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Venezuela, una tempestosa quiete dopo il golpe fallito di Guaidó

L’analisi di Nicola Bilotta per lo Iai sul gioco di specchi tra Maduro e Guaidó in Venezuela

Alla fine di aprile, il Venezuela sembrava potere finalmente uscire dall’impasse istituzionale che lo sta lacerando. Il leader dell’opposizione Juan Guaidó,  pareva in grado di rivitalizzare la protesta grazie al supporto di una parte dell’esercito e dare così la spallata definitiva al potere del presidente eletto Nicolas Maduro. Ma il tentativo, improvvisato e mal gestito dell’autoproclamato presidente, oltre a polarizzare ancora maggiormente lo scontro tra le parti, potrebbe, paradossalmente, avere momentaneamente rafforzato Maduro.

IL TENTATIVO FALLITO

Il 30 aprile Guaidó, ha pubblicato sui social media un video dal forte impatto simbolico. Il presidente autoproclamato appariva circondato da alcuni soldati in divisa e da Leopoldo Lopez, suo ‘padre’ politico, nonché storico leader dell’opposizione venezuelana. Lopez, arrestato dopo gli scontri del 2014 e agli arresti domiciliari dall’agosto del 2017, sarebbe stato liberato grazie all’aiuto di alcuni soldati in rivolta contro il governo Maduro.

Queste due immagini simboliche volevano testimoniare un graduale scollamento tra una parte dell’esercito e Maduro così da intensificare la pressione sul governo e richiamare più persone nelle proteste di piazza. Se fosse riuscito a dare l’idea che una parte dell’esercito aveva disertato, Guaidó, avrebbe potuto simultaneamente rafforzarsi e indebolire Maduro. In caso di golpe, una chiave per il successo delle proteste di piazza è l’aspettativa che la tua parte possa vincere: se le persone iniziano a ritenere la vittoria possibile, saranno più incentivate a manifestare in piazza o, nel caso dell’esercito, i soldati a cambiare fazione. E’ una sorta di effetto domino.

IL SOCIAL SBAGLIATO E L’ANTICIPO DEI TEMPI

Il tentativo però è naufragato molto rapidamente. I militari nel video-messaggio erano ufficiali minori, non figure carismatiche o di potere all’interno dell’esercito venezuelano, e non erano in grado di mobilitare masse di popolo o soldati. La quarantina di militari presenti nel video hanno già chiesto asilo all’ambasciata brasiliana mentre Lopez s’è dovuto rifugiare nell’ambasciata spagnola per evitare un nuovo arresto. Inoltre, Twitter rimane un social medium non altamente diffuso nel Paese – si stima che copra il 2% della popolazione venezuelana –, che lascia una forte asimmetria informativa tra le iniziative di Guaidó, e il popolo e non aiuta la comunicazione e la sincronizzazione delle proteste dall’alto al basso.

Secondo alcune fonti, tra cui il giornale spagnolo El Confindencial, Maduro e l’opposizione venezuelana erano riusciti a trovare un compromesso politico sintetizzato in un documento di circa 15 punti che avrebbe garantito un’uscita dignitosa all’erede di Chavez, garanzie ai militari e la presidenza ad interim a Guaidó,. Il piano era di rendere pubblico il documento il 2 maggio, dopo le mobilitazioni per il 1° Maggio, ma l’autoproclamato presidente avrebbe anticipato i tempi per paura di essere arrestato, facendo così fallire l’operazione.

Guaidó, era forse persuaso di avere già a disposizione uno scacco matto contro Maduro. Questa indiscrezione è stata anche confermata dall’inviato speciale degli Stati Uniti per il Venezuela, Elliott Abrams, che ha rilasciato una dichiarazione in cui avvalora la tesi che ci sarebbero stati accordi tra alti ranghi dell’esercito e l’opposizione.

USA E RUSSIA (E CUBA?)

All’indomani della pubblicazione del video di Guaidó, il consigliere per la sicurezza nazionale Usa John Bolton ha dichiarato che c’era un accordo con alcuni uomini chiave dell’Amministrazione Maduro – tra cui Vladimir Padrino Lopez, ministro della Difesa, Maikel Moreno, capo della Corte suprema, e Ivàn Rafael Hernàndez, capo della guardia presidenziale e dei servizi di intelligence militare – per farli disertare e di conseguenza fare cadere il governo.

Ma rendendo pubblici i nomi dei membri che avrebbero cospirato con gli oppositori per rovesciare Maduro, Bolton non avrebbe fatto altro che ‘bruciare’ la possibilità di far leva sulle loro figure per rovesciare l’attuale governo, sollevando dubbi sulla veridicità del loro appoggio a Guaidó. In una sorta di azione di controspionaggio, Bolton potrebbe anche avere voluto mettere all’angolo tre personaggi chiave dell’amministrazione Maduro per cercare di fratturare la cerchia che continua ad appoggiare il presidente eletto.

Nonostante Vladimir Padrino Lopez continui a sedere al fianco di Maduro nelle occasioni pubbliche e la rivolta di massa dell’esercito non ci sia stata, il fatto che il presidente eletto abbia aspettato quasi 12 ore prima di apparire in televisione e che abbia confermato sui social media l’esistenza di una sparuta ribellione getta qualche ombra sul suo reale controllo del territorio e degli apparati istituzionali del Paese. A oggi, l’unica persona di rilievo ad aver pagato per il caos degli ultimi giorni è stato Manuel Figuera, ex capo del Sebin (i servizi segreti venezuelani), che è stato sostituito per non aver impedito la fuga di Leopoldo Lopez.

È difficile dire se effettivamente alti membri del governo fossero pronti a sostenere Guaidó o se invece fosse stato architettato un gioco di specchi dai servizi segreti governativi venezuelani e russi per forzare la mano all’autoproclamato presidente, prospettandogli un supporto che in realtà non c’era.

Quello che appare chiaro è che gli Usa stanno cercando di incrementare la pressione su Maduro in una strategia che inizia ad assumere i contorni di propaganda elettorale. Nelle dichiarazioni degli ultimi giorni Donald Trump non ha solo confermato, come è tradizione americana, di lasciare l’intervento militare tra le opzioni, ma i suoi consiglieri hanno iniziato ad ampliare la pressione statunitense su Cuba e Nicaragua, definiti, insieme al Venezuela, la ‘troika della tirannia’. Trump ha infatti minacciato di attuare un embargo totale su Cuba e di implementare nuove sanzioni se il governo di Caracas non dovesse smettere di aiutare militarmente Maduro. Questa accusa però non sembra essere fondata. Secondo alcuni ex ufficiali della CIA, in realtà il supporto di Cuba non è importante ma sono altri attori globali, come la Russia, a essere strategici per la sopravvivenza del governo di Maduro.

Dopo giorni di caos, più online che istituzionale, il Venezuela continua vivere in una tempestosa quiete, dove il futuro del Paese sembra essere legato sempre di più a fattori e volontà esterne.

 

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

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