperture di Trump alla Russia di Vladimir Putin.

LE DIVERGENZE E L’ALLONTANAMENTO

Le divergenze con il presidente non sono solo di sostanza. Bolton ha costantemente brigato per ostacolare decisioni di Trump non in linea con le sue convinzioni. È soprattutto questo peccato di lesa maestà che il presidente non gli ha perdonato.

Il fatto che la politica estera di Trump sia dettata dalle opportunità di soddisfare le vanità di un ego narcisista rende in qualche modo l’uscita di Bolton meno amara. L’innegabile successo nel conseguire molti dei suoi obiettivi dichiarati, la sua capacità avvocatesca di presentare argomenti apparentemente obiettivi a sostegno di posizioni ideologiche e la coerenza della sua visione di politica estera ne esaltano il contrasto con Trump, a parere di alcuni in modo positivo.

Bolton tornerà probabilmente a tuonare contro ogni deviazione degli Stati Uniti dalla politica di aggressiva ostilità verso le potenze rivali da uno studio della Fox, il network ultra-conservatore, o scrivendo editoriali incendiari su bastioni del conservatorismo interventista Usa come il Wall Street Journal. La fama di abile tessitore di politiche gli assicura un posto tra i grandi opinion makers. E così per quanto sconfitto Bolton esce dall’Amministrazione Trump con la sua credibilità di stratega di politica estera ancora intatta. A difenderlo dall’oblio è il fatto che gli Stati Uniti sono troppo distanti geograficamente dal resto del mondo per subire sulla propria pelle il peso degli errori di chi ne decide le politiche.

La lista di errori di Bolton è lunga quanto la lista dei suoi successi personali. Il ritiro dal Trattato Abm ha avuto un effetto corrosivo delle relazioni con la Russia, come Putin ha spesso ricordato. La fine dell’Accordo-quadro ha spinto la Corea del Nord a uscire dal Trattato di non-proliferazione nucleare e a dotarsi di armi atomiche. L’invasione dell’Iraq, lungi dall’arrestare un inesistente programma di armi di distruzioni di massa, ha creato un vortice di insicurezza e violenza in Medio Oriente che perdura da più di 15 anni. Senza il Trattato Inf, la Russia è libera, se lo vuole, di schierare il missile proibito. E il ritiro dal Jcpoa ha reso l’Iran più aggressivo, aumentando anche il rischio che riprenda tutte le attività nucleari sensibili.

È un segno dei pericoli insiti nel primato americano che un uomo che vanta tanti e tali disastri sul suo curriculum sia allontanato dall’Amministrazione non per il peso dei suoi errori, bensì per screzi con un presidente capriccioso e collerico.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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