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Le conseguenze della procedura di infrazione contro il Regno Unito

La Commissione europea lo scorso 1° ottobre ha avviato una procedura di infrazione contro il Regno Unito per aver violato l’Accordo di Recesso, entrato in vigore il 1° febbraio 2020. Ecco le conseguenze per Londra nell’articolo di Gian Luigi Tosato

La Commissione europea ha avviato, lo scorso 1° ottobre, una procedura di infrazione ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) contro il Regno Unito per violazione dell’Accordo di Recesso, entrato in vigore il 1° febbraio 2020. Questa iniziativa può destare qualche sorpresa perché la procedura in questione è istituzionalmente diretta a reprimere infrazioni al diritto dell’Unione Europea da parte degli Stati  membri e presuppone la giurisdizione della Corte di Giustizia. Non dovrebbe dunque applicarsi al Regno Unito, uscito dalla Ue il 31 gennaio 2020, e per di più per violazione di obblighi derivanti da un accordo internazionale come l’Accordo di Recesso.

In effetti è così: in via generale e di principio, Il Regno Unito non  è più sottoposto alla giurisdizione della Corte. Eventuali controversie circa l’interpretazione e l’applicazione dell’Accordo di Recesso ricadono sotto una procedura diversa, secondo meccanismi abituali nel diritto internazionale per la soluzione di controversie in tema di trattati.

È infatti stabilito, nel Titolo III della Parte Sesta dell’Accordo, che in primo luogo le Parti devono sforzarsi di risolvere queste controversie tramite consultazioni in buona fede fra di loro; e se questo non dovesse riuscire, la questione va discussa nell’ambito di un apposito comitato misto. Se poi non si raggiunge un accordo nemmeno in questa sede, allora può essere investito della controversia un collegio arbitrale, le cui decisioni sono vincolanti per le Parti e possono portare all’applicazione di sanzioni pecuniarie se non correttamente eseguite.

Senonché l’Accordo di Recesso (Parte Quarta) introduce una deroga al sistema ora richiamato con riguardo a un periodo transitorio che va dal 1° febbraio al 31 dicembre 2020. In questo periodo, il Regno Unito resta pienamente soggetto al diritto della Ue, le autorità europee conservano tutti i loro poteri e la Corte di Giustizia mantiene la sua giurisdizione nei confronti dell’accordo, con competenza a interpretare e attuare non solo le norme dell’Unione ma anche quelle dell’AdR. In principio, questo regime vale unicamente per le azioni instaurate davanti alla Corte prima della scadenza del periodo transitorio. È tuttavia previsto che la Commissione possa avviare procedure di infrazione contro il Regno Unito anche nei quattro anni dalla fine di questo periodo, purché si tratti di infrazioni commesse entro il 31 dicembre 2020.

L’iniziativa della Commissione contro Londra, di cui si è detto all’inizio, si colloca evidentemente in questo contesto normativo. La Commissione ritiene che le disposizioni dell’Internal Market Bill, in corso di adozione al Parlamento britannico, configurino una grave e palese violazione del Protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord, che costituisce una parte essenziale dell’intesa. Per la verità, una siffatta violazione si verificherà solo quando il Bill in questione sarà definitivamente adottato. Ma la Commissione considera che il solo lancio di questo provvedimento legislativo comporti una lesione dell’obbligo di condotta in buona fede che le Parti si sono assunte in forza dell’art. 5 dell’Accordo.

Questa norma recita, al primo comma, che la Ue e il Regno Unito, “nel pieno rispetto reciproco e in totale buona fede, si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dal presente accordo”; il secondo comma specifica poi che le due Parti “adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’adempimento degli obblighi derivanti dal presente accordo e si astengono da qualsiasi misura che possa mettere in pericolo la realizzazione dei suoi obiettivi”.

È dunque in base all’art. 5 dell’Accordo di Recesso che la Commissione ha promosso la procedura di infrazione contro Londra. Prima di farlo, la Commissione non ha mancato di sollecitare l’eliminazione dal Bill delle parti incriminate; ma non ha avuto successo. Di qui la decisione di avviare una procedura formale ai sensi dell’art. 258 Tfue.

Come stabilito da questa norma, la Commissione ha inviato al Regno Unito una lettera di messa in mora, assegnandoli un termine di trenta giorni  per presentare le sue osservazioni. Il seguito è quello previsto per il caso di uno Stato che persista nella condotta contestata: emissione di un parere motivato della Commissione, sottoposizione della vertenza alla Corte di Lussemburgo, eventuale applicazione di sanzioni pecuniarie.

La procedura di infrazione, tra fase pre-contenziosa e contenziosa, non si esaurisce in tempi brevi; va anche detto che difficilmente si arriva alle sanzioni, anche se nella prassi qualche volta questo si è verificato.

Il nostro caso presenta ovviamente aspetti di particolare delicatezza; i suoi sbocchi dipenderanno verosimilmente dall’esito delle trattative in corso per l’assetto delle future relazioni tra Londra e Bruxelles. Se si arriverà a un accordo al riguardo, questo assorbirà anche l’attuale contenzioso sull’Internal Market Bill; nel caso invece del no deal, il contenzioso è destinato ad andare avanti; e c’è da aspettarsi che ad esso si aggiungeranno altre situazioni conflittuali tra Unione europea e Regno Unito.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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