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Festa della Mamma? In Italia 33mila donne costrette a lasciare il lavoro

Festa Della Mamma

Ma quale festa della mamma: tra gender gap, mancanza di nidi e dimissioni in bianco, le donne italiane sono ancora costrette a scegliere tra famiglia e lavoro. Tutti i numeri del mal costume

Nel 2020 sono state quasi 33 mila le neo mamme che hanno lasciato il lavoro, costrette dai propri principali o più semplicemente dall’assenza di nidi e alternative a sostegno di chi ha appena avuto un bambino. Il fenomeno delle dimissioni in bianco, fatte firmare dai datori a tantissime giovani al momento dell’assunzione, è un mal costume ancora incredibilmente diffuso. E la quasi totalità di loro accetta, sia per inesperienza, sia perché è difficile dire ‘no’ a un contratto.

SOLO UN CONTRATTO SU 10 È STATO SOTTOSCRITTO DA UNA DONNA

Secondo i dati di Save the Children, che parla in merito di mamme equilibriste, ben il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni non è occupata, con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali. Oppure, laddove il lavoro sia stato conservato, spesso si trasforma in un contratto part-time, per il 39,2% di donne con 2 o più figli minori. Nel primo semestre 2021, solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10, è a favore delle donne.

Il risultato che si ottiene è un quadro critico del contesto italiano, che vede diminuire il tasso di natalità. Infatti, i nuovi nati sono al di sotto della soglia dei 400mila, in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.

“Le riforme in atto, come il Family Act o la legge sulla parità salariale, sono passi avanti, ma occorre completare il quadro con investimenti consistenti: dal sostegno al reddito, alle politiche fiscali, all’offerta di un’infrastruttura di servizi, alla qualità del sistema scolastico, alle misure di conciliazione, tutto influisce sul benessere del nucleo familiare e anche sul tasso di fertilità che sta segnando picchi drammatici ormai in Italia.” ha sottolineato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

MATERNITA’ E PNRR

La quinta missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR -, quella cioè volta a evitare che dalla crisi economico-pandemica in corso emergano nuove diseguaglianze e che intende destinare parte delle risorse europee per affrontare i profondi divari già in essere prima del Cooovid-19, per proteggere il tessuto sociale del Paese e mantenerlo coeso, dedica un capitolo speciale alla conciliazione tra lavoro e maternità.

CHI FA LA FESTA ALLA MAMMA

La situazione del resto è seria. Già prima della pandemia, ovvero nel 2019, secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, sono state ben 37mila le neomamme che hanno lasciato il lavoro. Dell’insieme delle dimissioni e risoluzioni consensuali di lavoro censite, il 73% riguarda donne con figli. In due terzi dei casi l’addio al lavoro avviene con l’arrivo del primo figlio.

Risalendo ancora indietro nel tempo, al 2018, troviamo dati analoghi:  le dimissioni volontarie dei genitori di bambini fino a 3 anni d’età erano state 37.738. Le neo mamme che si sono licenziate sono state 29.879 e solo 5.261 lo avevano fatto per passare ad un’altra azienda: la maggior parte (24.618) proprio perché non erano riuscite a conciliare maternità e lavoro.

VA (MOLTO) MEGLIO AI PAPA’

Se questi dati rendono la Festa della mamma che ricorre oggi particolarmente amara, ce ne è un altro che permette di comprendere l’ingiustizia: la maggior parte dei neo papà che hanno lasciato il lavoro (7.859 in tutto) si sono licenziati per passare ad un’altra azienda (5.609).

IL GENDER GAP

Questo dato introduce un altro tema spinoso, quello del gender gap, che meriterebbe un approfondimento a parte. Ci limiteremo a dire che, molto banalmente, se all’arrivo di un figlio si manifesta la necessità di sacrificare uno stipendio, le coppie ovviamente diranno addio a quello inferiore e con minor possibilità di crescita, che di norma coincide con quello della donna. Della mamma.

Secondo l’ultima classifica stilata dal World Economic Forum sul tema, l’Italia continua a presidiare il fondo della classifica, posizionandosi al 114esimo posto su 156 nazioni, fra le maglie nere a livello europeo. Nel rapporto viene evidenziato come «ci sono 24 punti percentuali fra la prima, l’Islanda con l’84,6% e l’Italia con il 61,9%, il livello più basso della regione» europea.

LA MANCANZA DI NIDI

Non sempre sono i datori di lavoro a licenziare le donne che hanno appena avuto un bambino. Molto spesso la causa è da ricercare altrove, per esempio nella penuria di nidi, aziendali e pubblici. Nel nostro Paese, infatti, viene offerto un posto in asili nido o servizi prima infanzia al 24,7% dei residenti tra 0 e 2 anni di età.

Un dato distante ancora di 8 punti dall’obiettivo europeo e che varia ampiamente da regione a regione, calando drasticamente nel mezzogiorno. Secondo la mappatura di OpenPolis, fatta eccezione per la Sardegna, tutte le regioni del sud hanno una copertura dei servizi per la prima infanzia, inferiore alla media italiana (24,7%). Agli ultimi posti Sicilia e Campania, entrambe con meno di 10 posti per 100 residenti 0-2.

UNA FESTA DELLA MAMMA ANCORA PIU’ AMARA PER LE COLLABORATRICI DOMESTICHE

Secondo gli studi di DOMINA, Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico, essere una lavoratrice domestica non sembra conciliarsi con il diventare “mamma”. Infatti, i dati INPS evidenziano come nel 2020 tra le 750 mila donne assunte dalle famiglie italiane come colf, badanti e baby sitter, solo 6 mila siano in maternità (0,8%). Si tratta di un’incidenza molto bassa, specie se confrontata con i dati delle altre lavoratrici dipendenti del settore privato (3,9%).

Inoltre, il numero è diminuito negli ultimi cinque anni: se nel 2015 le lavoratrici domestiche in maternità erano 10.763, nel 2020 sono scese a 6.185, con una perdita netta di oltre 4 mila “mamme domestiche”. Il III Rapporto DOMINA sul lavoro domestico, evidenzia come nel 2020, per sostenere la maternità delle oltre 6 mila “mamme” l’INPS ha speso circa 42 milioni di euro, con un valore medio di 6.773 euro pro-capite (variabile in base alla contribuzione della lavoratrice).

Per il lavoro domestico è prevista solo la maternità obbligatoria (5 mesi) e non il congedo parentale (facoltativo): la maternità obbligatoria è completamente a carico dell’INPS (e non del datore di lavoro) ed è pari all’80% della retribuzione giornaliera convenzionale settimanale per le lavoratrici domestiche. Non è quindi previsto il congedo parentale; inoltre una neo mamma domestica, non ha diritto ai permessi per allattamento, né al congedo per la malattia del figlio.

Non sono le uniche differenze tra lavoratrici domestiche e le altre lavoratrici dipendenti. Le lavoratrici domestiche non possono essere licenziate fino al 3° mese dopo il parto, mentre normalmente esiste l’assoluto divieto di licenziamento della lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino. Infine, le dimissioni della lavoratrice domestica durante il periodo della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino, non devono essere convalidate dal servizio ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro, come invece accade per le lavoratrici dipendenti.

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