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Occupazione, calo demografico, giovani, ecco l’Italia fotografata da Istat
Com’è e come sarà l’Italia nel Rapporto annuale dell’Istat presentato alla Camera
Un Paese in recessione demografica, secondo solo al Giappone per numero di ultracentenari; con giovani, poco interessati alla politica, che abbandonano il Sud; con più donne occupate — anche se molte part-time —; e con stranieri che cominciano — pure loro — a fare meno figli. È l’Italia che emerge dal Rapporto annuale Istat, presentato a Montecitorio, un Paese che rischia la decrescita, anche per il calo demografico, il peggiore dagli ultimi 100 anni, e che nel secondo trimestre dell’anno potrebbe veder calare il Pil dopo il +0,1% dei primi tre mesi del 2019. “L’Italia è una nazione ricca di problemi irrisolti, a partire dal debito pubblico” ha detto il presidente dell’istituto di statistica Gian Carlo Blangiardo, e che si trova a un bivio: “Guardare al futuro o gestire il presente”.
Di “inaccettabile ritardo di sviluppo del Sud” ha parlato invece il padrone di casa, il presidente della Camera Roberto Fico, che ha definito “preziosa e condivisibile” la scelta della Bce di adottare ulteriori misure di stimolo monetario vista la “debolezza persistente dell’economia europea”. Ma vediamo più da vicino com’è e come sarà l’Italia in cui viviamo.
ITALIA IN RECESSIONE DEMOGRAFICA
Il nostro Paese è ormai dal 2015 in recessione demografica e pare non mettersi nelle condizioni di invertire la tendenza. “Secondo i dati provvisori relativi al 2018 — si legge nel Rapporto — sono stati iscritti in anagrafe per nascita oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008” mentre i cancellati per decesso sono poco più di 633 mila, circa 50 mila in più. “La diminuzione della popolazione femminile tra 15 e 49 anni osservata tra il 2008 e il 2017 – circa 900 mila donne in meno – spiega circa i tre quarti del calo di nascite che si è verificato nello stesso periodo. La restante quota dipende dalla diminuzione della fecondità (da 1,45 figli per donna del 2008 a 1,32 del 2017)” spiega l’Istituto che evidenzia come “la diminuzione delle nascite è attribuibile prevalentemente al calo dei nati da coppie di genitori entrambi italiani, che scendono a 359 mila nel 2017 (oltre 121 mila in meno rispetto al 2008)”. Nel 2016 il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni non aveva ancora avuto figli ma meno del 5% dichiarava che procreare non rientrava nel proprio progetto di vita.
L’ALLUNGAMENTO DELLA VITA
In un’Italia che non fa figli si nota pure come il processo di invecchiamento sia “caratterizzato da un’evoluzione positiva” con “una maggiore diffusione di stili di vita e abitudini salutari” tra gli over 65 che fanno più sport, dall’8,6% del 2008 al 12,4% del 2018, e frequentano di più cinema e teatri. “I confini tra una fase e l’altra della vita sono sempre meno definiti” rileva l’Istat. “È in atto un processo di allungamento nei tempi di transizione allo stato adulto”: studi, lavoro e famiglia seguono un “ordine meno rigido” ed “è sempre più raro” che corrispondano a “un’autonomia economica e di scelte di vita” propria dell’età adulta. Allo stesso tempo grazie all’allungamento della vita si è “dilatata anche la fase che intercorre tra l’uscita dal mondo del lavoro e l’entrata nell’età anziana già avanzata”.
Le generazioni del baby boom, dunque, “diventeranno ‘anziane’ sempre più tardi”. Nel frattempo aumentano anche i “grandi anziani”, con gli over 85 che a inizio 2019 erano circa 2,2 milioni. Intanto il nostro Paese insieme alla Francia, detiene il record europeo del numero di ultracentenari, quasi 15 mila. A livello mondiale competiamo con il Giappone per il record di invecchiamento: al primo gennaio 2017 c’erano 165 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni in Italia e 210 nel Paese del Sol Levante. Nel 2018 la stima di vita media in Italia era di 80,8 anni per gli uomini e di 85,2 anni per le donne.
I GIOVANI
Per quanto riguarda i giovani, l’istituto di statistica rileva che escono dalla famiglia sempre più tardi e sperimentano percorsi di vita “meno lineari del passato”: più della metà dei 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore. Molti i ragazzi che vanno all’estero: il saldo migratorio degli italiani è negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti. Circa la metà (208 mila) è costituita da 20-34enni. E quasi due su tre hanno un’istruzione medio-alta.
Fra i giovani continua il “calo generale nella partecipazione civica e politica” particolarmente marcato tra i ragazzi di 14-19 anni, “che già presentavano i livelli più contenuti. Un trend simile si rileva tra i 20-34enni”. Segnali “positivi” tra gli “indicatori relativi agli stili di vita: in diminuzione la quota di fumatori, i comportamenti a rischio nel consumo di alcol e la sedentarietà”. Inoltre, emerge che quattro su dieci sono sovra-istruiti: “Nel 2018 il 42,1% dei laureati 20-34enni occupati e non più in istruzione è interessato da un ‘mismatch’, che ha la forma della sovra-istruzione, visto che il titolo di studio posseduto è superiore a quello richiesto”.
GLI STRANIERI
Sul fronte degli stranieri l’Istat sottolinea che “il saldo migratorio con l’estero, positivo da oltre 40 anni, ha limitato gli effetti del calo demografico” con un saldo positivo stimato di oltre 190mila unità nel 2018. A gennaio 2019 erano 5,2 milioni (l’8,7% della popolazione) i cittadini stranieri residenti in Italia e 1 milione e 316 mila, pari al 13% della popolazione minorenne, i minori di seconda generazione. Di questi, il 75% è nato in Italia (991 mila).
Va anche rilevato come “il contributo dei cittadini stranieri alla natalità della popolazione residente si va lentamente riducendo. Dal 2012 al 2017 diminuiscono, infatti, anche i nati con almeno un genitore straniero (oltre 8 mila in meno) che scendono sotto i 100 mila (il 21,7% del totale)”. Pure “la popolazione straniera residente sta a sua volta invecchiando: considerando la popolazione femminile, la quota di 35-49enni sul totale delle cittadine straniere in età feconda passa dal 42,7% del primo gennaio 2008 al 52,4% del primo gennaio 2018”. Lieve aumento per i permessi di soggiorno: “Nel 2017 sono stati rilasciati quasi 263 mila nuovi rispetto al 2016, dopo una tendenza alla diminuzione già messa in luce negli anni precedenti: nel 2010 erano quasi 600 mila”.
PIL E CONTI PUBBLICI
Il Rapporto annuale dell’Istat lancia l’allarme Pil perché, secondo la nuova stima presentata, “la probabilità di contrazione nel secondo trimestre è relativamente elevata”. “La stima effettuata – ha chiarito Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica – ha indicato che la probabilità di contrazione del Pil nel secondo trimestre è relativamente elevata: 0,65 su una scala che ha valore zero per la situazione di espansione e valore 1 per quella di contrazione dell’economia”. Dunque, c’è il 65% di possibilità che il Pil scenda. Sul fronte dei conti pubblici si nota che l’Italia ha “proseguito il percorso di riequilibrio” ma con progressi “non sufficienti ad arrestare la dinamica del debito”.
L’ITALIA CHE LAVORA
Nel Paese si rileva una dinamica positiva dell’occupazione femminile accompagnata però a una riduzione della stabilità e delle ore lavorate. Delle 492 mila occupate in più tra il 2013 e il 2018, spiega l’Istat, il 40,4% svolge un lavoro part-time involontario e la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane ancora legata al ruolo ricoperto in famiglia. Infatti, sebbene il tasso di occupazione femminile sia cresciuto di tre punti percentuali tra il 2013 e il 2018, l’aumento è stato più basso (+1,5%) per le donne tra 25 e 49 anni, ovvero la fascia di età in cui si registra la maggiore concentrazione di madri con figli minori. Del resto, dal Rapporto annuale si viene a sapere che “il 66,6% dell’impegno di cura è garantito dalle donne, spesso a discapito della partecipazione al mercato del lavoro retribuito”.
Dando uno sguardo al futuro, l’istituto di statistica avverte che “nel 2050, la quota dei 15-64enni potrà scendere al 54,2% del totale, circa dieci punti percentuali in meno rispetto a oggi”. Tradotto, ci saranno oltre 6 milioni di persone in meno nella popolazione in età da lavoro.
COS’HA DETTO BLANGIARDO
Per il numero uno dell’Istat il nostro Paese è una “realtà composita, eterogenea, bellissima e contraddittoria. È una terra ricca di tesori, arte e bellezza” così come “una nazione ricca di problemi irrisolti, talvolta a seguito di alcune eredità, una per tutti quella del tema ricorrente circa il ‘debito pubblico’, che certo avremmo preferito acquisire con ‘beneficio di inventario'”. Rimanendo in tema economico Blangiardo ha rilevato che “fino al secolo scorso la componente demografica ha mostrato segnali di vitalità e ha spesso fornito un impulso alla crescita del Paese anche sul piano economico” mentre “oggi potrebbe svolgere, al contrario, un effetto frenante”. In un tale contesto, ha aggiunto, “viene da chiedersi se siamo (e saremo ancora) un popolo che guarda avanti e investe sul suo futuro o se invece dobbiamo perlopiù sentirci destinati a gestire il presente”. “La partita economica è in corso, possiamo anche vincerla. Facciamo in modo di vincerla” è l’auspicio espresso dal presidente.
Perché il calo demografico è una realtà con cui bisogna fare i conti, in fretta. Ormai dal 2015 l’Italia è in una recessione demografica che appare “significativa”. Risultato: “Un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un’epoca segnata dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell’epidemia di ‘spagnola’”. Altra grave difficoltà sociale si osserva al Sud perché, ha detto, “si osserva un sistematico deflusso di giovani italiani dai 20 ai 34 anni con livello di istruzione medio-alto dalle regioni del Mezzogiorno verso il Centro-Nord (circa 250 mila durante il decennio)”.
COS’HA DETTO FICO
Proprio al Sud ha dedicato alcune riflessioni Fico secondo cui i dati forniti dall’Istat “fotografano un inaccettabile ritardo di sviluppo” dell’area “che richiamano le istituzioni alla definizione di una politica per il Mezzogiorno dotata di obiettivi e risorse chiare e adeguate, soprattutto attraverso una migliore spesa dei fondi strutturali dell’Unione europea. A ciò — ha continuato il presidente della Camera — si aggiunge l’aggravarsi delle disuguaglianze, tra uomini e donne, tra territori, tra persone con diverso livello di istruzione, tra le generazioni. Nel nostro Paese in sostanza la bassa crescita si è accompagnata a una maggiore diseguaglianza, solo parzialmente limitata dall’intervento pubblico. Si tratta di una spirale negativa che occorre interrompere attraverso opportune misure di sostegno alle categorie più fragili o comunque svantaggiate della popolazione”.
Strettamente correlato al problema della fuga dal Sud c’è quello della fuga dei cervelli. “Rispetto al calo demografico emerge l’esigenza di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti di vita dei giovani – ha evidenziato Fico -. Una specifica considerazione la merita il sistematico deflusso di giovani dai 20 ai 34 anni con livello di istruzione medio-alto dalle regioni del Mezzogiorno verso il Centro-nord e dall’Italia verso l’estero. Si tratta della ben nota ‘fuga di cervelli’ che impoverisce drammaticamente il capitale umano del nostro Paese”. Secondo la terza carica dello Stato “dobbiamo creare le condizioni nel mercato del lavoro come nella ricerca e nelle università, per incentivare i nostri talenti a rimanere o a rientrare dopo esperienze qualificanti all’estero”.
Al momento comunque sono stati anche “conseguiti importanti risultati rispetto al percorso verso uno sviluppo sostenibile sul piano ambientale e sociale. Sottolineo che il valore aggiunto delle ‘ecoindustrie’, nel 2017 è stato pari a 36 miliardi di euro e al 2,3 % del Pil, con una tendenza alla crescita superiore a quella media dell’economia. Credo che una lettura complessiva di questi dati conferma come il rilancio del nostro Paese passi per la definizione di una strategia di sviluppo e occupazione sostenibile e duratura. Una strategia capace di utilizzare tutto il potenziale di crescita inespresso senza lasciare indietro nessun territorio, nessuna delle categorie più fragili della popolazione”.
Da Fico è poi arrivato un ringraziamento indiretto per l’operato di Mario Draghi a Francoforte. “Credo sia preziosa e condivisibile la scelta della Bce, preannunciata dal presidente Draghi – ha affermato -, di adottare nuove misure di stimolo monetario a fronte della debolezza persistente dell’economia europea” la quale “non può dipendere soltanto dalle esportazioni; c’è la necessità di promuovere la domanda, a livello europeo e nazionale, ed in particolare gli investimenti ad alto valore aggiunto, orientati ad una transizione verso un modello di sviluppo sostenibile”.