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Welcome to Bharat. L’India di Modi cambia nome?

India Modi

Come sta evolvendo la più grande democrazia del mondo, oggi sempre più autoritaria con la guida di Narendra Modi. L’analisi di Riccardo Pennisi, Aspenia

La parola Bharat non dice nulla a chi non conosce l’India dal di dentro. E’ stata infatti una sorpresa vedere il premier indiano Narendra Modi sedere dietro una placca con questo nome, al G20 da poco concluso nel suo paese. Lo stesso governo indiano non aveva dato indizi, né ha parlato di piani ufficiali al riguardo.

IL NUOVO NOME DELL’INDIA DI MODI

Bharat è il nome dell’India in molte lingue del subcontinente, e risale a quello di un’antica tribù vedica (circa tre millenni fa, i Bharatas) che componeva uno dei più insigni regni dell’alto corso del Gange. Da lì, per estensione, il nome era passato a indicare tutta l’immensa regione geografica accomunata da tratti etnico-culturali-religiosi comuni – esattamente come l’espressione “India” o “Indie”, non legata storicamente ai confini dell’odierno stato indiano.

Il nome “India” è invece collegato a un altro fiume, l’Indo. Dopo la conquista da parte dei persiani di Dario, 500 anni prima di Cristo, il nome del fiume, già esistente in sanscrito (Sindhu), passò a indicare l’intera regione. I persiani, passandolo ai greci, resero immortale il nuovo nome. Già Erodoto nella sua “Geografia”, pochi decenni dopo, usa “India” per il territorio, “Indòs” per il fiume e Indòs anche per “un indiano”. Dal greco, la parola entrò in tutte le lingue occidentali, compresa ovviamente quella dei colonizzatori britannici che occuparono tutto il subcontinente dal ‘700-‘800 fino al 1947.

Oggi India e Bharat indicano – secondo la Costituzione indiana – esattamente la stessa cosa: lo stato indiano. Ma il secondo nome è percepito come più autoctono e originale. E’ amato dai nazionalisti hindù grazie al suo richiamo alle origini mitiche di un’India etnica indivisa, un crogiuolo culturale dai contorni mitici, che però applicato concretamente ai confini politici dilaga su quelli che oggi sono il Pakistan, il Nepal, il Bhutan, il Bangladesh, persino l’Afghanistan.

Modi vuole farsi punto di riferimento di questa componente rumorosa e influente della società indiana. L’hindutva, l’ideologia politica del nazionalismo hindù, viene costantemente riaffermata nel discorso pubblico, che sia nei film, nelle nuove statue colossali dedicate a Shiva, o nella mappa istoriata sui muri del parlamento indiano, che ha fatto infuriare i Paesi vicini. Ma anche applicata, ad esempio cancellando le garanzie di uguaglianza religiosa della repubblica indiana, soprattutto a danno della minoranza musulmana (200 milioni di persone su 1,4 miliardi di abitanti), discriminata in maniera crescente.

L’Occidente preferisce ignorare questa deriva illiberale. L’India – il paese più popoloso al mondo, da qualche mese ha superato la Cina – è cruciale nel contenimento della politica estera di Pechino, negli equilibri dell’Asia-Pacifico, nel gioco diplomatico contro la Russia, nelle decisioni dei Brics ora allargati. Ed è fondamentale nei rapporti tecnologici e industriali con Stati Uniti ed Europa.

La chiameremo Bharat.

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