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Usa vs Corea del Nord, a che punto è la trattativa tra Trump e Kim

Kim Trump

Le trattative tra Corea del Nord e Stati Uniti sono in stallo da mesi e il tempo stringe. La scadenza di fine anno dettata da Kim Jong-un a Donald Trump è ormai alle porte. L’approfondimento di Massimiliano Giglia per il Caffè geopolitico

NEGOZIATI FERMI

È prevista per la fine dell’anno la scadenza per la presentazione di nuove proposte e per fissare colloqui per la denuclearizzazione della Corea del Nord, ma sia Trump che Kim sembrano non aver fatto passi avanti a tal proposito. Il clima di silenzio rende ancora più tesa la situazione e per il momento pare congelare quell’incoraggiante percorso diplomatico emerso negli ultimi due anni. L’ultimo tentativo di riaprire le trattative è stato definito dal rappresentante nordcoreano all’ONU Kim Song come un “trucco” degli USA per guadagnare tempo nelle trattative. Lo scorso anno l’insediamento dello stesso Kim Song a New York aveva fatto discutere a causa di un ritardo nel rilascio del suo visto diplomatico; si era infatti cominciato a parlare proprio in quell’occasione di tattiche statunitensi per prendere tempo sulla denuclearizzazione.

Ad oggi si sono tenuti due vertici ufficiali tra Kim e Trump. Il primo storico summit, tenutosi il 12 giugno 2018 sull’isola di Sentosa, a Singapore, è stato certamente più un’occasione mediatica che un reale evento diplomatico.

Al termine è stata infatti firmata una semplice dichiarazione di intenti in cui si affermava che i negoziati veri e propri sarebbero stati tenuti in seguito dal Segretario di Stato Mike Pompeo e da rappresentanti diplomatici nordcoreani. Insomma, Kim e Trump hanno espresso in tale sede solo la volontà di iniziare un dialogo fatto, come si può leggere nei primi due punti del documento, di “sforzi comuni e impegni”. Per quanto riguarda la denuclearizzazione, in questo primo vertice non si è chiarito se il processo sarebbe dovuto avvenire in maniera unilaterale oppure se l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) potesse avere un ruolo nella questione.

Hanoi è poi stata la sede del secondo summit tra i due leader, ed è soprattutto in questa sede che si è percepita la mancanza di esperienza nei negoziati da parte di Trump. Secondo Joseph Yun, ex rappresentante politico statunitense a Pyongyang, sono andati in scena fraintendimenti da una parte e dall’altra e carenza di reali soluzioni. Trump proponeva di sospendere le sanzioni economiche in cambio di un totale annullamento del programma nucleare nordcoreano, ma Kim ha rifiutato categoricamente, proponendo invece solo un parziale smantellamento dei propri siti nucleari. Il tutto si è concluso con un nulla di fatto.

Tra giugno e ottobre poi ci sono state altre due riprese dei negoziati, ma in concreto né Trump né Kim hanno trovato ciò che volevano. Da una parte gli USA sono rimasti inflessibili nelle loro richieste di disarmo, dall’altra il dittatore nordcoreano non ha interrotto i test missilistici e ne ha persino minacciati di nuovi.

CHI STA PERDENDO TERRENO?

Sembra essere ormai una gara a chi fa la voce più grossa. Intanto, anche i rapporti di Pyongyang con i Paesi vicini si stanno incrinando. Non è infatti un mistero che la Corea del Nord gode delle simpatie della Cina, mentre la Corea del Sud si appoggia, o quanto meno si appoggiava sino a qualche tempo fa, all’alleanza Stati Uniti-Giappone. Proprio il Premier Shinzo Abe è stato etichettato da Pyongyang come “idiota” per aver criticato gli ultimi test missilistici nordcoreani.

In tutto ciò Trump, com’è noto, ha iniziato a muoversi principalmente attraverso rapporti bilaterali, credendo che i trattati multilaterali siano meno efficaci. Questo ha contribuito a intensificare l’attuale crisi del sistema sovranazionale, con il ruolo delle Nazioni Unite sostanzialmente indebolito anche di fronte alla crisi nordcoreana. Non a caso Pyongyang ha avvertito il Consiglio di Sicurezza che ogni nuova discussione sulla situazione dei diritti umani in Corea del Nord verrà considerata come una “seria provocazione”, nonché un allineamento alla politica ostile degli Stati Uniti, concludendo che da queste ne corrisponderebbero misure coercitive. Purtroppo non è la prima volta che la Corea del Nord trascura gli avvertimenti dall’ONU; basti pensare, ad esempio, al lancio di due satelliti nel 2012 e nel 2016 a dispetto del divieto del Palazzo di Vetro. Operazioni del genere sono considerate dal Consiglio di Sicurezza alla pari di test missilistici a lungo raggio. Tutto questo è abbastanza per rendersi conto di quanto si sia deteriorata l’autorevolezza delle Nazioni Unite nell’odierno contesto internazionale.

POLEMICHE E DIVISIONI

Intanto vacilla anche la tradizionale alleanza tra Corea del Sud e Giappone, che ha rappresentato finora una sorta di argine ai disegni del despota nordcoreano. Oggi invece i loro contrasti rischiano di rompere non solo gli equilibri geopolitici dell’Asia orientale, ma anche di compromettere la stabilità del commercio globale. La guerra commerciale tra Seul e Tokyo, iniziata lo scorso luglio con la decisione giapponese di limitare le esportazioni di materiali tecnologici verso la Corea del Sud, ha infatti provocato un impressionante calo dell’export per entrambi i Paesi. Le parti hanno poi cercato di venirsi incontro, anche a seguito dell‘intervento diplomatico degli Stati Uniti che fanno parte del triplice accordo di condivisione delle informazioni di intelligence nell’area. Si è parlato anche della possibile uscita della Corea del Sud dall’accordo bilaterale con il Giappone per lo scambio di informazioni militari, meglio noto come “GSOMIA”. Alla base della crisi tra Tokyo e Seul ci sono controversie sia politiche che storiche: lo scorso anno un tribunale sudcoreano ha infatti decretato che il Giappone deve sdebitarsi per lo sfruttamento dei lavoratori coreani durante l’occupazione coloniale della penisola dal 1910 al 1945. Tokyo ha rigettato tale decisione, affermando che la questione era stata risolta con un trattato con Seul del 1965.

Intanto il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi si è proposto come mediatore della disputa nippo-coreana con l’intento di salvaguardare gli interessi economici dei tre Paesi, che insieme rappresentano secondo la Banca Mondiale circa ¼ del PIL globale, con un commercio trilaterale che passa da 130 miliardi a 720 miliardi di dollari negli ultimi 20 anni.

Se da un lato la mossa di Pechino mira a preservare una certa stabilità regionale, condizione essenziale per lo sviluppo economico cinese, dall’altro essa cerca anche di separare il più possibile Washington dai suoi storici alleati regionali e di intensificare la polemica contro il protezionismo dell’attuale amministrazione repubblicana. Per quanto riguarda invece il sostegno della Cina alla Corea del Nord, nell’ultimo incontro tra Xi e Kim la Cina ha in pratica pubblicamente avvertito Trump della propria centralità nei negoziati sulla denuclearizzazione. Kim è consapevole dei limiti di questa “protezione” e che potrebbe presto diventare una semplice pedina nella partita tra le due potenze, ma di fatto sta cercando di sfruttare il sostegno cinese per ottenere più flessibilità dagli Stati Uniti. Sembra quindi che gli attuali sviluppi in Asia orientale stiano evidenziando come Trump non sia più l’unico protagonista della crisi nordcoreana. Un esempio su tutti. L’11 dicembre scorso si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU su richiesta degli Stati Uniti. L’ambasciatrice statunitense Kelly Craft ha ammonito ancora una volta che Pyongyang sta andando incontro a nuove sanzioni, invitando gli altri Paesi membri ad agire di conseguenza. Ma la riunione ha evidenziato opinioni contrarie a quella statunitense, soprattutto da parte di Cina e Russia, che vorrebbero ridurre le tensioni nella regione e proseguire con i tentativi diplomatici dei mesi scorsi. L’ambasciatore cinese Zhang Jun ha infatti dichiarato che rivedere le sanzioni è necessario per tutelare il popolo nordcoreano e “creare un ambiente fruttuoso per il dialogo”, mentre quello russo Yassily Nebenzia ha criticato la diplomazia di Washington affermando che non ha concretamente offerto nulla in cambio di un accordo.

 

Articolo pubblicato ilcaffegeopolitico.org

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